Bresh

Bresh

Pensa e racconta le cose quando sono ancora dentro, per questo il pubblico ascolta le sue canzoni come fossero memorie personali già vissute: sfonda non per volume, ma per profondità

di Ester Viola

Bresh non somiglia a nessuno. È uno di quei rari artisti che finiscono al centro senza intenzione. E ci finisce, mentre resta se stesso. Andrea Brasi, 1996, cresciuto tra Bogliasco e Genova, appartiene a quella categoria di persone che sembrano venire da un luogo preciso anche quando preferirebbero non raccontarlo. Il mito della “scuola genovese” lo precede e lo segue, ma lui preferisce sfilarsi: «Non posso nemmeno avvicinarmi», dice.

Nessuna discendenza proclamata, la sua è una continuità più sotterranea. I paragoni li considera sproporzionati: «Non ti metti accanto a chi è diventato classico, si sta a distanza come forma di rispetto».

Quando gli parli, osserva più ciò che gli sta intorno che le persone; il suo sguardo è raro che ti resti addosso per più di qualche secondo. Pensa e racconta le cose quando sono ancora dentro. Per questo il pubblico ascolta le sue canzoni come fossero memorie personali già vissute: ha un linguaggio che sfonda non per volume, ma per profondità. Si potrebbe chiamare aderenza emotiva, se cercassimo di definire lo stile.

Bresh
Bresh con camicia e pantaloni Fendi, sneaker Hogan

Sanremo 2025 lo ha portato al centro della scena nazionale senza modifiche apparenti. È controintuitivo in un’industria che corre verso l’iper-visibilità. Del suo rapporto con il tempo, invece, parla con intelligenza: niente nostalgia delle epoche perdute. «Non ho un decennio mito».

Ma non crede neanche che il mito sia morto: piuttosto, che sia cambiata la sua fisiologia. I mostri sacri sono ancora possibili, solo che non passano più dalle grandezze di qualche epoca fa: 50 Cent, Lil Wayne, Jay-Z come figure che hanno costruito un’eredità sostenuta nel lungo periodo. In Italia, Marracash: «Per profondità morale, non solo per stile, Lo rispetto molto. È una persona che guarda, osserva, con una coscienza enorme, una capacità di scrittura incredibile. È rimasto nel suo quartiere. È sensibile ai temi sociali».

Prima delle classifiche e dei sì della critica c’è la coscienza. La comunicazione di oggi la sente come una sequenza rovesciata. Gli chiedo se anche lui ha l’impressione che la musica debba portare un “corredo morale” prima ancora di una visione. Insiste sull’autenticità come criterio: «È vero che ti chiedono di essere in un certo modo, ma un appiglio devi averlo».

Bresh
Trucker jacket in denim con colletto di velluto e 578 baggy jeans Levi’s Red Tab, camicia Emporio Armani, stivali Church’s

Chi lo immagina come un ragazzo nato già “nella musica” sbaglia prospettiva: «Ho fatto tutti i lavori», dice. «Ho venduto scarpe. Ho fatto panini, ho distribuito coupon». Il carattere viene da lì, non dalla retorica dell’umiltà. «Io volevo fare il portuale o il carrozziere». Aveva senso: è un’immagine che sembra un’allegoria del suo modo di scrivere.

Della sua generazione coglie il nervo scoperto con precisione impressionante: iperprotetta sul piano materiale, fragilissima – anzi a pezzi – su quello mentale. Everything is available, e va bene, ma niente che abbia struttura sufficiente per restare. È l’era dell’attenzione amputata. Della memoria breve. E quell’effetto strano del dolore esibito, che è la cifra stilistica del contemporaneo.

Se tutti dichiarano sofferenza, nessuno riesce più a pronunciarla davvero. Quando stiamo tutti male, nessuno sta male per davvero? Sì, ammette, «è come se l’eccesso avesse svuotato il segnale». Su di sé applica un doppio sguardo: il primo livello è pieno – lavoro, affetto, amici, riconoscimento, possibilità. Il secondo, inquieto: «Sento che potrei fare di più per gli altri, e quello è il punto che ancora non so come gestire. Non fame di successo, ma di utilità».

Bresh
Giacca, dolcevita e pantaloni Brioni

Una responsabilità che ancora non ha trovato forma. «Lì incontro i miei mostri», confessa. Non è mai stata l’insicurezza, ma trovare il senso. E in questo quadro la cura, sorprendentemente, è elementare: «Voglio vicino le persone che mi fanno ridere».

Il tour è il completamento di questo equilibrio: luogo in cui torna alla misura originaria. «La sensazione più bella del mondo, la linfa vitale dell’artista. È là che puoi battere alle tue frequenze, e non guardi l’industria, perché puoi ripartire sempre e solo da lì». È sul palco che il significato della musica coincide con chi è lui.

Per questo oggi Bresh è forse l’interprete più resistente che abbiamo. È il contrario della retorica del grande salto. Lui scrive di cose a distanza ravvicinata: amori che non fanno spettacolo, fragilità che non hanno bisogno di cornicette epiche, non gioca la carta dell’eccesso. Bresh lavora per sottrazione. E non è facilissimo, anzi. «Per togliere, devi sapere cosa togliere».

In apertura Bresh indossa trench in pelle Brioni. Photos by Giampaolo Sgura styling by Edoardo Caniglia. Hair: Kiril Vasilev @GreenApple using Davines Italia. Make up: Juri Schiavi @Blend Management. Fashion contributor: Valentina Volpe. Styling assistants: Emily Cervi, Jacopo Ungarelli. Production: Gigi Argentieri @K-448. Bresh’s personal stylist: Michele Potenza.