Xander Zhou è il designer più talentuoso della Cina: «Pechino ha sempre abitato il mio subconscio»
Courtesy of Xander Zhou

Xander Zhou è il designer più talentuoso della Cina: «Pechino ha sempre abitato il mio subconscio»

di Giulio Solfrizzi

A tu per tu con il designer che ha travolto la moda cinese con design futuristi e look iper creativi. Il suo più grande interesse? Cosa significa ancora essere umani in un’epoca di tecnologia, biomimetica e simulazione. L’intervista a Xander Zhou

Futuristico ma elegante, accessoriato ma discreto. Xander Zhou è il designer più talentuoso della Cina, che — chissà — potrebbe presto spiccare il volo come alcune delle sue collezioni ispirate agli aerei che sono diventate virali online. Ha conquistato il grande pubblico semplicemente con i propri abiti, presentati senza eventi mastodontici ed espedienti contemporanei. A Zhou basta un look book ben fatto, poche foto studiate nei minimi dettagli, ambientazioni suggestive in linea con abiti e accessori. Il suo successo deriva dalla creatività che lo contraddistingue in un settore già di per sé ricco di nomi e realtà.  

Ma non voleva fare lo stilista da piccolo, come raccontano alcuni suoi colleghi. «Ero sempre appassionato d’arte — amavo dipingere, soprattutto la pittura tradizionale cinese, e sono stato autodidatta», confida a ICON. «Più tardi ho capito di avere una forte intuizione per la moda. Andavo dai sarti e disegnavo vestiti per me stesso, e una o due stagioni dopo vedevo stili simili apparire sulle riviste. È stato allora che ho capito di avere un istinto naturale per questo».

Alla domanda su come sia iniziata la sua carriera, la risposta è meno netta di quanto si possa evincere dalle creazioni di Xander Zhou, ma fa sognare lo stesso. «È iniziata in modo molto intuitivo», dice. «Per un compleanno, un amico mi regalò una macchina da cucire di seconda mano e quella mi aprì davvero una nuova porta. Sono sempre stato curioso di come le persone costruiscono la propria identità attraverso l’abbigliamento. Fin dalla mia prima collezione, quella domanda mi ha guidato». Viene da sé che, forse, non sia interessato alla moda; piuttosto, la considera «il mezzo più diretto e immediato per esprimere i mondi che voglio costruire». Ce ne ha mostrati alcuni in questa intervista esclusiva.

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Xander Zhou FW25

Hai studiato prima design industriale in Cina e poi fashion design nei Paesi Bassi. In che modo questo background ibrido ha influenzato il tuo approccio al design di moda maschile?

«Quel background ha plasmato il modo in cui percepisco l’abbigliamento — non lo vedo mai semplicemente come un insieme di capi, ma come un sistema. Il design industriale mi ha insegnato la struttura, la funzione e la relazione tra il corpo e gli oggetti. Mi ha anche formato a guardare oltre i materiali e a considerare la creazione come un campo di possibilità. Questa logica mi permette di pensare in modo più astratto e concettuale, sperimentando al contempo diversi metodi per raggiungere il risultato desiderato. Il mio menswear quindi esiste tra la praticità e la speculazione — non riguarda solo la realtà del vestirsi, ma anche l’immaginazione di futuri possibili».

Quanto la cultura visiva e il ritmo urbano di Pechino continuano a influenzare il tuo lavoro, nonostante la tua esperienza internazionale?

«Pechino ha sempre abitato il mio subconscio e continua a influenzare ogni fase del mio processo creativo. Mi sono trasferito lì in un’età in cui stavo formando la mia visione del mondo, e la sua combinazione di antico e futuristico, di reale e surreale, mi ha profondamente segnato. Anche quando creo all’estero, porto con me ciò che chiamo una “logica di Pechino” — un ritmo visivo denso e una costante oscillazione tra realtà e iper realtà».

Guardando al 2007, quando hai fondato il tuo marchio Xander Zhou, come descriveresti l’evoluzione della moda maschile cinese da allora a oggi?

«Nel 2007, la moda maschile cinese era ancora in uno stato piuttosto indefinito. A parte alcuni marchi commerciali, c’erano pochissimi designer indipendenti di menswear. Tutti stavamo esplorando e cercando un linguaggio personale. Negli ultimi dieci anni le cose sono cambiate drasticamente — sono emersi molti giovani designer, e il mercato e i media in Cina hanno dato loro più spazio per crescere. Oggi ciascuno ha una voce più chiara, costruendo estetiche individuali e una modernità autenticamente nostra».

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Xander Zhou SS25

Le tue collezioni spesso fondono elementi di futurismo, fluidità di genere e techwear. Come prende vita il mondo visivo di una tua sfilata?

