La scomparsa di uno degli artisti più amati di Hollywood ha sconvolto il mondo cinematografico. Pochi giorni fa era al Sundance Film Festival con due nuove pellicole. E a fine 2014 lo rivedremo in Hunger Games 

“Abbiamo perso un grande, non uno pomposo ma un attore vero, in stile hollywoodiano”. Poche parole, dette a caldo da un amico alla notizia della morte di Philip Seymour Hoffman, sintetizzano l’essenza di un artista che ha saputo interpretare con la stessa intensità ruoli secondari e  parti da protagonista.

La generazione più giovane associa il suo volto al personaggio dell’inquietante Plutarco Heavensbee di Hunger Games, ma Hoffman ha saputo conquistare tutte le fasce di spettatori diventando uno degli attori più amati d’America, ammirato sia a Hollywood che a Broadway. Il New York Times lo considerava “uno dei migliori attori della sua generazione” (era nato nel 1967) e l’Oscar come miglior attore per l’interpretazione di Truman Capote nel film sulla vita del grande scrittore lo conferma. Un traguardo raggiunto nel 2005 che ha rappresentato per lui un punto di partenza, lo stimolo per fare sempre meglio. 

In molti lo avevano già notato prima di quel premio, almeno a partire dal 1998, l’anno di film come Il grande Lebowski, Happiness, Patch Adams. A cui hanno fatto seguito Il talento di Mr Ripley, Onora il padre e la madre, capolavoro di Sidney Lumet,  e molti, molti altri ruoli in cui Hoffman ha dimostrato di avere un talento speciale che gli è valso altre tre nomination come attore non protagonista.
Ma nella sua vita non c’erano solo successi. Recentemente aveva ammesso la sua dipendenza da droga e alcol in età giovanile, dopo la laurea alla scuola di teatro nel 1989. Si era disintossicato in un centro di riabiltazione e diceva di essere “pulito” da 23 anni. Invece.

Hoffman è morto per sospetta overdose. Alcuni mesi fa aveva raccontato in un’intervista al sito TMZ di aver sviluppato una dipendenza da un farmaco che lo aveva portato di nuovo all’eroina, ma era riuscito subito a disntossicarsi. Non c’era motivo di non credergli. Con la costumista Mimi O’Donnell, conosciuta nel 1999, aveva costruito una famiglia di cui andava orgoglioso, che comprendeva i loro tre figli Cooper Alexander, 10 anni, Tallulah, 7, e Willa, 5. Le soddisfazioni non mancavano: nonostante gli impegni cinematografici, non aveva mai smesso di lavorare a teatro e tre anni fa aveva provato l’esperienza di regista ottenendo ottimi commenti dalla critica per il film  Jack Goes Boating (uscito solo negli States).

Pochi giorni fa era al Sundance Film Festival a presentare i suoi ultimi film: God’s Pocket, in cui figurano anche Richard Jenkins, Christina Hendricks e John Turturro, e A Most Wanted Man, basato su un romanzo di John le Carré, con Willem Dafoe, Daniel Brühl, Rachel McAdams e Robin Wright. Mentre aveva già girato i due nuovi capitoli di Hunger Games – Il canto della rivolta, già programmati nelle sale italiane a novembre 2014 e a novembre 2015.