Cassiche rielaborazioni, azzardate costruzioni e future previsioni. Le passerelle maschili della moda parigina, da un altro punto di vista

Meditazione sull’abito grigio. Una rappresentazione quasi scultore della lentissima arte del tailoring si è messa ben in mostra, nell’ultimo giorno della moda parigina, sulla passerella di Thom Browne. Monocromia assoluta, un défilé di una lentezza estenuante che ha messo alla dura prova già una provata fashion people. Abito grigio come tema unico. Ma con un’approfondita maniacalità. Quarantaquattro uscite, tre macrogruppi tematici. Dall’idea dell’abito, al cartamodello in due dimensioni, fino all’abito finito. Un gioco di proporzioni e riedizioni di un classico del guardaroba maschile. Un racconto dettagliato dei punti sul quale si costruisce un abito sartoriale.

Con un po’ più di vita, in una foresta di betulle bianche, prende vita invece la collezione di Issey Miyake. Un ritorno alla natura, all’outdoor, e di nuovo, come già visto a Milano, al trekking. Materiali organici, tessuti in nylon antipioggia, taffeta di seta e inserti in poliestere. Le texture sono quelle delle cortecce delle betulle create sovrapponendo lastre di stampa o intessendo cinque diversi fili colorati. Sfilano poi i macro check, quadri gialli e blu, intrecci di lana cardata con sottilissimi fili riflettenti.

Di nuovo ispirazione alla natura, questa volta Les Benjamins che omaggia l’arte della caccia con le aquile un antico rituale che si compie dalle steppe verso la catena montuosa dell’Altai, in un patchwork elaborato di dettagli etnici ispirati al barocco. Da qui il guardaroba: ocra, bordeaux, sabbia su cui ritornano di nuovo slogano come Hunt, caccia, The Horseman Country, il paese dei cavallerizzi e Great Eagles Fly Alone, le grandi aquile volano da sole, incisi come emblemi industriali sul jersey di cotone double-face, e velluto francese.

Il premio per la miglior presentazione va invece a Jonny Johansson per Acne Studios. Un’aula della Facoltà di Farmacia, un professore che attraversa più di un secolo di storia per raccontare l’origine del selfie, una ventina di modelli che sfilano, nel frattempo, su un bancone di piastrelle bianche che probabilmente ha ospitato la sezione di qualche cadavere durante la lezione di medicina legale. Tutti attenti a prendere appunti. I cappotti sono over, in neoprene, così come i pantaloni e le sneaker, le camicie rigate e gessate e dai collli enormi come negli anni ottanta, dolcevita in cashmere, di nuovo il rosa, bretelle e maglioni con zip e colli cartoon.

Capi non finiti come arte da indossare. È il nuovo approccio di Maison Margiela che invita a protestare pacificamente assemblando brutalmente materie prime che non si somigliano. Cotone e velluto da tappezzeria, tweed e pelle, denim e nylon. Le stampe non sono finite, i montoni spruzzati con gesso colorato senza troppa attenzione.

E poi Junya Watanabe che porta in collezione capi destinati ad entrare nel guardaroba dei ragazzi più cool della prossima stagione. Vince ancora il co-branding, in cima alla lista c’è The North Face che rielabora per Watanabe maxi piumini color block, giacche in tweed con inserti hi-tech, bomber e giacconi catarifrangenti. Ma anche Levi’s, Carhartt, Vans e  Barbour che danno vita a denim stampati e pantaloni cargo, field kjacket in panno, treche cerati e doppipetto con le maniche trapuntate.