Maurizio Cattelan, quale arte merita di essere esposta?
Maurizio Cattelan, "Breath", 2021 (Courtesy of the artist, Marian Goodman Gallery e Pirelli HangarBicocca. Photo by Zeno Zotti)

Maurizio Cattelan, quale arte merita di essere esposta?

di Marta Papini

È la domanda a cui Maurizio Cattelan ha dovuto rispondere, davanti a 5.998 opere, per allestire la sua mostra a Stoccolma. E in questa intervista esclusiva ci racconta com’è andata

Chi stabilisce quale arte è degna dei riflettori, e quale no? Nel mondo dell’arte contemporanea è un quesito che ricorre spesso tra i non addetti ai lavori. È la domanda cui Maurizio Cattelan ha cercato una risposta con la mostra La terza mano, al Moderna Museet di Stoccolma (fino al 12/01/2025). L’esposizione include alcuni tra i più importanti lavori dell’artista, in dialogo con opere della collezione del museo svedese, nota per includere capolavori di artisti come Pablo Picasso, Amedeo Modigliani, Salvador Dalí e Robert Rauschenberg.

«Quando mi hanno invitato a riallestire la collezione avevo in mente le opere che tutti conoscono, come Monogram di Rauschenberg, o La femme aux yeux noirs (Dora Maar) di Picasso. Quello che non sapevo è che ce n’erano altre 5.998 che non avevo mai visto, e come me molti altri». Da qualche anno, infatti, come parte delle azioni di valorizzazione delle opere in collezione, la direzione del Moderna Museet invita artisti contemporanei a pensare a una personale che includa anche le opere acquisite dall’istituzione a partire dagli anni 70.

Per buona parte della sua storia, l’arte non è stata generosa con gli artisti e le artiste in modo paritario: l’inclusione della maggior parte delle artiste donne nella collezione dello stesso Moderna Museet, ad esempio, è un’iniziativa che è arrivata a compimento solo qualche decennio fa. Maurizio Cattelan ha deciso di concentrarsi proprio sulle donne in collezione, dando visibilità alle opere di artiste come Eva Aeppli, Lena Swedberg, Cilla Ericsson, Eija-Liisa Ahtila e Cecilie Edefalk, accanto alle più note Rosemarie Trockel e Niki de Saint Phalle, con l’unica eccezione maschile di Roy Lichtenstein.

La nona ora, la figura di papa Giovanni Paolo II abbattuto da un meteorite, apre la mostra. Qua e là, sulle soglie delle porte, sugli infissi delle finestre, i piccioni della serie Ghosts osservano i visitatori dall’alto. Il primo dialogo è con l’opera dell’artista svizzera Eva Aeppli: 48 manichini vestiti di seta nera dal volto funereo circondano il pubblico, incalzandolo. Le vie di fuga sono due e si aprono dalla parte opposta della stanza: a destra si entra in una perfetta replica in miniatura della Cappella Sistina, che Cattelan ha presentato per la prima volta a Shanghai nel 2018. A sinistra si percorre un corridoio in cui sono esposte le opere di Lena Swedberg, che includono una sequenza di caricature di personaggi politici americani crocefissi.

«Non è la prima volta che ricopro il ruolo di curatore, ma è la prima volta che mi confronto con un magazzino di opere così vasto. Non è stato facile scegliere quali fossero i lavori cui dare importanza, e proprio per questo è stato spontaneo chiedersi: che cosa vale e che cosa no? Perché questo e non quello?». Tanto che, nella terza sala, Maurizio Cattelan ha deciso di non scegliere affatto, e di trasferire una intera porzione di magazzino al piano superiore, con tanto di rastrelliera porta-quadri a ricoprire le quattro pareti, mentre al centro si staglia una nuova edizione di L.O.V.E., il monumento inaugurato nel 2010 in Piazza Affari a Milano.

«Ho provato a non includerlo, ma i curatori non hanno voluto sentire ragioni»: la sala successiva è dedicata a una delle opere più note di Cattelan, Him. La figura inginocchiata di un Hitler contrito e dalle dimensioni inquietantemente infantili è additata dalla mano rappresentata da uno dei maggiori autori della pop art americana, Roy Lichtenstein, come un giudizio divino in risposta alle preghiere del dittatore nazista.

La mostra prosegue con quello che si potrebbe considerare un omaggio a generazioni di femministe. Su una parete giace Horizontal di Eija-Liisa Ahtila, un video a sei canali che ritrae un abete rosso alto 30 metri in orizzontale, come se fosse caduto. A fare da contraltare all’abbattimento di questo monumento vegetale ci sono le edizioni dell’opera di Cattelan Untitled (2007): cinque cavalli tassidermizzati decapitati. Sulle altre due pareti due capolavori della collezione: lo Shooting Picture (1961) di Niki de Saint Phalle (l’artista, raccontando come aveva sparato alla tavola intonacata per ottenere che le latte di colore esplodessero, dichiarò che «stava sparando a tutti gli uomini, a suo fratello, alla società, alla Chiesa e alla scuola») e un’opera di Rosemarie Trockel, in cui l’artista, attiva dalla metà degli anni 80, presenta piastre elettriche da cucina sulla tela, come se fossero un’opera minimalista.

La terza mano si chiude con quattro versioni dell’opera Elevator di Cecilia Edefalk, che rappresentano una donna diafana e perturbante mentre riposa, forse per sempre, e Breath, il più intimo e indifeso degli autoritratti di Maurizio Cattelan, osservati dall’alto da centinaia di piccioni.

«Vestire i panni del curatore della collezione mi ha dato la possibilità di conoscere opere di artiste che non avevo mai visto, e metterle in dialogo con alcune delle mie, che ormai conosco a memoria. È un incontro che credo arricchisca entrambi. Mi piaceva l’idea di creare una piccola storia in una storia dell’arte alternativa, che la scena artistica ha ignorato per troppo tempo».