

Camping, glamping… Dormire fuori casa nella natura è il nuovo clubbing
Tende, yurta, bivacchi, rifugi di design: l’avventura, che sia reale, soft, controllata, scenografica è la nuova trasgressione. Un’indagine tra wild e fake-wild: come ci stiamo inventando nuovi modi per “evadere”
C’erano una volta le notti brave. Fino a qualche tempo fa, “evadere” voleva dire fare le cinque in discoteca, rincasare con la camicia sbottonata, sgranocchiare qualcosa di fritto sotto casa prima che sorgesse il sole. Oggi si va a dormire presto. Ma in alto. In mezzo alla natura. In tenda, sotto le stelle. Oppure in una yurta nel bosco, in un van, o in un geodome affacciato su un lago alpino, dove ogni dettaglio (dal piumino termico al legno profumato) è stato pensato per offrire un’esperienza wild, ma non troppo.
Dormire fuori casa è diventato il nuovo clubbing. La nuova esperienza immersiva, performativa, condivisibile. L’avventura del 2025 non è per forza estrema, ma anche controllata, confortevole, scenografica. Si chiama glamping, ma anche bivacco di design, soft survival, ospitalità esperienziale. E piace sempre di più, tanto che il mercato italiano del glamping è stimato crescere da 123 a 224 milioni di dollari entro il 2030. In Europa il settore vale già oltre 860 milioni.

Wild o fake-wild? La risposta è: entrambe
Cosa cerchiamo davvero, quando scegliamo di dormire in una bubble room trasparente tra i vigneti o in una cabina sospesa sul fianco di una montagna? Forse lo stesso che cercavamo nei club: uno stacco dalla realtà, un’esperienza estetica, un piccolo viaggio fuori dalla comfort zone. Ma oggi quella trasgressione si fa gentile, silenziosa, sostenibile. Non più notti sudate in pista, ma silenzi selezionati. Non più after in salotto, ma colazioni bio con vista.
Il confine è sottile tra ciò che è veramente wild o fake wild è sottile. Da una parte tutto è studiato. Dietro l’apparente spontaneità del “dormire nella natura” c’è spesso un progetto architettonico, un pensiero estetico, una sceneggiatura. Un’idea che simula l’avventura ma che la rende comoda. E funziona proprio per questo: è accessibile, sicuro, condivisibile. Un wild democratico e instagrammabile. Ne sono esempio le “star box”: stanze panoramiche progettate per dormire in solitudine, ma con design da catalogo e, spesso, un po’ di spa. O le yurte – antiche tende mongole rivisitate in chiave luxury – che spuntano tra gli ulivi come fiori post-moderni. Con idromassaggio, parquet, lampade d’ambiente. Tutto parla di evasione, ma anche di comfort. Di rituale, ma anche di performance.

E poi c’è il wild vero: bivacchi d’alta quota, senza segnale, senza comfort; i rifugi; la vecchia tenda (anche quella sul tetto dell’auto); il van. Dedicato a chi cerca l’essenziale. L’avventura che suda, che scricchiola, che sa di muschio e umidità. Sempre più persone – spesso tra i trenta e i quarant’anni – cercano il vuoto, l’assenza, il silenzio. Vanno in esplorazione con lo zaino pieno, senza telefono, si fanno tre ore a piedi per dormire in un posto senza acqua corrente. Un lusso fatto di mancanze. Perché in un mondo dove tutto è accessibile, la vera evasione diventa non poter prenotare. E se il fake-wild è comfort vestito da natura, il wild-wild è una presa di posizione. Più che un trend, una reazione: al rumore, alla sovrastimolazione, alla narrativa dell’esperienza patinata.
Il vero lusso è un ritorno alle origini (e alla natura)
È sempre più comune, infatti, parlare con persone di ogni fascia sociale e sentire lo stesso ritornello: chi può permettersi tutto, vuole sempre meno. È un cortocircuito quasi filosofico. La cosiddetta bella vita – quella fatta di champagne, tavoli riservati e località esclusive – non è più un valore di status. È folklore da anni Ottanta, da estati a Porto Cervo con Gerry Calà e Umberto Smaila in sottofondo.

Oggi chi ha molto desidera poco, ma autentico. Vuole togliere, non aggiungere. Vuole il fuoco, il legno, il silenzio. L’avventura senza fronzoli, a volte curata altre meno. Dormire su una Maggiolina (tenda da macchina ndr;), senza connessione ma con una coperta calda e una finestra sul cielo, diventa allora il nuovo modo di dire: sono libero, ho scelto io. Perché non c’è niente che ti metta più a nudo – più lontano dal superfluo, più vicino alla verità che andare a dormire tra gli alberi, magari anche a un passo dal mare, con il vento che muove la tela e il buio vero tutto intorno. Altro che suite all inclusive.
La notte come esperienza
In fondo, la notte nella natura è diventata una nuova forma di evento. Il punto non è tanto dove si va, ma cosa si cerca. Dietro entrambe le scelte – più o meno stilizzate, più o meno scomode – c’è lo stesso desiderio di sottrarsi a un mondo saturo, iperconnesso, prevedibile. La stessa voglia di rallentare, di sentire il vento che batte, di mangiare poco e bene, di dormire in silenzio. Solo che ognuno lo fa con gli strumenti che ha e che desidera: chi con un letto king size dentro una tenda mongola, chi con un sacco a pelo in alta quota. E alla fine, forse, il lusso vero non è né il design né l’estremo, ma la possibilità di scegliere.
