A Londra è stato insignito del premio “Designer dell’anno”: artefice di un nuovo universo di stile, e di una nuova era da Gucci, ecco come Alessandro Michele sta definendo la moda che verrà

Ai British Fashion Awards tenutisi a Londra a inizio del mese è stato premiato come International Designer of the Year. Pochi giorni dopo Marco Bizzarri, CEO del marchio di cui è direttore creativo, Gucci, ha dichiarato che le due prime collezioni disegnate da lui non andranno in saldo, a conferma di un successo di mercato che non ha bisogno di sconti per uscire dai negozi.

Capace di mettere insieme la stampa e il pubblico, ed autore quindi di un binomio di approvazione sempre più raro, Alessandro Michele è senza dubbio il protagonista della moda dell’anno.

Un’aria nuova, quella che ha portato, che gli addetti ai lavori hanno avuto modo di respirare a pieni polmoni sin dalla sua nomina ufficiale, quando è per la prima volta apparso sulla passerella, scapigliato, le mani cariche di anelli, il maglione del giorno prima, come ammesso da lui stesso in una recente intervista, dopo la rottura di Frida Giannini con Gucci, e aver preparato e rivoluzionato la collezione in soli cinque giorni. E non importava che di Giannini lui sia stato il braccio destro per 13 anni: in un universo nel quale, prima di lui, si era abituati a vedersi succedere direttori creativi tanto conosciuti quanto il marchio di cui si sarebbero occupati, la promozione di un nome sconosciuto persino agli addetti al settore ha sorpreso tutti, lui compreso. 

Prima di Gucci, Les Copains e Fendi, dove ha imparato l’arte dell’essere liberi dal maestro del cambiamento permanente, Karl Lagerfeld, l’amore per il cinema e la scenografia passatogli dalla mamma che in quel mondo ci lavorava, tutto il curriculum personale e professionale di Michele si è riflesso, in un solo momento, già in quella prima collezione. 

Un cambiamento epocale rispetto alla visione di Gucci di Frida, ancor più se paragonata a quella di Tom Ford, nume tutelare del marchio con il quale si sono dovuti scontrare duramente quelli che sono venuti dopo. L’iper-sessualizzazione, i riferimenti ad un’America ibernata nel suo glamour perfetto, à la Halston, sono stati sostituiti in toto da un tripudio di bottoni vintage, passamanerie e applique, occhiali con montatura in tartaruga, stampe barocche e baschi francesi da pittori bohémien sulle rive della Senna. Una celebrazione, la sua, dell’imperfezione, e della fragilità, ancora più notevole nell’abbigliamento maschile.

Un operato estetico da alcuni visto come politico, sociale, anche se Michele ha sempre rifiutato queste interpretazioni, affermando di aver semplicemente riportato in passerella quanto si vede ogni giorno sulle strade delle metropoli. E quello che si vede in strada è un uomo che rifugge le categorizzazioni, soprattutto quelle di genere, che indossa camicie fluide in seta, e capispalla che sembrano rubati al Rinascimento, al confine tra innocenza e virilità, in un universo cromatico e di riferimenti che sembra mutuato dai film di Wes Anderson, regista il cui lavoro in molti hanno avvicinato all’universo di Michele. Un’interpretazione nuova, fresca, della mascolinità, sposata anche dalle celebrities sui principali red carpet: ad essere rapiti dalla sua visione sono stati in tanti, da registi impegnati come Matteo Garrone e Luca Guadagnino, a celebrities hollywoodiane del calibro dei premi Oscar Eddie Redmayne e Jared Leto. Nel mezzo, figure di spicco, attori e iniziatori di tendenze del Sol Levante, mercato sempre più agognato dai marchi.

Una rivoluzione la sua, a trecentossesanta gradi, che non poteva farsi mancare, nel 2015, una presenza massiccia sui social, soprattutto sul sito ufficiale Gucci e su Instagram, dove Michele ha saputo sposare una delle sue passioni, l’arte, con la celebrazione di classici del brand, motivi noti come Flora, da lui rivisitati su borse e piccola pelletteria, croce e delizia del designer, con l’invito ai giovani creativi a fare altrettanto, e condividere i risultati con l’hashtag #guccigram .

Un talento visionario, il suo, orgoglio tricolore di un marchio che ricomincia finalmente a parlare con il suo vocabolario, reso moderno, contemporaneo, e capace di scatenare nell’immobilismo tutto italiano del sistema moda un terremoto di cui si spera di aver visto solo l’inizio.