Adrien Brody e quella «necessità di impegnarsi per l’eccellenza». Verso l’Oscar
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Adrien Brody e quella «necessità di impegnarsi per l’eccellenza». Verso l’Oscar

di Simona Santoni

Più giovane di sempre a vincere l’Oscar al migliore attore protagonista, nel 2003 con “Il pianista”, ora il newyorchese dallo sguardo dolce e triste sta per centrare un glorioso bis. Merito di una dedizione monumentale al lavoro. E di un’intensità che lascia il segno

Tragico e ossessionato in The Brutalist, strampalato e naïf al servizio di Wes Anderson, in Midnight in Paris gli sono bastati 4 minuti da Salvador Dalí per essere indimenticabile. In due parole: Adrien Brody. Intensamente Adrien Brody.

Volto spigoloso e scarno, grandi occhi verdi su un’espressività dolce ma un po’ triste, è proprio l’intensità la dote principale dell’attore americano che, in oltre 35 anni di carriera, ha spaziato tra ruoli e toni, mantenendo scolpito nel tempo un dettaglio fondamentale: la serietà monumentale del suo impegno.

E ora, a 22 anni dall’Oscar per Il pianista, un’altra prestigiosa statuetta sta lambendo il suo percorso glorioso.

«C’è stato un periodo, non molto tempo fa, in cui ho pensato che questo momento non mi sarebbe mai più stato concesso», ha detto Brody un mese fa, emozionato e grato, nel ritirare il Golden Globe per The Brutalist. La notte del 2 marzo gli sarà concesso un altro momento di gioia immensa con un Oscar bis?

Adrien Brody
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Adrien Brody arriva alla cerimonia dei Golden Globe, 5 gennaio 2025

Da Il pianista a The Brutalist verso l’Oscar

Era il 2003 quando Adrien Brody, a 29 anni, vinceva l’Oscar al migliore attore protagonista per la sua struggente interpretazione ne Il pianista. Il più giovane di sempre a centrare questo successo.

Nei panni del compositore polacco di origine ebraica Wladyslaw Szpilman, ha vissuto la spirale nera del nazismo, dal ghetto di Varsavia all’invasione della Polonia alle deportazioni. Le note di Chopin, a inizio e a fine film, il fil rouge di un’anima spezzata dall’orrore.

Oltre vent’anni dopo Brody torna a quelle tematiche dolorose. Anche in The Brutalist è un artista e un ebreo, con addosso i traumi freschi dell’Olocausto. È László Toth, architetto ebreo ungherese che fugge dall’Europa dopo la guerra e arriva in America per iniziare una nuova vita. Personaggio di fantasia, è ispirato a veri architetti europei del Dopoguerra emigrati negli States come Marcel Breuer e Louis Kahn.

Per questa nuova traversata nel dolore, Brody ha dovuto rimestare nel suo passato da Szpilman. «Ho attinto da due profonde influenze nella mia vita: crescere come figlio di un rifugiato ungherese e rappresentare le memorie di Wladislav Szpilman come raccontate ne Il pianista», ha detto l’attore.

«Sebbene siano due personaggi completamente diversi, i mesi trascorsi a fare ricerche e a entrare in contatto con il passato di Szpilman e gli orrori di quell’epoca mi perseguitano ancora e hanno offerto una comprensione emotiva alle strazianti esperienze e perdite che caratterizzano il viaggio di László in America come rifugiato».

Adrien Brody è figlio della fotografa Sylvia Plachy, emigrata negli Stati Uniti da bambina negli anni ’50, in fuga dalla Rivoluzione ungherese.

L’esperienza vissuta con Il pianista, che gli fece piovere addosso un’ondata di fama e di lavoro, gli lasciò anche ombre di depressione.

