Troye Syvan

Troye Syvan

Un successo fatto di miliardi di streaming, concerti sold out, collaborazioni con grandi griffe, Hollywood: ma Troye Sivan non è cambiato e resta la popstar sincera che abbiamo imparato ad amare

di Daniel García López

Cantautore di un’onestà disarmante, che prende ispirazione dalla sua vita di giovane queer, il ventinovenne Sivan è anche un abile compositore di brani delicati, ma al contempo perfetti per la pista da ballo. Rush, il primo singolo tratto da Something to Give Each Other, ha conquistato la rete per la sua interpretazione vivace dell’euforia notturna post-rottura e anche grazie a un videoclip sensuale in cui Sivan si esibisce in coreografie atletiche. A un anno e mezzo dal turbinio provocato dal suo terzo album, che gli ha cambiato la vita, il cantante accende la webcam dalla sua casa di Los Angeles. Sivan, in T-shirt azzurra, si riconferma la popstar educata e composta che abbiamo imparato ad amare mentre ci racconta di aver da poco trovato «un po’ più di stabilità. I viaggi sono un po’ diminuiti, mi sto abituando ad avere una routine e a passare del tempo con il mio cane. Sono da poco tornato in studio. È un bel periodo».


Come va? È passato un anno e mezzo dal lancio di Something to Give Each Other.

Wow, è già passato così tanto! È stato incredibile. La mia vita è cambiata completamente. Sinceramente non potrei chiedere di più. Faccio musica da tanto tempo, dunque sentire questo slancio ora è veramente importante per me. Sono molto grato.

Le leggo una cosa: “Ventidue miliardi di stream sono un traguardo che solo pochi artisti possono vantare. A questo si aggiungono collaborazioni con marchi di moda, apparizioni sulle passerelle, ruoli principali in film di Hollywood, un articolo virale su Architectural Digest, e un pubblico social globale di oltre 20 milioni di persone. Questo è Troye Sivan.”. È la sua descrizione su Spotify.

La cosa che mi colpisce di più sono i 22 miliardi di stream perché… non lo so, riesco solo a immaginarli. Cerco di non pensarci troppo. Quasi tutte queste cose mi sembrano decisamente fuori dal mio controllo. È incoraggiante e insieme spaventoso. È una sorta di promemoria che mi ricorda di continuare a fare esattamente quello che sto facendo. Perché tutto ciò che ho sempre cercato di fare, fin da bambino, è stato creare cose che fossero divertenti, eccitanti e interessanti per me, invece di cercare di leggere nel pensiero della gente.


Something to Give Each Other sembra… un inno generazionale. Ha anche lei questa impressione?

Wow, grazie. Non so. Non credo di riuscire a capire davvero cosa rappresenti per gli altri. Io ho sentito un cambiamento durante il tour, forse legato alla dimensione di ciò che mi sta accadendo. Mi è sembrato che fosse diventato tutto più grande di me.

Come ascoltatore, e come uomo gay, penso che lei stia aprendo delle porte semplicemente perché sembra fare le cose in modo naturale. Canta della sua vita, segue il suo percorso. È mai stato difficile?

Un ingrediente della mia vita che ha reso possibile tutto questo è stato avere una buona rete di supporto: avere una famiglia e amici che mi sostengono per me ha significato non avere nulla da perdere. Non sono mai stato davvero spaventato. Ho sempre avuto quella sicurezza che è un privilegio e che sta davvero alla base di tutto: è la ragione per cui sento di poter essere semplicemente onesto.

Viviamo tempi complicati. Cosa crede che sia andato storto?

Siamo la prima generazione di umani in possesso dei social media. Penso che per i primi 10-15 anni di utilizzo di queste piattaforme fossimo tutti troppo ottimisti e ingenui. Ora è difficile trovare qualcuno che non sia stato toccato personalmente dagli effetti negativi della dipendenza da social, dalle profonde divisioni che si stanno creando, dalla radicalizzazione e dalle camere d’eco. Iniziamo a vedere gli effetti a lungo termine, e non è bello.

Come ci si sente a essere in tour negli Stati Uniti proprio in questo momento, specialmente con uno show così pieno di libertà, sesso e gioia come Sweat?

In realtà ho solo due concerti in programma. Ma sarò l’headliner del World Pride di Washington, che sarà straordinario. Credo che i concerti siano una sorta di reazione, così come lo sono le persone del pubblico. E credo che fare festa e celebrare – soprattutto la comunità queer, le persone trans, la vita notturna e gli spazi queer – tutte queste cose sia in questo momento un vero atto di ribellione. Quindi in realtà credo che sarà molto speciale esibirmi in questi due concerti.


La musica pop può essere più di una semplice forza di guarigione? Pensa che possa di fatto cambiare le cose?

Un concetto sul quale mi sono concentrato molto mentre scrivevo questo album è proprio l’idea di un pop globale. Alcuni dei miei primi ricordi sono legati ai concerti in videocassetta di artisti come le Spice Girls, Michael Jackson e Madonna, tutti mega spettacoli. La città in cui si svolgevano passava in secondo piano. Anche se la gente non sapeva il significato delle parole, conosceva i suoni. Credo che la musica abbia un potere immenso, quello di unire le persone. Potrà sembrare banale, ma ci credo davvero. La musica pop è così potente perché si diffonde su una scala enorme. Quindi sì, credo che abbia la capacità di cambiare le cose.

In vecchie interviste raccontava con delicatezza di come cantasse ogni sorta di canzoni gay ai suoi genitori. Quando sua madre si metteva a piangere, lei capiva di aver colto nel segno. C’è qualche momento specifico che ricorda come particolarmente liberatorio?