«Ogni sfilata nasce da una narrazione — a volte filosofica, a volte speculativa. Mi piace creare personaggi. Devo definire chi sono queste persone prima di poter disegnare per loro. Il mio processo non parte mai dalle tendenze. Voglio anche che ogni collezione abbia connessioni sottili con la precedente e la successiva — sia verticalmente che orizzontalmente — così da formare un universo in evoluzione. Attraverso abiti, suoni, luci e ritmo, costruisco una realtà parallela. Per me, una sfilata non è solo una presentazione ma una trasmissione — voglio che il pubblico senta di ricevere segnali dal futuro o di entrare in un mondo virtuale attraverso la mia prospettiva».

Il tuo lavoro sembra spesso oscillare tra l’umano e il post-umano. C’è un messaggio più profondo o una domanda filosofica dietro questo approccio estetico?

«Ciò che mi interessa è questo: in un’epoca di tecnologia, biomimetica e simulazione, cosa significa ancora essere umani? Quando tutto può essere digitalizzato o sostituito, quali parti della nostra umanità restano essenziali? Non sono un adoratore della tecnologia. In realtà, sono più affascinato dal lato umano — da come ci prepariamo alle trasformazioni che la tecnologia porterà. Il “post-umano” nel mio lavoro non riguarda la sostituzione dell’umanità, ma la sua espansione — esplorare la spiritualità dentro la tecnologia e l’empatia nei sistemi artificiali».

Qual è il tuo rapporto con il concetto di mascolinità?

«Non voglio ridefinire la mascolinità — mi chiedo se abbia bisogno di una definizione, innanzitutto. Per me, la moda maschile è un linguaggio in evoluzione che riflette le emozioni sociali e la coscienza del nostro tempo. Mi interessa di più rendere questo linguaggio aperto, fluido e più vicino a una condizione umana autentica».

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Xander Zhou FW25

La tua rete di rivenditori si estende tra Asia, Europa e Nord America. Noti differenze nel modo in cui i diversi mercati interpretano e indossano Xander Zhou?

«Oggi le differenze non sono tanto tra regioni, quanto tra individui. Viviamo tutti sullo stesso pianeta digitale — i social media hanno offuscato i confini geografici. Le persone ovunque si esprimono con audacia online, e trovo affascinante vedere come reinterpretano le mie collezioni a modo loro. La loro “seconda creazione” dona nuova vita ai miei capi e ne prolunga l’esistenza in modi che non potrei mai prevedere».

Sei considerato una figura di punta nella nuova ondata di designer cinesi che stanno ridefinendo la moda contemporanea. Secondo te, cosa definisce veramente la “nuova estetica cinese”?

«La cosiddetta “nuova estetica cinese” non riguarda motivi o simboli, è un modo di pensare. Sta nel modo in cui elaboriamo la tradizione, non come decorazione ma come filosofia. La mia generazione non cerca deliberatamente di far sembrare il proprio lavoro “cinese”, ma esprime la logica culturale in modo più interiorizzato. Progettiamo da una prospettiva globale, ma il nostro pensiero resta radicato nel nostro sistema culturale. Nel mio lavoro, ad esempio, spesso combino punti di agopuntura o esagrammi dell’I Ching [testo della tradizione della filosofia cinese, n. d. r.] con materiali futuristici — credo che esista un’intersezione magica tra l’antica saggezza orientale e la tecnologia moderna».

Come la tua generazione di creativi si rapporta alla tradizione senza cadere nello stereotipo dell’“esotismo orientale” spesso imposto dall’Occidente?

«Non abbiamo bisogno di convalidarci attraverso stereotipi occidentali. La tradizione, per noi, non è un materiale visivo da consumare. Quando reagisci eccessivamente a possibili fraintendimenti, finisci per limitarti. Come creatori, siamo prima di tutto individui — non dovremmo portarci dietro un fardello culturale ogni volta che creiamo. Ciò che conta è restare fedeli alla propria espressione, essere autentici nella complessità e non trasformare la cultura in una performance».

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Xander Zhou FW24

Hai anche agito come mediatore tra marchi commerciali cinesi e professionisti internazionali. Pensi che la Cina stia finalmente sviluppando la propria infrastruttura culturale per la moda?

«Sì, e sta accadendo molto più rapidamente di quanto molti pensino. La cultura della moda in Cina sta formando un ecosistema completo, dai media indipendenti e le agenzie creative ai team di produzione e alle piattaforme di presentazione. Attraverso collaborazioni continue, queste reti stanno diventando sempre più interconnesse. Anche i marchi commerciali e internazionali stanno contribuendo a questo processo, creando un circolo virtuoso tra creatività e business — uno che offre ai giovani designer più opportunità di crescita».

Come definiresti oggi la filosofia di Xander Zhou, in una sola frase?

«Esplorare cosa significhi davvero essere umani in un mondo che supera costantemente l’umanità».