Christopher Bauder, l’uomo dei laser
Christopher Bauder

Christopher Bauder, l’uomo dei laser

di Andrea D’Addio

Christopher Bauder crea installazioni immersive dove si amalgano laser in movimento e musica elettronica. La nostra intervista a Berlino

Christopher Bauder crea mondi. Lo fa progettando tutto, non solo luci, colori, suoni, movimenti degli elementi e regolando lo spazio dentro cui muoversi, ma anche inventando le tecnologie che rendono quelle realtà possibili. Parigi, Zurigo, Montreal e Città del Messico sono solo alcune delle città che hanno ospitato le sue creazioni, ma è sicuramente Berlino la sua città di riferimento. Christopher Bauder è nato a Stoccarda nel 1973, ma si è trasferito nella capitale tedesca alla fine degli anni ‘90 per l’università e qui è rimasto, salvo un periodo di studi negli Stati Uniti. “Mi sento un berlinese, sia perché ho vissuto qui più a lungo che in qualsiasi altra città, sia perché le mie opere sono legate a doppio filo con questa metropoli, anche quando non si svolgono qui,” ci racconta nel suo grande ufficio a Rummelsburg, emergente periferia est della città, a poche decine di metri da Dark Matter, uno spazio polivalente, sia museo che terrazza open air, nato per ospitare in maniera continua le sue installazioni.

I lavori in giro per il mondo e l’esigenza di un posto per sé

“Volevo una casa per le mie creazioni, un posto che potessi gestire in autonomia, dove ogni lavoro è accessibile per mesi e non un giorno o solo alcune settimane.” L’ultimo lavoro si chiama Flow, è pensato per lo spazio esterno e durerà fino al 29 settembre. “Al giorno d’oggi ci sono tanti lavori potenzialmente più immersivi, con occhiali da indossare o altro ancora. Sono però dell’opinione che le persone apprezzino ancora di più qualcosa che è nel loro spazio fisico reale, intorno a loro. Che non sia una simulazione, ma qualcosa che puoi effettivamente toccare.”

La maestosità che ammanta ogni volta i lavori di Christopher Bauder suggerisce sempre l’idea che ci si trovi davanti ad eventi da ora o mai più. Nelle sue installazioni ci si perde, non si percepiscono delimitazioni. Per il 25 anni della caduta del Muro di Berlino, Bauder creò Lichtgrenze, ovvero una linea ininterrotta di palloncini sul perimetro della divisione tra est ed ovest che furono rilasciati in aria nell’ora esatta dell’anniversario. Fu un successo di cui ancora oggi si parla in città facendo paragoni. “Ti ricordi il novembre 2014?” è una domanda ricorrente di molti berlinesi a ogni celebrazione di anniversario.

Quanto la tua arte è legata al mondo di oggi, quanto riflette lo Zeitgeist dei nostri tempi?

C’è da fare una premessa: ciò che faccio non sarebbe stato possibile in passato, sicuramente non prima degli anni ‘80. La tecnologia permea le mie opere. Non esistevano e non si potevano sviluppare software in grado di coordinare così tanti elementi in grado di spostarsi nello spazio seguendo una così lunga serie di comandi. Dal punto di vista artistico invece è chiaro che i miei lavori seguono un percorso personale che è legato alle epoche che ho vissuto e vivo tuttora, hanno senso ora perché sono un riflesso, filtrato dalla mia personalità, del mio presente.

Dark Matter - Flow
Dark Matter – Flow
Dark Matter – Flow

Quali passati e presenti in particolare?

Sono cresciuto nei club di Berlino, ho vissuto la scena techno degli anni ‘90 e 2000. Mi è sempre piaciuto il mondo visivo dei club, come tutto funziona fuori dal buio, come un mondo parallelo che non ha nulla a che fare con il mondo reale. Sono affascinato da questa combinazione di musica, aspetto visivo e luci. Berlino aveva molti spazi vuoti quando mi sono trasferito qui, era possibile creare e sperimentare. Potevamo ottenere edifici abbandonati e costruire le nostre opere d’arte, condividere studi con altri ragazzi e così via. La città e i tempi hanno ispirato tutti questi sviluppi, compreso il mio gusto musicale. Creo la musica elettronica di ogni mia opera, e non è musica che esisteva 50 anni fa.

Come è nato il tuo modo di realizzare arte?

Tutto è partito con la realtà virtuale. Dopo aver studiato a Berlino, nei primi anni 2000 ho fatto un master alla scuola d’arte di Chicago. C’era un corso in cui facevamo visualizzazioni 3D. Ora è qualcosa di comune, all’epoca di meno. Studiavamo come creare scenari incredibili e arte in 3D. Più entravo in quel contesto più mi convincevo che volevo andare nella direzione opposta, fare cose fisiche, che funzionano davvero nel nostro spazio. E così, anche se non avevo studiato ingegneria, avendo giusto qualche base nella progettazione di codici, ho cominciato a lavorare alla creazione di laser in movimento. È stato l’inizio di un percorso che vent’anni dopo mi ha dato la possibilità, ormai con un team di più di 50 persone, di fare cose sempre più ambiziose.

Che rapporto hai con l’Intelligenza Artificiale? Nonostante la tua arte si basi sulla tecnologia, il tuo rapporto con la creazione sembra ancora molto “manuale”…

La sto studiando, non ne ho paura. Sto facendo varie prove, devo capire in che modo può diventare un qualcosa in più e non un elemento in grado di omologare e fare perdere l’aspetto personale dietro ogni opera.

Dark Matter - Christopher Bauder
Dark Matter – Christopher Bauder
Dark Matter – Christopher Bauder

Quali sono le tue sfide di oggi?

Cerco sempre di sviluppare ulteriormente la tecnologia. Ho sempre una nuova idea su come spingerla avanti. E poi c’è il lato narrativo. Cerco sempre di evocare qualche tipo di emozione nelle persone, storie che aiutino a trasmettere varie emozioni. E poi c’è il come combinare questi due aspetti, e anche questo può essere fatto in maniera diversa. E poi c’è la musica. Lavoro sempre su questi tre aspetti contemporaneamente. L’esempio migliore forse è Vektor, show che ho fatto in un’ex centrale abbandonata di Berlino, la Kraftwerk.

È importante che il pubblico comprenda anche la narrazione, forse la parte più astratta di ogni tuo lavoro?

No, ma è bello se lo fanno. In definitiva sono storie molto personali. Alcune si possono magari percepire per l’atmosfera o per qualcosa del genere. Perché le hai vissute tu stesso. Cerco di creare cose abbastanza astratte da funzionare ovunque, idealmente in tutto il mondo, senza preconcetti o educazione preliminare.

Prima di te non esistevano opere del genere, ora però se ne vedono diverse in giro. Come vivi questa popolarità?

Sono molto orgoglioso di essere la fonte di un intero movimento. Praticamente tutto ciò che ora sincronizza grandi quantità di luci che si muovono nello spazio, l’ho inventato io. Ci sono molti giovani artisti che usano questa tecnologia oltre che aziende che l’acquistano per creare a loro volta altre opere. Ho dedicato gli ultimi 15-20 anni della mia vita allo sviluppo di sistemi motorizzati cinetici, ovvero tutto ciò che mi serve per muovere la mia arte e i miei elementi luminosi, e vederne il suo sviluppo è una grande soddisfazione, anche se, lo ammetto, mi dispiace che a volte, da alcuni, questo lavoro non venga riconosciuto.