L’Oscar del modernismo. La monografia sull’architetto Niemeyer

L’Oscar del modernismo. La monografia sull’architetto Niemeyer

di Digital Team

Finalmente ripubblicata (in edizione deluxe) la grande monografia sull’architetto Oscar Niemeyer, il papà di Brasilia e del modernismo carioca più sensuale

Il suo motto dichiarato è sempre stato «combattere la monotonia dell’architettura contemporanea» e va detto che nei tanti decenni della sua attività Oscar Niemeyer (1907-2012) non è mai venuto meno al suo credo tanto che ancora, superati i 100 anni d’età, ha continuato fino all’ultimo nel suo studio a Rio a firmare progetti bellissimi. Ricordato nonché celebrato come uno dei padri fondatori del modernismo, Niemeyer ha in realtà creato quella variante tutta particolare che è il modernismo brasiliano; per questo ha fatto di tutto tranne che seguire le orme degli altri maestri, vale a dire – giusto per citare qualche nome – i transfughi del Bauhaus Walter Gropius e Mies van der Rohe, e l’elvetico Le Corbusier (con cui peraltro lavorò e non per poco). Quel rigore tutto angoli retti e less is more con un carioca autentico come lui non aveva nulla da spartire. Lui che l’Europa tutta (ma anche gli States, la Russia) l’ha vista negli anni d’esilio e ci ha pure vissuto e lavorato a lungo, nel cuore e nei progetti si è sempre portato il profilo tutto curve delle montagne intorno a Rio, così come delle muliebri e bronzee bellezze che si incontrano sulla spiaggia di Copacabana.


Non è un caso che anche i meno avveduti finiscano per sentire una sottile quanto eloquente sensualità (erotismo?) lasciando scorrere lo sguardo su quelle forme che non si spezzano mai portando il cemento al massimo delle sue possibilità scultoree. È una fluidità spaziale elegante e gioiosa fatta di piani aperti, curve e muri liberi che non è mai però un gesto puramente estetico, perché l’attenzione di Niemeyer alla funzionalità non viene mai meno. È una cura che si estende anche all’ambiente circostante, di modo che tra il costruito e la natura – il paesaggio (siano essi quelle esplosive e incontenibili del Brasile, o quelli ben più antropizzati e metropolitani per esempio di New York) vi sia sempre equilibrio e dialogo.


Il papà di Brasilia, la capitale sorta dal nulla e che di Niemeyer porta in tanti edifici  l’inconfondibile impronta, è passato anche in Italia più di una volta. La prima negli anni 60, durante l’esilio parigino, quando la casa editrice Mondadori gli commissionò la costruzione della sua nuova sede a Segrate, alle porte di Milano (1967-70); a distanza di 50 anni, resta ancora, almeno esternamente, con quel contrasto tra linee rette e arcate, vetro e cemento, la magniloquenza delle proporzioni, l’immediata dichiarazione di modernità e tecnologia, un classico che del tempo se ne infischia.


 In Italia Niemeyer torna pochi anni dopo (1977) e firma, a Pianezza, pochi chilometri da Torino, la sede della Fata: un parallelepipedo sollevato dal suolo su coppie di possenti pilastri. Anche qui vuoti e pieni, il greve cemento che prende il volo e diventa, come sempre in Niemeyer, una plastica scultura. Sempre anni 70 e sempre hinterland torinese: questa volta sono le Cartiere Burgo a volere l’architetto brasiliano. E ancora dunque cemento  armato a vista, questa volta su una pianta circolare, stile ufo per capirci. In disarmo da una decina d’anni, la bella notizia è che a marzo 2024 ci si trasferirà uffici e bagagli la space company italiana Argotec, con intorno spazi verdi a non finire.


Per finire c’è poi l’Auditorium di Ravello a lui intitolato. Siamo già nel nuovo millennio (2008-10) e probabilmente molti di voi ricorderete tutto il contorno di polemiche su posizione, costi, dimensioni etc che ne hanno accompagnato la vicenda. Sembra tutto placato oramai, speriamo. Perché tutta questa chiacchierata-résumé su Niemeyer? Perché Assouline ripropone ora in edizione super, vale a dire nella Ultimate Collection (che significa edizione limitata e curata a mano), la monografia che pubblicò nel 2016. tutto è come deve essere: fotografie perfette di Matthieu Salvaing (peraltro grande amico di Niemeyer), testo di Michael Kimmelman chief art critic del The New York Times e poi anche schizzi e fotografie originali, nonché i contributi di archistar che al nostro devono davvero molto: Tadao Ando, Santiago Calatrava, Frank Gehry, Zaha Hadid. Il volume è in una apposita borsa di tela firmata Assouline, con un paio di guanti bianchi, perché tali rimangano anche le pagine durante e post consultazione.