Francesco Mascheroni, Milano e il gusto Armani in cucina
Francesco Mascheroni Chef del ristorante dell'hotel Armani di Milano

Francesco Mascheroni, Milano e il gusto Armani in cucina

di Andrea D’Addio

Da nove anni a capo del ristorante dell’Hotel Armani a Milano, Francesco Mascheroni si racconta tra successi personali e sfide future

“Non credo di aver mai cucinato un piatto che considererei “perfetto”, ma ci sono piatti che sono il risultato di una continua ricerca. Ogni volta che cucino, cerco di migliorarmi, di fare meglio rispetto al giorno prima. È un processo: al centro non c’è tanto il piatto in sé, i gusti poi sono sempre soggettivi, quanto il migliorarsi costantemente, anche nella gestione del team”. Francesco Mascheroni, classe 1978, è da nove anni è lo chef dello splendido ristorante dell’Armani Hotel Milano su via Manzoni. Una passione per la cucina nata fin da piccolo osservando la nonna, e una capacità unica di rendere sofisticati piatti all’apparenza semplici (“cerco di usare sempre solo tre, al massimo quattro ingredienti”) definiscono la sua cifra stilistica.

Il Tajarin del ristorante dell'Armani Hotel Milano
Il Tajarin del ristorante dell’Armani Hotel Milano

Il menù natalizio lo conferma. Solo per fare qualche esempio: l’insalata russa è fatta con ventresca di tonno in olio d’oliva, tuorlo montato e colatura di alici, il baccalà mantecato è con crema di lattuga, anice e alloro, i cappelletti sono sì di carne, ma con consommé al kimchi fermentato, il bollito è con sedano rapa e mostarda di zucca e pera mentre il cappone è farcito con castagne, tartufo, foie gras e salsa di spugnole. C’è poi molto altro da scoprire al ristorante dell’Hotel Armani, sia nel menù degustazione che à la carte. “Per me, la tradizione gastronomica è un aspetto fondamentale. Dentro questo approccio cerco di inserire ricordi della mia infanzia. Il mio obiettivo è far rivivere queste sensazioni anche ai clienti, in modo che possano sentirsi a casa, anche se lontani”.

Come sono nate le idee per i piatti del ristorante dell’Hotel Armani che proponi in questo periodo?

Mi piace pensare al concetto di famiglia, alla convivialità, a quel momento di condivisione che avviene intorno a una tavola, soprattutto durante le festività. È un momento di pausa, un’occasione per fermarsi e stare insieme”.

Hai mai pensato: ecco, questo è il piatto perfetto?

Mai, ma ci sono piatti che sono il risultato di una continua ricerca per migliorarli. Per me, la perfezione è un obiettivo da raggiungere ogni giorno. Penso che l’importante non sia tanto il piatto in sé, quanto il migliorarsi costantemente, anche nella gestione del team. Non credo che la perfezione sia assoluta, anche perché il gusto è soggettivo. Un piatto che per me è perfetto potrebbe non esserlo per un altro, e viceversa. Per questo, cerco di non farmi troppo influenzare dalle delusioni: ciò che piace a me non è detto che piaccia a tutti.

C’è un piatto che ha un significato particolare per te?

Sì, il risotto alla milanese ha un significato speciale non solo per la sua storia gastronomica, ma anche per il legame familiare che ha. La mia famiglia, in particolare da parte di padre, è molto semplice, ma di grandi lavoratori. Durante la settimana non si mangiava carne, ma la domenica era tradizione preparare il bollito e con il suo brodo anche il risotto giallo, che per noi rappresenta un momento speciale di unione. Il risotto per me non è solo un piatto, è un simbolo di famiglia, di radici e di quei momenti di serenità che si creano attorno alla tavola. Ed è anche un simbolo di Milano, forse proprio per questo legame con la laboriosità radicato nella cultura lombarda.

Il ristorante dell'Armani Hotel Milano
Scorcio del ristorante dell’Armani Hotel Milano

In che modo il ristorante si impegna per la sostenibilità, così come l’Armani Hotel Milano?

Credo che la sostenibilità sia un percorso fatto di tante tappe. Inizia dalla scelta dei fornitori. Preferisco quelli più piccoli. Ad esempio, per le uova, scelgo quelle biologiche e da allevamenti a terra. Cerco anche di lavorare con prodotti di stagione. Cerchiamo comunque di fare scelte consapevoli e di ridurre al minimo gli sprechi. Ad esempio, insegno ai ragazzi a utilizzare tutto, anche le parti meno nobili degli ingredienti, perché la sostenibilità passa anche da un uso più completo delle risorse. Prepariamo tutto in casa, dalla pasta fresca al brodo passando per le basi per le zuppe.

All’Armani Hotel gestisci uno staff di 22 cuochi che tra il ristorante gourmet, il lounge bar, il room service e i banchetti: qual è il tuo approccio con il tuo – veramente ampio – gruppo di lavoro?

Ci tengo molto a prendere tempo per conoscere ogni ragazzo, per capire le sue esigenze. Non è solo questione di saper cucinare, ma di comprendere le persone, creare un’atmosfera di collaborazione. Credo che ogni cuoco debba avere cura dei propri ragazzi.

Quanto è importante la componente femminile nella tua brigata?

Attualmente ci sono quattro ragazze, più una stagista. Molte stanno con me da anni, altre sono andate altrove, il che è anche normale, perché è giusto cercare nuove esperienze. Non ho mai pensato a una brigata composta esclusivamente da uomini o donne. Per me, l’importante è che sia un gruppo di persone che lavori bene insieme.

Il ristorante dell'Armani Hotel Milano
Scorcio del ristorante dell’Armani Hotel Milano

Dopo aver iniziato nei ristoranti sei stato chiamato per fare il militare. E anche lì ti hanno messo in cucina: che esperienza fu?

Avevo 18 anni, avevo l’ambizione di lavorare a bordo di una nave, di viaggiare. E così scelsi la Marina. La vita non sempre va come ci si aspetta. E così, invece di salire su una nave, mi sono ritrovato in una capitaneria di porto, dove ho trascorso tutto il periodo del servizio. Non avevo un ruolo di responsabilità definito all’inizio, ma avendo già un po’ di esperienza, venivo considerato e coinvolto. È stato un periodo importante, si impara a dire sì anche quando non si è d’accordo, si acquisiscono doti diplomatiche molto utili riguardo al rispetto dei ruoli e delle mansioni.

Pensi che il tuo esempio come capo sia importante per il team?

Assolutamente. Non si tratta solo di supervisionare, ma anche di lavorare con i ragazzi, dimostrando che non c’è lavoro che sia troppo umile. Mi piace spesso far vedere ai ragazzi come si prepara. È anche un modo per insegnare loro la tecnica e l’importanza dei dettagli in cucina. È fondamentale che il capo non si limiti a dare ordini, ma che sia pronto a mettersi in gioco e a lavorare insieme alla brigata, per far vedere che non c’è mai una gerarchia rigida, che ogni lavoro è importante. Io ho iniziato da giovanissimo imparando tutte le postazioni e passando anche una prima parte di carriera all’estero, in Svizzera. Si cresce sempre ed è necessario farlo svolgendo ogni ruolo. E, una volta imparate le basi, cercando di migliorare sempre. Senza ansia da perfezione.