

Eduardo Camavinga
Da un campo profughi in Angola alle vette del calcio mondiale. A 21 anni, la maglia numero 6 del Real Madrid ha tutte le carte in regola per fare da protagonista ancora molta strada
È possibile non apparire altezzosi e superbi quando si è milionari, famosi, belli ed esuberanti a soli 21 anni? No. Ecco la sensazione che Eduardo Camavinga suscita quando entra con il suo entourage e si crea quella distanza irriducibile da ciò che è esclusivo.
Ma una volta superati i ruoli prestabiliti di star e giornalista, e si riesce a guardarlo bene, prestando attenzione alle sue parole, ai suoi modi, a quella combinazione di adulto precoce e ragazzo sorridente, e lui riesce a vederti, mettersi alla pari, appare un ragazzo, semplice e simpatico, che ha affrontato con lucidità un viaggio impossibile, da un campo profughi alle notti magiche al Santiago Bernabéu, dai primi passi in terra africana, passando per un’infanzia e un’adolescenza umilissime in Francia, fino ai riflettori, il lusso, Bottega Veneta, la maestosità e lo splendore.

Arriva subito dopo il primo allenamento con il Real Madrid dopo l’infortunio di agosto. È pronto per tornare a giocare, la sua squadra ha bisogno di lui per mettere ordine a centrocampo. Qui entra in gioco lui, che ha già mostrato un’ottima combinazione di potenza fisica e qualità tecnica, ma deve ancora dimostrare di poter essere un leader nel suo ruolo preferito: “il regista”.
Questo è ciò di cui la sua squadra ha bisogno: un timone, un punto di riferimento. E questo vuole essere lui. Quindi, quest’anno, l’Anno 1 di Mbappé in un Real Madrid “francesizzato”, potrebbe diventare anche l’Anno di Eduardo Camavinga.
«Tutti gli anni sono importanti allo stesso modo. Ogni anno devo dimostrare di più», dice. Sfoggia un look semplice: maglietta rossa oversize, comodi jeans corti sotto il ginocchio e un paio di Jordan IV nere, nuove di zecca, scelte tra le centinaia di sneaker della sua collezione.

Il principio fondante del suo modo di vestire è la comodità: «Preferisco indossare capi confortevoli; lo stile passa in secondo piano. Voglio sentirmi a mio agio quando parlo con la gente». Un’ora dopo poserà indossando abiti di Bottega Veneta, una delle sue maison preferite, e lo farà con classe e spontaneità, come se fosse a casa a gustare una tazza di latte e cereali, uno dei suoi piccoli piaceri.
Si sente a suo agio sia casual sia in abiti da passerella, come ha fatto nel 2022 – primo calciatore a sfilare per Balenciaga. Camavinga posa come un bambino spensierato e, allo stesso tempo, un re sicuro e padrone di sé. «Sembra un faraone», commenta il fotografo durante un cambio d’abito. «Ha una bellissima aura di innocenza», aggiunge un’altra persona sul set.
Il calciatore spiega che il suo gusto per i vestiti gli deriva dalla madre, Sofia, e dal padre, Celestino. Non ha uno stilista: «Quando mi vesto, se ho qualche dubbio, chiedo consiglio a mio fratello maggiore Sebastiao, che ha uno stile impeccabile. È lui la mia guida».

Il giorno precedente è stato a Rennes, in Bretagna, dove è cresciuto e si è formato come sportivo, per inaugurare la seconda sede del salone di bellezza di Sebastiao, The Camavinga House. La prima si trova a Madrid, dove si fanno tagliare i capelli anche altri fenomeni del Real, come Vinicius Jr., il migliore amico di Eduardo nello spogliatoio, il suo compagno di balli Rodrygo o Rüdiger, e persino il suo “rivale in amore”, Alejandro Balde, del Barcellona.
Sebastiao è anche incaricato di curare le treccine di Eduardo, piccole e con le punte tinte di biondo. Camavinga nutre una particolare ammirazione anche per lo stile di altri atleti, come Shai Gilgeous-Alexander, stella della NBA, e il connazionale Jules Koundé, che gioca nel Barcellona: «È audace: indossa cose che nessun altro si metterebbe».

Siccome il suo armadio trabocca di abiti, ogni tanto, a casa, raccolgono alcuni capi e li inviano alla famiglia e agli amici in Angola dove è nato il centrocampista: a Miconje, provincia di Cabinda, in un campo profughi, dove i suoi genitori arrivarono fuggendo dalla guerra nella Repubblica Democratica del Congo. La famiglia emigrò in Francia quando Eduardo non aveva compiuto due anni.
Da allora, non è più tornato nella sua terra d’origine. «Ci andrò quando sarà pronto un progetto che intendo realizzare lì: non voglio arrivare a mani vuote», spiega Eduardo Camavinga, che collabora con l’agenzia dell’Onu per i rifugiati.
Riguardo al suo legame con le radici africane, il calciatore afferma che è un fatto implicito nella sua vita: «Nell’educazione che mi hanno trasmesso i miei genitori c’è quella che hanno ricevuto loro in Africa. La loro cultura è nel mio sangue».

Gli episodi più difficili della sua storia familiare, sui quali ha preferito non soffermarsi, hanno delineato il suo carattere. Come ha più volte ricordato, in Francia la sua famiglia fu costretta ad affrontare un’altra tragedia, quando la loro casa andò a fuoco. Quel giorno suo padre gli disse: «Tu risolleverai le sorti della famiglia». All’epoca Eduardo aveva solo dieci anni.
Oggi vive a Madrid con i suoi cinque fratelli e sorelle, i genitori e la nonna materna. La casa è il fulcro della sua vita e il fondamento dei suoi valori: «La cosa più importante è il rispetto. E poi dare sfogo alla propria personalità, non mentire né a sé, né agli altri».