Adrien Brody e Timothée Chalamet
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Adrien Brody e Timothée Chalamet a Cannes per il film “The French Dispatch”, 12 luglio 2021

La necessità di impegnarsi per l’eccellenza

Nella sua strada verso il secondo Oscar, Adrien Brody ha come rivali più temibili Sebastian Stan, che tolte le armature da eroe Marvel è impressionante come giovane tycoon in The Apprentice – Alle origini di Trump, e Timothée Chalamet, Bob Dylan ai primi successi in A complete unknown.

Ed è proprio quest’ultimo, il ventinovenne ragazzo d’oro di Hollywood, che potrebbe scippare a Brody anche il record come più giovane vincitore dell’Oscar da protagonista, per pochi mesi di differenza.

«Ho visto The Brutalist come una storia di perseveranza silenziosa e della necessità di impegnarsi per l’eccellenza. Anche quando ti hanno strappato il terreno da sotto i piedi», ha detto Brody. Quell’impegno verso l’eccellenza sembra aver alimentato anche la sua carriera da attore.

Per Il pianista Brody perse 14 chili. E visse lunghi tormenti. Raccontò: «Sono stato depresso per un anno dopo la fine delle riprese, e io non ne soffro solitamente. Non era solo depressione, era un lutto. Ero molto turbato da quello che ho abbracciato recitando in quel film e dalla consapevolezza che avevo acquisito».

A tutt’oggi, a 51 anni, l’attore newyorchese fa fatica a farci i conti: «Non riesco nemmeno a guardare Il pianista, un po’ piango quando ne parlo. Mi sono ammalato per questo. Ho seguito una dieta da fame e poi ho dovuto rimettere su peso».

Per quel ruolo, oltre alla privazione alimentare per dimagrire, all’epoca Brody mollò la fidanzata, vendette casa e auto e partì per l’Europa con solo due valigie e una tastiera portatile su cui imparò a suonare.

Adrien Brody
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Adrien Brody

Adrien Brody e la comicità che non ti aspetti

Tra gli attori più rispettati della sua generazione, Adrien Brody è abituato ai dossi della carriera d’attore. Prima di raggiungere la celebrità con Il pianista di Roman Polanski, era stato diretto da un altro grande regista, Terrence Malick, in La linea rossa. Peccato però che solo alla première del film, nel 1998, scoprì che gran parte delle sue fatiche erano state tagliate in sala di montaggio.

Ken Loach credette in lui quando era un volto visto ma non famoso, affidandogli il ruolo del sindacalista radicale nel suo primo film americano Bread and Roses (2000).

Le piroette del destino hanno invece giocato a suo favore proprio per Il pianista. Non fu lui la prima scelta di Polanski, che avrebbe voluto invece Joseph Fiennes. Questi era però impegnato a teatro e… il proseguo della storia è ben noto.

Entrato fedelmente nel raffinato potpourri di attori alle briglie di Wes Anderson, Brody ha recitato in ben cinque dei suoi film, da Il treno per il Darjeeling (2007) a Asteroid City (2023), sulla giostra di quell’umorismo felpato e color pastello.

«La cosa strana è che l’intensità e la dedizione alla mia arte e l’intensità di certe performance o ruoli che ho interpretato mettono in ombra i miei ruoli comici. Ma Il treno per il Darjeeling è una commedia; The Brothers Bloom è una commedia», ha osservato in passato Brody.

Midnight in Paris di Woody Allen è una commedia romantica e i 4 minuti appena in cui Brody dà vita a Salvador Dalí sono una chicca surreale e spassosissima. Memorabile la sua battuta: «Io ci vedo un… rinoceronte!».

Mantello di pelliccia e barba, lo vedremo presto in un mondo di dissolutezza e violenza nell’action epico Emperor, diretto dal neozelandese Lee Tamahori, nei panni del sacro romano imperatore Carlo V d’Asburgo. Ancora richiami d’Europa.

«Alcuni ruoli richiedono meno impegno, altri ne richiedono molto», Brody dixit. Con quella necessità, attenta e incessante, di impegnarsi per l’eccellenza.