Icon new trends: Hyper-pop Made in Italy

Icon new trends: Hyper-pop Made in Italy

di Patrizio Ruviglioni

Il suo nome è Arssalendo, ha 23 anni, viene da Roma e si è inventato un genere musicale che in Italia ancora non c’è. Ma cos’è esattamente l’hyper-pop? Ce lo dice lui in questa intervista

Artisti come Arssalendo somigliano più a esploratori che a musicisti in senso classico. Gran parte del loro lavoro, infatti, consiste nell’inventarsi un genere che in Italia ancora non c’è. Nel suo caso l’hyper-pop, che a livello internazionale ha rappresentanti come Arca e Charli XCX, ma che qui è appena all’inizio. «Condividiamo», racconta, «un’estetica digitale e post-umana, dai suoni elettronici acuti, distorti, scomposti». Una versione distopica del pop tradizionale, insomma, che Alessandro Catalano – 23 anni da Roma, il nome d’arte è un anagramma di quello vero – è tra i pochi a cantare nella nostra lingua. Il talento è nel farsi strada al buio. «Anche se “hyper-pop” è un termine ombrello che raccoglie cose diverse. Non so se appartengo alla scena che abbiamo in casa».

Ph. @Simone Bozzelli

Sarà che lavora rigorosamente da solo e in cameretta, il posto da dove tra l’altro risponde a questa chiamata su Zoom. Orecchino, mullet, sguardo vispo; parla, con minima cadenza romanesca, di locali e amici come di creatività. O sarà che «faccio ciò che sento senza pensare alle etichette», e quindi siamo oltre il “lost in translation”. Ma per fare hyper-pop italiano, evidentemente, serve pensarla così. «Voglio tener conto di tutti i miei riferimenti, compresi l’emo-core dei Fine Before You Came e l’indie-pop dei Cani. Non importa se c’entrano poco con il genere». Arca e l’avant-pop tornano soprattutto come attitudine: spezzare le melodie, metterci su liriche in italiano anche se «è meno difficile di quanto sembra», “pitchare” la voce fino a renderla stridula e “femminile”, trasformare i ritornelli in strofe e viceversa, campionare venti volte un vocale di WhatsApp e ricavarci un giro di sintetizzatore. «Se una cosa non va fatta perché “brutta” state tranquilli che la faccio», sorride. «Questo, per me, è hyper-pop».


Ph. @Malli Sgabroot

Il risultato sono canzoni complesse e scure, ma anche sorprendenti e affascinanti, che «nascono, crescono e corrono» in un computer. Da lì, infatti, arriva Tutti ammassati senza affetto, il disco che ha pubblicato lo scorso anno come uno sfogo delle paranoie del lockdown, tra cui quella di prendere la metropolitana da cui deriva il titolo. E sempre da lì arriva Ma tu ci tieni a me?, un EP in uscita in questi giorni che fotografa gli ultimi mesi di tour. Quelli in cui «a fine concerto c’è spesso la ragazza che ci prova con te senza conoscerti, solo perché ti ha visto sul palco». Sul palco, la ragazza in questione ha visto più o meno questo: un musicista a torso nudo che si dimena su computer e sintetizzatori, che urla e invita a pogare gli spettatori in brani su cui «non si dovrebbe pogare», perché «da me si sta tutti ammassati ma con affetto». E che ammette: «Giro sempre da solo, trasporto e monto io stesso gli strumenti. È stancante, ma quando vedo il pubblico ballare realizzo che ne vale la pena». 

@ Christian Kondic

Perfino una musica così nativa digitale, post-umana per definizione, conserva quindi una dimensione fisica. Fatica, condivisione. «All’estero l’hyper-pop ha alle spalle grandi etichette, qui è underground. Ciò significa meno soldi, ma anche restare artigianali, sperimentare». E nell’arte di arrangiarsi, nello sporco delle produzioni indipendenti, Arssalendo ha trovato l’originalità.

La foto di apertura è di Christian Kondic