A proposito di coming out, ricordo il momento in cui ho detto ai miei genitori che sarei andato al Pride per la prima volta e loro mi hanno risposto che sarebbero venuti con me. È stato un momento di grande sollievo; non credevo di averne così bisogno. Non avevo nessun amico gay all’epoca. Quindi sarei andato con una delle mie amiche etero, mi sarei sentito supportato, ma decisamente solo. È stato un gesto davvero carico di valore e molto dolce nei miei confronti. E ora i miei genitori partecipano anche senza di me.


Com’è nata la collaborazione con Prada?

Era un mio sogno da molto. Per me è una stella polare nel mondo dell’eleganza senza tempo. Adoro i loro vestiti. La signora Prada è un’icona, ovviamente, e Raf è un genio. Tutto è cominciato quando ho sfilato sulla passerella di Miu Miu: probabilmente ero più nervoso per quell’evento che per qualsiasi mio concerto.

Quanto è importante la moda per lei?

Si può comunicare molto attraverso ciò che si indossa. Quando ero più giovane cercavo in ogni modo di rimpicciolirmi e occupare meno spazio. Ero teso, avevo sempre troppa paura. Per questo ho sempre ammirato le persone che si vestivano come volevano. Anche ora, quando vado in Australia, in un certo senso torno a essere un adolescente che non vuole attirare troppa attenzione, mentre quando sono qui posso lasciarmi andare un po’ di più.

Fa parte dell’etica di un performer avere questa tensione tra la volontà di passare inosservato e quella di essere al centro dell’attenzione?

Anche nel mio lavoro non desidero stare al centro dell’attenzione.Forse non mi sono espresso nel modo giusto. No, capisco, perché capisco che può sembrare così. Lo dico con il cuore. Adoro fare parte di un ensemble creativo; è la cosa che preferisco in assoluto, da sempre. Adoro stare sui set perché sono coinvolte tantissime persone, ognuna fa il proprio lavoro al meglio per il bene comune del progetto. Certo, alla fine ci metto il mio nome sopra, e mi sento molto fortunato di poterlo fare. Ma per me la vera motivazione risiede nel progetto e nella collaborazione. Anche per questo mi sono divertito così tanto in tour con Charli. È stata un’esperienza condivisa, anche con sei incredibili ballerini. Abbiamo vissuto questa avventura tutti insieme, il che l’ha resa molto più soddisfacente e anche più adatta a me.


Come siete cambiati lei e Charli da 1999, che avete registrato nel 2019, a Talk Talk, il vostro ultimo brano insieme?

La cosa più toccante di Charli è che non è mai davvero cambiata. Penso piuttosto che sia la gente che le sta in torno a essersi allineata. È semplicemente fantastica e completamente autentica; forse è per questo che arriva così tanto alle persone. È davvero gratificante e soddisfacente vedere qualcuno ottenere finalmente il riconoscimento che merita.

Si è lamentato dell’utilizzo del termine “twink” .

I gay hanno queste etichette interne che sono divertenti, utili e in qualche modo fanno parte di noi. Non ho problemi se sono usate nel giusto contesto. Trovo però strano che molti si approprino di termini della cultura queer anche se non fanno parte della comunità. Preferisco che a utilizzare questi termini sia una persona queer.

Come pensa si sia evoluta la sua musica?

I pilastri sono sempre gli stessi. Scrivo quasi sempre in modo autobiografico e con tutta l’onestà possibile. Poi, mi piace pensare che ci sia una sorta di calore intrinseco in tutto il mio lavoro. Cerco di creare emozioni più che canzoni. Un esempio è Rush: sentivo che c’era una sensazione che mancava nell’album, ed era proprio quella danza euforica. Sono sempre entusiasta quando percepisco che abbiamo distillato una sensazione, più che un genere o un suono specifico.


Non ha mai avuto paura di parlare dei suoi sentimenti e delle esperienze di vita nelle sue canzoni, ma One of Your Girls esplora nuove profondità (È un brano del suo ultimo album in cui descrive l’insicurezza e l’ambivalenza che si provano incontrando un uomo etero curioso di esplorare la sfera gay. Il ritornello dice: “Give me a call if you ever feel lonely / I’ll be like one of your girls”) È la prima volta che sento questa situazione raccontata in una canzone.

Penso che sia in parte dovuto al silenziamento delle persone queer, avvenuto fino a poco tempo fa. C’è un vero e proprio vuoto, almeno nella cultura pop. Il lusso di poter essere onesti in una canzone e farla arrivare a così tante persone è qualcosa di relativamente nuovo. Come autore, non ho mai fretta di creare musica. Aspetto finché non arriva qualcosa di davvero potente.

Il suo ultimo album descrive una situazione post-rottura. Quale fase della sua vita ritroveremo nel prossimo?

Non voglio dirlo perché sono letteralmente all’inizio del processo. Preferisco non rinchiudermi in una categoria, né mettermi pressione per cercare di capire di cosa tratterà. Voglio continuare a esplorare e vedere dove mi porterà.

Nell’ intero servizio Troye Syvan veste Prada
Photos by Brett lloyd, styling by Marc Forne, Hair: Jerrod Roberts @The Wall Group. Make up: Loftjet using Rabanne Beauty @Forward Artists. Set design: Dylan Lynch @11th House Agency. Lighting director: Bailey Beckstead. Photography assistant: Scott Turner. Styling assistants: Ava Duncan, Carson Fuetsch. Production: The Morrison Group. Location: LastOutpost Ranch.