Le mostre da non perdere. Ancora grande arte nel 2024 in Italia

Le mostre da non perdere. Ancora grande arte nel 2024 in Italia

di Digital Team

Pronti? Via! Il 2024 comincia con grandi mostre: classici, contemporanei, avant garde….comunque scegliete, non sbagliate!

Se il 2023 è stato un anno che a conti  fatti ci ha regalato un calendario di mostre di tutto  rispetto, anche il 2024 non si preannuncia da meno. C’è ancora una volta una scelta per tutti i gusti. Si spazia dunque dai classici moderni ai top del 900, con intriganti aperture sulla contemporaneità. 


MIchael Stipe, veduta dell’installazione

Si intitola I have lost and I have been lost but for now I’m flying high la personale di Michael Stipe (1960, USA), alla Fondazione ICA di Milano. Varie generazioni lo hanno conosciuto come leader della band americana R.E.M., ma Stipe è sempre stato molto più di un semplice cantante “rock”. Con le arti visive ha una lunga pratica, cominciata ancora adolescente come fotografo. Le oltre 120 opere esposte fino a sabato 16 marzo, ruotano intorno al tema del ritratto, di fondo dunque l’essere umano. Sono rappresentazioni figurative e non, con una buona dose di concettuale che si manifesta nella ampia serie di  tecniche usate come la suddetta fotografia, ma anche la ceramica. Soggetti di questi “ritratti” sono le persone, le amicizie  e gli amori che hanno avuto un peso particolare nella vita di Stipe, tanto da trovarsi  addirittura coinvolte nella realizzazione delle opere stesse.

Da dove viene il titolo della mostra, di sicuro poco usuale? È emerso da una conversazione tra il curatore e l’artista, in cui Stipe identifica la vulnerabilità come forza propulsiva, sfidando le considerazioni convenzionali che la connotano negativamente come una responsabilità da assumersi o una debolezza. Al contrario, nel caos accelerato della vita contemporanea, Stipe identifica la vulnerabilità come un potente strumento di sopravvivenza e un approccio filosofico più ampio per tracciare nuovi percorsi. Noi la chiamiamo resilienza.

Dadamaino, Componibile, 1965

Il MA*GA di Gallarate (VA) presenta, fino al 7 aprile, un’importante retrospettiva dedicata a Dadamaino, al secolo Edoarda Emilia Maino, (1930-2004), una delle maggiori protagoniste dell’avanguardia del secondo Novecento. Poche le figure femminili attive in Italia, quanto sicuramente tutte di altissimo rilievo: basta ricordare Carla Accardi, Renata Boero, Nanda Vigo, Grazia Varisco…Questa antologica ripercorre attraverso 80 opere le tappe fondamentali della carriera dell’artista milanese. Gli esordi sono a fine anni 50 nel clima di  reazione alla tempesta cromatica dell’informale. Nella sua prima personale, alla Galleria Prisma nel 1959, Dadamaino proponeva infatti una pittura monocroma e sperimentava sulla superficie spaziale della tela. Si comincia allora con il ciclo dei Volumi, tele monocrome aperte su grandi perforazioni. L’influenza, manco a dirlo, di Lucio Fontana è palese, ma la pittrice riesce a trovare una sua strada originale.

E comunque, per far capire il clima del periodo i Volumi e i successivi  Volumi a moduli sfasati sono messi in dialogo con le opere della collezione del museo di Lucio Fontana, Enrico Castellani e Piero Manzoni, Giovanni Anceschi, Davide Boriani, Gianni Colombo, Enzo Mari, Getulio Alviani, Alberto Biasi. Siamo in pieno clima “cinetico”, quando cioè gli artisti lavorano non più sulla tela, ma creando oggetti che con il  movimento producono un effetto ottico e visuale. Una continua ricerca è l’aspetto interessante dell’artista e la mostra, seguendo un percorso cronologico, ne dà ampio conto. L’esposizione si completa con le tele con lettere dell’Alfabeto della mente, e la gigantesca opera Il movimento delle cose, lunga trenta metri, su cui si svolge la “scrittura” di Dadamaino e che fu presentata in una sala personale alla Biennale di Venezia del 1990. Da vedere perché non di soli pennelli vive l’arte.


Joan Mirò, Lithographie VI, 1972

Ve l’abbiamo segnalata in chiusura a Torino e ora la citiamo nuovamente, in apertura a Catania. Parliamo di Miró  La gioia del colore, che dal 20 gennaio al 7 luglio  viene riallestita al Palazzo della cultura, a Catania. È la tappa finale di un bel viaggio partito da Trieste. Ricordiamo: sono circa 80 opere. Ci sono dipinti, tempere, acquerelli, disegni, sculture e ceramiche, molte opere grafiche, libri e documenti. Si va dal 1924 al 1981, praticamente l’intero percorso del maestro del surrealismo. E in più c’è una notevole sezione fotografica e video a raccontare il pittore e ceramista catalano. 


Vincent van Gogh, ritratto di Joseph Michel Ginoux

È ancora e sempre Van Gogh. E come per la mostra di Miró si tratta di un lieto ritorno. Capolavori dal Kröller Müller Museum, a Palazzo Revoltella, Trieste. dal 22 febbraio, è  la terza tappa italiana dopo quelle di Roma e Milano. Del resto, mostre di questa portata hanno costi importanti che solo attraverso più tappe e quindi più biglietti, cataloghi etc è possibile coprire.  Alle 50 opere già presentate se ne aggiungono ora due speciali, i ritratti dei coniugi Ginoux, i proprietari del caffè di Arles frequentato dall’artista. La tappa romana ha avuto un’affluenza record di 600mila presenze. Quanti saranno i visitatori a Trieste?


Rimaniamo ancora in clima secondo Ottocento, ma ora con una mostra tutta nuova. De Nittis. Pittore della vita moderna, dal 24 febbraio, a Palazzo Reale, Milano, fa il punto sul famoso ensemble degli “italiani di Parigi” con Boldini e Zandomeneghi che, per fortuna critica e di pubblico e soprattutto per carica rivoluzionaria, erano a pari livello degli impressionisti, come Manet e Degas. Del pittore pugliese – Giuseppe De Nittis era nato a Barletta nel 1846 – l’esposizione milanese allinea una novantina di opere tra tele, pastelli. Insofferente delle convenzioni, De Nittis è stato il perfetto, geniale e curioso cantore della città moderna.

Protagoniste di tante sue opere sono le più moderne del tempo, Parigi e Londra, e i loro abitanti. A riportarci lo spirito di quei tempi è una pittura luminosa, en plein air, su cui l’artista si era allenato a lungo negli anni giovanili a Napoli. È durata solo vent’anni la carriera di De Nittis, dal 1864 al 1884 conclusasi a soli 38 anni per un ictus che non gli ha dato scampo.