Oltre il metodo standard: Marco Chiesa, ambasciatore europeo dello champagne, sostiene la tecnica del CIVC

Che differenza c’è, realmente, fra uno champagne valutato 90/100 e uno da 93/100? E ancora: una degustazione che seziona chirurgicamente colori, profumi e sapori è in grado di raccontare l’impatto complessivo di un bicchiere, oppure resta un arido elenco di caratteristiche? Ascoltando Marco Chiesa, ambasciatore europeo dello champagne nell’anno 2010 e autore del libro Dentro la leggenda (Trenta editore), viene da pensare che sarebbe meglio un approccio diverso. La cosa interessante è che esiste una soluzione: si tratta di applicare un tipo di approccio più emozionale introdotto a metà degli anni Novanta dal CIVC, il Comité Interprofessionnel du Vin de Champagne.

Il punto di partenza è un diagramma con ‘quattro macrocategorie: cuore, corpo, anima e spirito. Ad esempio, lo champagne di cuore può essere un brut molto fruttato di pinot nero, oppure un rosé non millesimato; lo champagne di spirito è un vino giovane, spesso un blanc de blancs; lo champagne di corpo è più maturo ed evoluto, mentre gli champagne di anima sono i grandi millesimi, dove, insieme alla complessità c’è qualcosa di talmente profondo da sfuggire alle descrizioni’.

Queste macrocategorie rappresentano i vertici di un rettangolo all’interno del quale è possibile posizionare ogni vino a seconda delle sensazioni suscitate: un tot di anima, un pizzico di corpo, dosi importanti di cuore, ed ecco trovato il posto giusto per una determinata bottiglia di champagne. Sì, ma giusto per chi?

Questo è un elemento centrale del discorso di Marco Chiesa: ‘La codifica emozionale è soggettiva e deve esserlo, perché lo champagne non nasce per aderire a un modello assoluto, come accade ad esempio con alcuni grandi rossi. Con lo champagne non esiste alcun ideale e non essendoci l’ideale non c’è nemmeno un giudizio di merito, un migliore o un peggiore, c’è solo quello che io personalmente provo’.

L’idea è stimolante, anche perché inverte l’approccio tipico dei degustatori, che analizzano un vino partendo dai dettagli: ‘Alcuni addirittura accostano il bicchiere all’orecchio per sentire il rumore delle bollicine. Poi passano al colore, che però non dà nessun parametro di qualità né di godibilità: a meno di non trovarsi di fronte a colori improbabili, chiaro segnale d’allarme, non è che l’oro pallido con riflessi ramati sia più buono dell’oro antico con riflessi verdi’.

Le sensazioni olfattive e gustative sono più pertinenti, ma a furia di separare i singoli elementi, il rischio è di ‘dare un punteggio senza aver capito ciò che hai bevuto. Invece, la degustazione dello champagne deve essere immediata, partire dalle sensazioni generali e poi eventualmente scendere nei particolari: devi chiudere gli occhi e lasciarti raccontare dal vino: è lui che racconta noi, non noi che lo sezioniamo per capire cosa c’è dentro. In questo modo la godibilità aumenta all’infinito, perché ogni champagne, salvo poche, inevitabili eccezioni, ha qualcosa da dire’.

Il ‘problema’ della fruizione emozionale è che priva le persone di un riferimento chiaro e autorevole: molti preferiscono averlo, a maggior ragione di fronte a bottiglie di un certo costo. Chissà, forse per questo il metodo del CIVC è caduto in disuso. Marco Chiesa è però ottimista: ‘Negli anni Novanta poteva sembrare complicato, ma credo che oggi potrebbe riprendere piede’.