Vacanze come gli Hunger Games: tra amicizia e avventure con Mattia Stanga

Vacanze come gli Hunger Games: tra amicizia e avventure con Mattia Stanga

di Mattia Stanga

“Le vacanze sono come gli Hunger Games: in pochi rimangono non dico vivi ma… amici”. Riflessioni di un viaggiatore appassionato

Mi piace pensare che le vacanze siano un po’ come il traguardo di una lunga gara. All’inizio del percorso sei pieno di energie, hai voglia di sfidare tutto e tutti e così affronti la pista e inizi a correre, correre, correre (io sono quello che si ferma a prendere il caffè al primo bar e a chiacchierare con tutti). Andando avanti, magari trovi qualche momento di ristoro qua e là – la gente li chiama weekend o vacanze di Pasqua – che ti dà l’illusione di essere arrivato, ma no! Devi continuare, senza fiato, senza forze, finché alla fine le vedi lì, come un miraggio… le vacanze estive. A me le vacanze piacciono molto. Mi piace il sole, amo la salsedine che fa diventare i capelli come quelli di Lady Oscar e ti senti figo, pronto per scattare lo shooting della vita. Se solo fossi andato in palestra in inverno, invece di mangiare biscotti con la copertina sul divano… Non amo la sabbia, che mi irrita la pelle, ma mi piace quella sensazione che si prova appena rientrati a casa, quando vai sotto la doccia e ti accorgi che metà della spiaggia ti è rimasta nel costume. 

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Alla fine che cos’è il resto dell’anno se non l’attesa delle vacanze stesse? Pensateci, non si fa in tempo a festeggiare Capodanno che l’unico pensiero è: «Che cosa farò quest’estate?». Che poi ogni età ha il suo tipo di vacanza. Da adolescenti la vacanza è un motivo per iniziare a ribellarsi ai propri genitori chiedendo di lasciarti andare da solo con gli amici, e alcuni alla fine cedono, altri no, altri ancora, invece, sono costretti ad andare a riprendere i propri figli dopo un giorno, perché la paranoia di stare lontano da casa da soli è talmente grossa da far salire la febbre. Febbre che poi magicamente scompare nel momento in cui tornano a casa. Nel mio caso è andata più o meno così. La mia prima vacanza da solo l’ho fatta a Cesenatico: dopo nemmeno un’ora che ero arrivato mi sono reso conto che non ci volevo stare senza i miei genitori e così eccomi a simulare un febbrone e altri sintomi non ben definiti, finché i miei non hanno pensato bene di farmi raggiungere dalle mie nonne per farmi sentire meno solo. L’hanno definita una vacanza tra nonne, una cosa così, forse perché “missione di salvataggio” non suonava come una cosa divertente. E poi, dopo i 18 anni, arrivano le vacanze da adulto. Quelli sono gli anni d’oro, gli anni in cui puoi fare tutto quello che vuoi, hai piani assurdi… se non fosse che le vacanze bisogna organizzarle. 

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Ma procediamo con ordine. Organizzare una vacanza equivale a perdere gli amici, se non tutti almeno una buona parte, perché non so se lo sapete ma le vacanze sono come gli Hunger Games (film molto noto, vedetelo): in pochi rimangono non dico vivi ma… amici. Le perdite si riscontrano già agli albori, la cernita iniziale è silenziosa, è la fase in cui un semplice «io non vengo, non ci sono» si trasforma dopo qualche mese in «ragazzi io stasera non esco con voi, sono con altri amici, ci vediamo». Mai più visti. In ogni compagnia di amici ci sono poi ruoli ben definiti, ognuno ha una mansione specifica che va rigorosamente rispettata per il quieto vivere pubblico.  Iniziamo con l’organizzatore, colui che da subito dopo l’esplosione dell’ultimo minicicciolo nella notte di Capodanno comincia a pensare e a proporre, a prendere la palla al balzo per dire «ragazzi per quest’estate mi raccomando, iniziamo a organizzarci con largo anticipo così non abbiamo brutte sorprese»; questo è anche quello che – ahimè – soffrirà la vacanza più di tutti. Nel caso in cui questa fosse un successo sarà “appagato”, nel caso opposto «è tutta colpa tua sapevo che non dovevo far fare tutto a te!».

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E allora qui mi viene da dire «perché non ti sei sbattuto anche te un pochino per cercare un appartamento decente e un volo che non costasse 349.404 euro?». L’organizzatore, se non si fosse capito, sono io sempre e comunque, è quasi masochismo ma è un’indole che o si ha o si ha. Poi abbiamo l’indifferente. A lui va bene tutto, «scegliete voi, a me non cambia». Che di fatto è la figura che più amo e più odio allo stesso tempo, perché una posizione nella vita a parer mio deve essere sempre presa. E c’è anche la sua variante, l’indifferente ma con pretese, «scegliete voi, a me non cambia… però non voglio spendere tanto. E no Ibiza, non mi piace, Formentera nemmeno, però scegliete voi, per me è uguale, soffro il mal di mare e forse vorrei andare in ritiro spirituale in una distesa di lavanda in Provenza nel periodo della fioritura».E come dimenticare il malmostoso, come si dice a Brescia, una persona alla quale non andrà mai bene nulla perché lui è nato per dire solo una cosa: «No». Infine gli ultimi: l’inconsapevole, quello a cui non importa nulla fino alla settimana prima della vacanza, in cui inizia a fare un elenco delle cose che non gli tornano. E il senza parole: lui sul gruppo della vacanza non scrive nemmeno una parola. E poi c’è la convivenza in vacanza, un tema non semplice da affrontare. C’è chi vuole far festa e chi no e la luna storta è una costante in quasi ogni vacanza che si rispetti: alcuni in discoteca ricevono il free drink, altri invece la luna storta.

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In vacanza conosci realmente i tuoi amici, mai avresti pensato che il tuo migliore amico, la persona che credevi di conoscere meglio di te stesso, possa lasciare il bagno tutto in disordine, con lo spazzolino appoggiato sul lavabo di una casa presa in affitto, così, a caso, e invece sì, è proprio quel tipo di persona. Poi, a una certa, cambia tutto e le vacanze non si chiamano più vacanze ma FERIE, che nome strano è f-e-r-i-e, ma chi se l’è inventato? Ma perché poi è stato necessario cambiare la parola vacanze, che quando ci penso mi viene in mente un foglio A4 colorato con i pastelli a cera in seconda elementare, un sole giallo nell’angolo del foglio, il mare blu con le onde e la sabbia. La parola ferie non ha nessuna immagine, se non l’immagine di una cosa grigia, o meglio grigia tutto l’anno, poi due settimane di quest’anno si colorano e quelle sono le ferie.

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Colori a parte, però, per chiudere questa riflessione direi che il nome forse non importa poi così tanto: queste vacanze altresì dette ferie (chiamiamole così dai, mi fa stare meglio) regalano non solo una ricarica pazzesca e se sei fortunato momenti indimenticabili, ma anche – come diceva un vecchio saggio qualche riga fa – il miraggio meraviglioso verso cui correre quando studi, lavori, cerchi la mappa del tesoro che potrebbe farti diventare ricco o insomma consumi energie in qualche modo. Come pensate dopotutto che io sia arrivato alla fine di questo articolo?