Antonio Abbruzzino, chef stellato di Catanzaro

Antonio Abbruzzino, chef stellato di Catanzaro

di Aldo Fresia

La guida Michelin gli ha assegnato la prima stella: ecco la storia, i segreti e i consigli in cucina dello chef calabrese

L’edizione 2014 della Guida Michelin ha assegnato la sua prima stella al ristorante Antonio Abbruzzino di Catanzaro, coronando in questo modo una lunga storia cominciata quando gli italiani migravano all’estero in cerca di lavoro. Dietro i fornelli ci sono Antonio Abbruzzino e suo figlio Luca.

L’interesse di Antonio per la cucina nasce grazie alla madre, che ha vissuto in Germania per tantissimi anni, dove ‘ha avuto ristoranti, pizzerie, attività commerciali legate alla ristorazione italiana, qualcosa di molto diverso con la cucina di oggi’.

Il passaggio di testimone di madre in figlio avviene dopo una lunga gavetta, partita dall’istituto alberghiero e continuata viaggiando molto: ‘Ho visitato Giappone, Russia, Turchia, Germania. L’Italia l’ho attraversata in lungo e in largo, soprattutto le isole. A conti fatti io sono un autodidatta, non ho mai avuto la fortuna di avere dei grandi maestri che mi insegnassero tecniche particolari o segreti che potessero farmi crescere. Ho sempre dovuto rubare il mestiere di qua e di là: andare in Sicilia e scoprire come valorizzano il pomodorino, la melanzana, i capperi, oppure andare in Giappone e capire la loro lavorazione del pesce, o in Turchia dove danno un valore particolare alle spezie’.

Un percorso lungo e faticoso, dunque, ma proprio per questo capace di confermare che quella per la cucina era passione vera: ‘Non mi pesava lavorare quindici, sedici ore al giorno, né svolgere i lavori più umili che mi affidavano da ragazzo. E mi entusiasmava sempre la scoperta delle materie prime.’

Questo atteggiamento non è cambiato con l’arrivo del successo e con l’esplosione del fenomeno mediatico legato agli chef: ‘A volte, di fronte alle attenzioni, mi sento come se mi stessero prendendo in giro. Ben venga il clamore, perché consente di trasmettere un’educazione alimentare, però io non mi sento una star, mi sento un lavoratore, uno di quelli che entra in cucina la mattina prima di tutti gli altri e va via la sera dopo tutti gli altri. Non mi tiro indietro se devo lavare una pentola o se devo fare lavori più umili’. E infatti Antonio preferisce essere chiamato cuoco, più che chef.

La sua umiltà diventa orgoglio quando parla del figlio Luca: ‘Ha portato una frizzante idea delle nuove tendenze della cucina, vuoi per le tecniche di lavorazione vuoi per alcuni spunti che ha acquisito grazie a una serie di stage presso grandi ristoranti. Se oggi abbiamo preso la stella lo devo sicuramente a lui’.

Due chef nella stessa cucina: chi comanda? ‘È una battaglia’, dice Antonio ridendo, ‘tutti i giorni è una lite, però poi alla fine si trova sempre un giusto compromesso, uno scambio di esperienze. La cucina non è né mia né sua, è nostra’.

Meno facile conciliare ciò che non riguarda strettamente i fornelli: ‘Lui ama una musica, io ne amo un’altra, lui ama un volume di musica, io ne amo un altro. Ogni tanto passo e gli spengo la radio, però alla fine si riesce a stare bene insieme’.

La cucina di Antonio Abbruzzino mette sugli allori il pesce: ‘Quello che offre il nostro mare è bellissimo’. Ma se gli si domanda qual è l’ingrediente di cui non può fare a meno risponde ‘la cipolla di Tropea, ne vado matto. È versatile, io non la definisco un aroma ma un ingrediente primario da valorizzare, da rendere protagonista del piatto’.

Un’altra caratteristica del suo ristorante è lo spazio concesso all’improvvisazione: ‘Capita, magari quando arriva un cliente abituale, che apro il frigorifero, guardo gli ingredienti e improvviso al volo un grande piatto. Poi il cliente torna, mi chiede di rifarlo e… chi si ricorda più come ci ero arrivato?’.

Tuttavia, solo gli chef esperti possono affidarsi all’estro creativo: ‘Quando tengo i corsi di cucina ad amatori e appassionati, dico sempre di non accingersi a fare un piatto senza aver prima preparato tutti gli ingredienti. Non essere organizzati bene, in cucina, è un errore da evitare’.