Una mostra a New York svela un aspetto sconosciuto del grande fotoreporter. Che a metà carriera decise di reinventarsi imparando a scattare in multicolor

Il bianco e nero conferiva grande intensità a quelle immagini cariche di sofferenza e dolore scattate sui campi di guerra o nei luoghi devastati dai conflitti. Robert Capa lo sapeva, era IL maestro del black and white e se la sua fama è arrivata fino a noi è proprio grazie alla sua straordinaria abilità nel trasmettere emozioni con il sapiente uso dei chiari e degli scuri.
Eppure tante volte, a metà carriera, Capa aveva discusso con l’amico e collega Henri Cartier-Bresson sull’opportunità di adeguarsi ai progressi della fotografia utilizzando pellicole a colori. Dopo la guerra, soprattutto, i grandi magazine richiedevano sempre più spesso foto a colori e, per mantenere in attivo la loro agenzia fotografica Magnum, era indispensabile conformarsi alle nuove esigenze.

Capa dunque si trovò costretto a “reinventarsi”, ma l’utilizzo di pellicole a colori richiedeva nuove conoscenze e abilità. Altri suoi colleghi fotogiornalisti ne facevano uso e lui non voleva essere da meno. La prima volta che prese in considerazione la pellicola a colori fu nel 1938, mentre si trovava in Cina a dare copertura fotografica alla guerra sino-giapponese. Dal fronte scrisse a un amico di New York per farsi spedire 12 rullini di Kodachrome (i laboratori della Kodak avevano prodotto la prima pellicola a colori nel 1935) e (fondamentali) le istruzioni su come usarli. Di quei primi esperimenti sono sopravvissuti solo quattro scatti, pubblicati sul numero del 17 ottobre 1938 di Life, ma dal 1941 Capa iniziò a utilizzare regolarmente la pellicola a colori producendo circa 4.200 lucidi a colori. Un lavoro rimasto quasi totalmente dimenticato.

A mostrarci per la prima volta questo aspetto inedito di Robert Capa è l’International Center of Photography di New York, che dal 31 gennaio fino al 4 marzo esibisce un centinaio di foto nella mostra intitolata Capa in Color.  
Il periodo “a colori” più florido corrisponde agli anni in cui non era al fronte e seguiva le celebrities di Hollywood sui set cinematografici e si occupava degli eventi di moda a Parigi e a Roma. O si recava nelle località sciistiche in Austria e Svizzera, o in quelle glamour di Biarritz e Deauville per il nascente mercato dei viaggi.

Il dubbio se utilizzare il nuovo mezzo (ovvero la pellicola Kodak Kodachrome introdotta nel 1936 e Ektachrome nel 1940) o rimanere al bianco e nero ha ossessionato per decenni i grandi fotoreporter. Tanto da diventare una delle questioni più dibattute della professione. L’amico Cartier-Bresson diceva: ‘La fotografia a colori? È qualcosa di indigesto, la negazione di tutti i valori tridimensionali della fotografia’. E distrusse gran parte dei suoi negativi a colori. Fortunatamente non quelli dell’amico Robert.

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