Avatar: Fuoco e cenere, il sequel più atteso del 2025 è davvero all’altezza?
Eccolo, finalmente, il terzo capitolo della saga kolossal di James Cameron. Ma la meraviglia è ridimensionata e la trama ripetitiva. “Avatar” ha perso la sua magia, l’universo di Pandora no
Barriere coralline pittoresche, gigantesche creature marine senzienti, grosse caravelle libranti in aria sospinte da simil raiformi volanti… Bentornati nel mondo fantastico di Pandora, dove la natura trova forme impensate. Eccolo, finalmente, Avatar: Fuoco e cenere, dal 17 dicembre al cinema.
Ma quella che prima era una trepidante attesa, dopo il secondo capitolo del 2022 Avatar – La via dell’acqua si è trasformata in una sorta di abitudine disincantata. L’uscita del nuovo film di James Cameron è sempre un evento, certo. Ma il senso di magia si è ridimensionato. E dopo le 3 ore e 17 minuti di visione, la sensazione anticipatoria purtroppo è confermata. Che nostalgia della meraviglia assoluta lasciata addosso dal primo Avatar, sedici anni orsono!

Cosa succede in Avatar: Fuoco e cenere
Dopo le battaglie campali del secondo film contro la Gente del Cielo, ritroviamo la famiglia Sully dell’ex marine diventato Na’vi (Sam Worthington) orfana del primogenito. Allontanatasi dal clan delle foreste Omatikaya, si è ormai integrata con il clan Metkayina, tra oceani e barriere coralline e un’esistenza scandita dall’acqua. Anche Spider (Jack Champion) è ormai della famiglia, ma la sua sopravvivenza è legata a una maschera d’ossigeno fissa in viso, a causa dell’aria di Pandora inospitale per gli umani. Da qui la decisione di muoversi verso Alto Campo, la roccaforte degli Omatikaya.
Un nuovo nemico, però, è dietro l’angolo. Ha cerone bianco in viso, una striscia rossa dalla fronte al naso, copricapo simil pellerossa nero e scarlatto e sguardo feroce. È Varang, la leader del clan Mangkwan, furia distruttrice di impeto e fuoco. La interpreta – sempre dietro la performance capture – l’attrice spagnola Oona Chaplin, nipote di Charlie Chaplin, famosa per il suo ruolo di Talisa Maegyr nella serie tv Il trono di spade.

E poi… certo, c’è il solito cattivo, sempre e ancora lui, il colonnello Quaritch (Stephen Lang), “resuscitato”, ancora in sembianze Na’vi. Più che una missione, la sua è un’ossessione, diventata abbastanza ripetitiva e tediosa. Ricordate cosa accadeva in Avatar – La via dell’acqua? Ecco, Avatar: Fuoco e cenere si muove su quella falsariga. Non era facile tirar fuori nuova originalità e tensione da un materiale che probabilmente ha esaurito la sua vena.
I combattimenti sono continui, come il rincorrersi delle situazioni, in una sorta di horror vacui. La tenzone ripetuta tra Sully e i terrestri si fa noiosetta, come pure la brama predatrice umana, vista e rivista. Oh quanto ci piacerebbe, invece, soffermarci con più dolcezza sul mondo di Pandora, esplorandolo i suoi angoli segreti e incantati. Avatar ha perso la sua magia, ma l’universo di Pandora no.

La bellezza dei mercanti del vento, la furia di Varang
A Pandora ci sono ancora visioni da gustare con sguardo curioso e ammirato. Sono affascinanti i mercanti del vento, con le loro navi volanti intrecciate di corde e ormeggi, con le vele come ali, trainate da creature che sembrano mante dai riflessi luminosi.
È impetuoso il primo incontro con i Mangkwan, nel loro attacco improvviso e cieco. Varang è rovina, violenza e deprivazione, senza compromessi. Animalesca e assoluta. E proprio per questo è magnetica in ogni occhiata frontale che non retrocede e non conosce compassione. Nella sua ferocia granitica e ancestrale, è il personaggio vincente di Avatar: Fuoco e cenere.

Uno dei momenti più memorabili del film è il conciliabolo con la matriarca dei tulkun, gli enormi animali marini intelligenti, simili a cetacei, che hanno un legame speciale con i Metkayina. Il suono del suo verso è profondo e avvolgente, di autorità quasi divina: ascoltarlo nella Sala Energia del cinema Arcadia di Melzo, con Dolby Atmos e Meyer Sound che lo rendono immersivo e ancor più potente, è un’esperienza da provare almeno una volta nella vita.
«Questo mondo è molto più profondo di quello che immagini»: parole di Sully.

Solo 11 secondi senza effetti speciali
In attesa di Avatar 4 e Avatar 5, che usciranno a dicembre 2029 e 2031 – e chissà cosa si inventerà il regista canadese per allungar una trama già paludosa -, la carovana elefantiaca immaginata da James Cameron continua a macinare record produttivi da kolossal su kolossal.
Nella realizzazione di Avatar: Fuoco e cenere in Nuova Zelanda è stata coinvolta una troupe da oltre 1.500 membri. Ben 3.382 scene hanno effetti visivi, ovvero il 94% del film. Solo sette scene non li contengono, per un totale di circa 11 secondi appena. E anche stavolta, ça va sans dire, la Weta FX ha fatto un ottimo lavoro (già Oscar ai migliori effetti speciali sia Avatar che Avatar – La via dell’acqua).

Il terzo capitolo presenta oltre 2.000 effetti speciali acquatici, un volume simile a quello del film precedente, e in più ha oltre 1.000 effetti speciali di fuoco, dalle frecce infuocate al lanciafiamme, dalle esplosioni ai tornado di fuoco.
La costumista Deborah L. Scott ha iniziato a disegnare i look per i mercanti del vento e il popolo delle ceneri nel 2017, creando per i costumi oltre 8.000 illustrazioni. Il leader dei mercanti, Peylak (David Thewlis), indossa 803 pezzi di spago tinto e perline decorative.
Per creare le imbarcazioni volanti dei mercanti ci sono voluti oltre 100 chilometri di corda e 2.000 pezzi di bambù. Un terzo Oscar per gli effetti visivi è assicurato.