Cosa ci fanno Tyler, The Creator e Timothée Chalamet sullo stesso set?
È bastato un taxi giallo nel trailer per far impazzire Internet: Timothée Chalamet e Tyler, The Creator seduti fianco a fianco in una New York anni ’50 reinventata da Josh Safdie. Si chiama Marty Supreme ed è il biopic sul ping pong che unisce due mondi che nessuno aveva mai pensato di vedere nello stesso frame
Se avete visto il trailer di Marty Supreme avrete notato quell’inquadratura che da sola vale un intero saggio sul cinema pop degli ultimi anni. Un taxi giallo anni ’50, una New York ricostruita come se l’avesse sognata Saul Leiter, Timothée Chalamet con baffetti da giovane esteta nevrotico e, accanto a lui, Tyler, The Creator, sguardo da “so già come andrà a finire”. È un’immagine talmente improbabile da sembrare uscita da un fan-video su TikTok. E invece è reale, grazie a Josh Safdie e A24.
Parliamo di Marty Supreme, primo film “in solitaria” di Josh Safdie dopo l’era Good Time / Uncut Gems, è uno dei progetti più ambiziosi e apertamente pop della storia recente di A24. Un budget tra i 60 e i 70 milioni (più di Civil War, per intenderci), una premiere a sorpresa al New York Film Festival accolta con standing ovation, un buzz da Oscar già in circolo, un’estetica modellata da Darius Khondji su pellicola 35mm e un’uscita fissata per il 25 dicembre: non il film delle feste, ma il film-evento delle feste. E forse il titolo più rivelatore del 2025.

Marty Supreme: una storia vera alla Safdie-style
Al centro c’è la parabola di Marty Mauser (alias Marty Reisman), giocatore di ping pong, gambler, performer, figura borderline di una New York pre-Kerouac in cui i tavoli verdi non erano un hobby da seminterrato ma arene sotterranee. Safdie prende un racconto minuscolo e lo sabota nello stile che lo ha reso famoso: ritmo nervoso, tensione crescente, personaggi che vivono in quella zona grigia tra genialità e autodistruzione. Un “sports comedy-drama” che segue l’ascesa e la caduta di un hustler ossessionato dall’idea di trasformare uno sport considerato minore in un palcoscenico per la propria grandezza.
E che dire, Timothée Chalamet è impressionante. Dopo il Dylan elettrico di A Complete Unknown, abita Marty con un’intensità febbrile che non è mai manieristica. Per mesi ha indossato lenti correttive sopra le lenti a contatto; scelta punitiva imposta da Safdie per distorcere la vista e ricreare l’imperfezione percettiva del personaggio. Si è allenato ovunque: sul set, negli aeroporti, nei festival, da Londra a Budapest e Abu Dhabi, sotto la guida di coach professionisti e persino dell’ex olimpica Wei Wang. È il tipo di dedizione che Hollywood adora raccontare. Ma anche un qualcosa che serviva davvero per rompere l’immagine “glamour” di Chalamet e spingerlo verso qualcosa di più disturbante.

Il ruolo di Tyler, The Creator
Il colpo di genio è però la scelta di Tyler, The Creator nel ruolo di Wally, ex campione, amico, rivale, minaccia e bussola morale deviata. È la prima volta che riceve un ruolo drammatico di questo peso e porta con sé l’intero ecosistema che ha costruito negli ultimi quindici anni: l’estetica Wolf Haley, la psichedelia preppy di Golf Wang, il culto di Golf le Fleur*, i tour surreali, i profumi, i video, i mondi animati. La sua presenza allarga immediatamente il film, lo deforma, lo spinge verso un terreno dove la cultura pop smette di essere decorazione e diventa metodo narrativo.
E qui Safdie mette in scena una bromance che non è affatto una bromance. Niente arco classico mentor/allievo, niente sentimentalismi da storia edificante. Marty e Wally sono due linee parallele che si incontrano per sbaglio, e quando succede il film prende fuoco. L’ambizione compulsiva di Marty si riflette nello sguardo cinico e ironico di Wally; il desiderio di diventare leggenda collide con chi quella leggenda sa già quanto costi. È una coppia scenica che nessuno si aspettava; ma che anche a prima vista sembra funzionare.

La scelta del cast non finisce qui
Attorno a loro, Safdie costruisce un piccolo teatro di figure sorprendenti: Gwyneth Paltrow in un ruolo chiave e inatteso; Odessa A’zion come contrappunto emotivo; Fran Drescher in versione straniante; Abel Ferrara come presenza quasi mistica; perfino Kevin O’Leary (sì, “Mr. Wonderful” di Shark Tank).
Safdie, sempre controcorrente, ha voluto poi oltre 140 non-professionisti nelle scene di gioco: un modo per restituire al ping pong sotterraneo quella ruvidità documentaristica che nessun green screen, nessuna IA, nessuna “ottimizzazione” hollywoodiana potrà mai replicare.
Il film che non sapevamo di aspettare
Con l’uscita fissata per il 25 dicembre, Marty Supreme sembra destinato a diventare il titolo di fine anno più discusso. È il film che non sapevamo di voler vedere con la coppia inattesa che Hollywood non aveva previsto. Ha tutto quello che serve per diventare ossessione collettiva: i baffetti da culto di Chalamet in una performance da manuale, un Tyler magnetico e controllato, una New York anni ’50 che sembra un videogame analogico, Safdie che trasforma un passatempo da scantinato in un thriller emotivo e un estetismo pop che parla la lingua del 2025.
