Intervista a Julianne Moore, l’attrice dei premi che non ha imparato a stare in camera
Julianne Moore è Gloria Bell nell'eponimo film

Intervista a Julianne Moore, l’attrice dei premi che non ha imparato a stare in camera

di Andrea D’Addio

L’attrice premio Oscar ritorna sulla Croisette per ripercorrere la sua carriera e le sfide che ancora l’aspettano

«Da bambina, mi trasferivo continuamente a causa del lavoro di mio padre, che fu prima colonnello e poi giudice militare. Dovevo costantemente adattarmi a diverse culture e prestare attenzione al mio comportamento e a quello degli altri. Inoltre, non ero portata per lo sport o le attività atletiche, e fare la cheerleader non era nelle mie corde. Ho invece sempre amato la narrativa. L’unica strada possibile era il laboratorio di teatro. E così iniziai. Una mia insegnante mi incoraggiò poi a perseguire la recitazione professionalmente, dandomi quella spinta necessaria. Questo, unito alla mia fascinazione per il modo in cui le persone vivono le loro vite, mi ha portato a diventare attrice». 

Incontriamo Julianne Moore durante il Festival di Cannes, all’interno dell’incontro Women in Motion organizzato da Kering, il gruppo francese a capo di alcune delle più importanti maison del lusso. L’attrice statunitense è l’unica, insieme a Juliette Binoche, ad essere stata premiata con il massimo riconoscimento per l’interpretazione ai festival di Cannes, Venezia e Berlino, oltre che con l’Oscar (per Still Alice nel 2015). Moore ha compiuto 63 anni lo scorso dicembre. Fin dal suo ingresso nella stanza all’ultimo piano dell’Hotel Majestic, sorride, scherza e emana un’aura di umile serenità che trasforma la sua innegabile bellezza da elemento estetico da osservare a stato d’animo a cui ambire come modello. Il passare degli anni non è mai stato un problema per lei, almeno se si fa fede alle sue dichiarazioni pubbliche passate. «Lo scorrere del tempo per gli attori è visibile a tutti. Ci sono i film a raccontarlo. Non puoi nascondere nulla. Ed è una sorta di sollievo.»

Sono passati 35 anni dal tuo debutto cinematografico, un po’ di più se si parla di quello televisivo: quali sono le storie che ancora ti convincono a dire di sì a un progetto?

«Le storie più belle non sono necessariamente quelle su destini straordinari come astronauti o regine. Le vite di ognuno di noi possono essere incredibilmente affascinanti. Le relazioni quotidiane, andare a scuola, la cura dei figli, passeggiare con il cane… Del resto è per questo che a volte, da attrice, ti viene chiesto come passi un lunedì mattina. Le persone, e quindi anche chi fa l’attore, sono curiose. È naturale. Tutto ciò, se visto da una particolare prospettiva, può diventare interessante. Il punto di vista fa la differenza ed è ciò che cerco.»

Julianne Moore in After the Wedding
L’attrice Julianne Moore nel film After The Wedding
L’attrice Julianne Moore nel film After The Wedding

Che rapporto hai con i film del tuo passato?

«Li lascio andare. Una volta finiti di girare, non mi appartengono più. Ne ho ricordi, ma sono concentrata su ciò che verrà dopo. Sono curiosa. E questo mi consente di guardare sempre avanti, di non fermarmi.»

Nel mondo del cinema ci sono sempre più donne: montatrici, direttrici della fotografia, cineoperatrici…

«Di recente ho lavorato con Sydney Sweeney per il film Echo Valley. Lei ha solo 26 anni, ma ha già diversi lavori anche come produttrice. Questa libertà nel pensare che ci si possa provare, anche se donne e giovani, non c’era quando iniziai. Io non penso che l’avrei tentata. Siamo però ancora lontani dalla parità. Se ci guardiamo intorno per strada, avremo la percezione che ci siano tanti uomini quante donne. Perché invece in alcuni settori, come nel cinema, improvvisamente questa media cambia? Abbiamo fatto progressi, ma ci vuole ancora impegno nel cambiare una certa mentalità.»

Julianne Moore Crazy Stupid Love
Julianne Moore Crazy Stupid Love
Julianne Moore Crazy Stupid Love

Ci sono registe con cui vorresti lavorare?

«Vorrei ritrovare Rebecca Miller, con cui girai La vita segreta della signora Lee nel 2009. E poi almeno una volta fare un film con Jane Campion e Mia Hansen-Løve, registe in grado di raccontare anche il quotidiano con un’intensità che rende tutto unico. L’ultimo film di Mia Hansen-Løve, One Fine Morning, passato proprio a Cannes due anni fa, sembra raccontare una storia normale, una donna con figlio che si lascia e si reinnamora, eppure ha una potenza incredibile, tutti riusciamo a immedesimarci e viverla come una nostra storia.»  

Sei cambiata come attrice in questi anni?

«Ho imparato come comportarmi sullo schermo. Che non è qualcosa di universale. Dipende prima di tutto dal copione. Se sento qualcosa di forte verso il personaggio, è più semplice, ma non è neanche sempre così. A volte vedo giovani attrici che riescono subito ad essere naturali. Per me non funziona così. Ho studiato a lungo le tecniche di recitazione, ma devo tuttora concentrarmi molto, altrimenti ho la percezione di non essere a mio agio davanti alla cinepresa.»

Dieci anni vincevi proprio qui a Cannes il premio per la migliore interpretazione femminile per Maps to the Stars di David Cronenberg…

«È un bel ricordo. Dal momento della proiezione ero già tornata a Long Island, dove vivo con mio marito. Suona il telefono. Stessa cosa è successa quando ho vinto a Venezia e Berlino. Avevo già lasciato le città e l’annuncio mi è stato dato al telefono. Sono stati squilli fortunati.»