Love Queer: come l’arte racconta l’amore eccentrico
Nan Goldin, "Philippe H. and Suzanne Kissing at Euthanasia, New York City", 1981, Nan Goldin Courtesy of The Museum of Modern Art, New York. © 2016 Nan Goldin

Love Queer: come l’arte racconta l’amore eccentrico

di Elena Bordignon

Le vie dell’amore sono infinite, così come il modo di raccontarlo, rappresentarlo ma soprattutto viverlo. L’arte contemporanea è tra le discipline in ambito culturale che maggiormente assorbe e rimescola le tante e imprevedibili manifestazioni dell’amore queer.

Sfidare le rappresentazioni dell’amore ‘canonico’ mediante fotografie, dipinti, video e installazioni significa dare maggiore visibilità alle comunità LGBTQ+, al loro modo di amarsi senza distinzioni, categorie e limiti. Abbiamo rovistato tra le file degli artisti contemporanei più affermati per selezionare quelli che maggiormente svolgono un ruolo fondamentale sia nelle comunità queer che, più in generale, nell’immaginario collettivo.

Catherine Opie

Le Highways di Los Angeles, famiglie lesbiche, i surfisti, i parchi nazionali americani, case di Beverly Hills: sono molte le realtà che la fotografa americana Catherine Opie immortala da oltre trent’anni. Molta parte della sua produzione fotografica è incentrata sui suoi incontri e relazioni e sulle sue esperienze di vita come donna lesbica. Resta memorabile il suo autoritratto del 1994, dove si ritrae con una cappuccio di pelle a coprire il volto, le braccia trafitte da decine di spilli e il torso nudo con inciso (a sangue) ‘pervert’.  Lo scorso anno è uscito per Phaidon un nuovo libro fotografico di Opie, con una selezione di oltre 300 foto  e dove uno dei temi centrali è l’identità queer della fotografa.

Paul Mpagi Sepuya

Le sue fotografie spiazzano le aspettative di chi le guarda, sui temi del nudo e dell’autoritratto nell’arte. Paul Mpagi Sepuya è un fotografo americano che ha fatto del suo corpo il punto di partenza per mostrare un diverso modo di rappresentare i corpi neri, mettendoli in relazione con le strutture formali e stilistiche della statuaria antica. Manipolando la prospettiva fotografica con specchi, tendaggi e collage, Sepuya complica le relazioni dei corpi all’interno delle immagini: incastrati, nascosti, sovra o sottodimensionati, i corpi si trasformano in creature imprevedibili che minano le nostre certezze.

David Hockney

Iniziamo la nostra carrellata con uno degli artisti che più in assoluto ha introdotto nei suoi dipinti allusioni alla propria omosessualità, anche se nella sua giovinezza le relazioni tra persone dello stesso sesso erano illegali nel Regno Unito. Noto per aver sviluppato un linguaggio visivo molto originale nel descrivere i paesaggi e gli spazi domestici californiani, Hockney è importante perché ci ha fornito un’immagine attraverso la quale comprendere l’esperienza del maschio gay bianco nella Los Angeles degli anni ’70. Se Francis Bacon, altro grande artista britannico, aveva definito la sua omosessualità “un difetto” e la rappresentava in modo tormentato, Hockney invece lo ha sempre fatto in modo solare, senza timori, anzi spesso ostentandola. Emerge dalla sue tele una sorta di inno all’amore libero, giocoso e senza giudizi di sorta.

Nan Goldin

Per molti versi, Nan Goldin può essere definita l’antesignana di tanta parte delle rappresentazioni della cultura LGBTQ+ e dell’amore queer. Resta una pietra miliare il suo capolavoro The Ballad of Sexual Dependency (1980-1986): un diario intimo dove scorrono oltre 700 fotografie che raccontano la sua vita a New York negli anni ’80. Giudicate troppo crude e realistiche, le sue foto hanno mostrato al mondo la realtà omosessuale, senza veli e senza giudizi. I protagonisti erano i suoi amici, tossicodipendenti, transessuali, personalità violente e spesso ai margini, conoscenti in fin di vita, malati di AIDS, drag queen. Un mondo sommerso – ricordiamoci che alla fine degli anni ’70 l’omosessualità era considerata una malattia mentale – che si divertiva, amava, si drogava e spesso, tristemente, moriva.

Nicole Eisenman

Nicole Eisenman esplora la condizione umana nei suoi dipinti, disegni e opere usando le tecniche più disparate e le popola con figure che sembrano prelevate da cartoni animati guardati attraverso uno caleidoscopio: forme, dimensioni e colori sono virati in modo innaturale e spesso allucinato. Dominati da un umorismo oscuro, i protagonisti sono i ritratti (esasperati) dei suoi amici e di se stessa mischiati con un’umanità frutto della sua immaginazione. Ogni figura è animata da un’ambiguità di fondo, da una sessualità incerta, da comportamenti spesso estremi e provocatori. La tensione delle sue opere nasce dal superamento delle classiche categorie maschio/femmina, gay/etero, passato/presente, un superamento possibile grazie al potere trasformativo del linguaggio pittorico.

Wolfgang Tillmans

Considerato a ragione un ‘cronista’ della sottocultura gay, Wolfgang Tillmans si è imposto sulle scene della moda e dell’arte negli anni ’90 con uno stile fotografico oscillante tra ‘cultura alta e bassa’. Eclettico e velocissimo nel sapersi muovere tra mostre, sfilate, gallerie e discoteche, imponenti monografie e fly-poster, Tillmans ha raccontato meglio di chiunque altro l’effimero della cultura pop giovanile – compresa quella LGBTQ – e gli stili di vita di una intera generazione (la sua), ma ha anche mostrato un diverso modo di vedere e vivere la moda. E’ noto il suo impegno politico e sociale. Tillmans ha fotografato parate di gay e lesbiche, marce contro la guerra e manifestazioni di Black Lives Matter. Nel 2017 ha aperto la fondazione Between Bridges, impegnata “nell’umanesimo, nella solidarietà e nel progresso della democrazia” e fortemente dedita al sostegno delle arti e dei diritti LGBT+.