

Dove si mangia la pizza più buona d’Italia?
Una mappa sentimentale (e golosa) tra grandi maestri, forni a legna e nuove scuole. Segnati questi nomi
La pizza più buona d’Italia? Sta a Caserta, dice la classifica 50 Top Pizza 2025, e a dirlo non è solo il palato ma anche la critica gastronomica. Ma fermarsi al primo posto, ai riflettori su Francesco Martucci e sul suo I Masanielli, sarebbe riduttivo. Perché la pizza, in Italia, è molto più di una ricetta ben eseguita: è una questione di scuola, di territorio, di mani, fuoco, farina e cuore.
I Masanielli e il regno di Martucci per la top pizza italiana

Caserta, città che negli ultimi anni è diventata capitale pizzaiola a tutti gli effetti, ospita I Masanielli, la pizzeria di Francesco Martucci, confermata per l’ennesima volta al vertice. Il suo capolavoro? Una marinara atomica, lievitata alla perfezione, con un equilibrio tra acidità e dolcezza che fa scuola. Martucci è uno scienziato del forno, ma anche un umanista del gusto: per lui, la pizza è un gesto d’amore, un rito collettivo. Ogni morso racconta la Campania più vera, quella che unisce tradizione e avanguardia.
Nord, Sud, centro: la geografia del gusto
La mappa si allarga. A Milano, città apparentemente distante dalla cultura pizzaiola, brillano due insegne straordinarie: Confine (in seconda posizione ex aequo) e Dry (settima). La prima è una sinfonia tra pizza e vino (premiata per la miglior carta), la seconda un tempio della contemporaneità, dove l’impasto diventa quasi design.
A Napoli, la pizza è fede. E la top 10 conferma il suo peso sacro nella scena: Diego Vitagliano Pizzeria (2ª ex aequo), 50 Kalò (6ª), La Notizia (9ª). Tre stili diversi per dire una sola cosa: la pizza napoletana è viva, in continua evoluzione. A Roma, Seu Pizza Illuminati si piazza terza. Innovativo e pop, Pier Daniele Seu ha portato la capitale dentro una nuova era, fatta di topping creativi e lievitazioni millimetriche. Mentre in Veneto, a San Bonifacio, I Tigli (4ª posizione) continua a sperimentare, ibridando alta cucina e pizza gourmet.

E poi ci sono le sorprese: La Cascina dei Sapori a Rezzato (BS), Sestogusto a Torino, Cambia-Menti a Caserta, firmata dal talentuoso Ciccio Vitiello, nominato pizzaiolo dell’anno. Ogni luogo custodisce una visione, un’intuizione, una comunità affezionata.
Nuove scuole, vecchi forni
Se da un lato c’è la tradizione – il forno a legna, il cornicione alto, la Margherita DOC – dall’altro avanzano nuove scuole di pensiero: fermentazioni naturali, blend di farine, topping inediti, impasti ad alta idratazione. La pizza italiana oggi è liquida, sfaccettata, contaminata. Milano è il nuovo laboratorio. Napoli è il cuore pulsante. Roma è il ponte tra classico e moderno. Caserta è il trono.
E poi c’è PizzAut, al 73° posto in classifica. Una pizzeria nata per offrire lavoro a giovani con autismo, con sedi a Monza e Cassina de’ Pecchi. Più che un’insegna, un simbolo. La dimostrazione che la pizza può anche guarire, includere, raccontare un’Italia che sa fare sistema.

In fondo però, la pizza italiana non può essere solo una questione di classifiche. È territorio, tecnica, memoria e invenzione. È l’arte di far convivere il sacro della tradizione con il profano della sperimentazione. Oggi più che mai, attraversare l’Italia in cerca della pizza perfetta significa raccontare un Paese che, proprio come i suoi impasti migliori, sa evolversi senza perdere la propria anima.