Giuseppe Maggio
Ragazzo di borgata disinibito in “Mrs Playmen”, nell’attesa serie tv Netflix l’attore romano affronta il suo primo nudo integrale. «Mi piace molto uscire dalla mia zona di comfort»
Se Baby, nei panni di un cinico e affascinante sfruttatore della prostituzione, è stata la svolta per la popolarità, ora Giuseppe Maggio inanella conferme. Dopo esser stato un giovane Bernardo Bertolucci sul set di Ultimo tango a Parigi, nel film francese fuori concorso a Cannes Maria, l’attore romano è tra i protagonisti dell’attesissima serie tv Mrs Playmen (dal 12 novembre su Netflix), sulla prima rivista erotica italiana patinata per adulti. Alle prese con il suo primo nudo integrale. «Mi piace molto uscire dalla mia zona di comfort», ci dice.
32 anni, affabile e decisamente bello, emana una quiete apparente pensosa, carica di domande interiori. «Ho una grande mania di controllo, che mi porta a interrogarmi in continuazione». Eppure la bellezza, come ci confessa, per lui è stata quasi un ostacolo.

Giuseppe Maggio, sei nel cast di Mrs Playmen, serie tv ispirata alla storia dell’editrice Adelina Tattilo interpretata da Carolina Crescentini. Puoi dirci qualcosa del tuo personaggio Luigi Poggi?
«La serie racconta la nascita di Playmen, rivista di fine anni ’60-inizi ‘70. È la storia della sua editrice Adelina Tattilo e di tutte quelle persone che componevano la sua squadra, dal direttore del giornale al creativo. Io interpreto il fotografo. È un personaggio che si inserisce all’interno del gruppo di lavoro ma che naviga anche in diverse dimensioni. È espressione di modernità: è bisessuale e affronta tranquillamente la sua sessualità. Ragazzo di borgata, è un ragazzo di vita pasoliniano ma in chiave pop.
La serie tv racconta una nuova modernità, l’emancipazione delle donne, la liberazione della sessualità, soprattutto femminile. Sebbene Playmen inizialmente fosse una rivista erotica destinata agli uomini, si è rivolta spesso anche alle donne, come mezzo di scoperta del corpo».
Fai il tuo primo nudo integrale. Com’è stato?
«È stato durante il primo giorno di set. Non ho avuto grandi problemi, è stato tutto molto naturale e tranquillo. Non ho però ancora visto il risultato finale, dopo il montaggio. Durante le riprese il regista Riccardo Donna è stato molto attento a raccontare una visione estetica più che mostrare semplicemente una nudità. La scena si pone come una contrapposizione tra due generazioni a confronto, nel loro diverso rapportarsi all’idea di libertà sessuale. Da una parte un ragazzo, dall’altra un uomo, più pudico e legato a dettami del passato e alla paura del giudizio».
Che rapporto hai con il tuo corpo?
«Tendenzialmente un buon rapporto: sono abbastanza sicuro nel difetto. Sono consapevole del fatto che ognuno di noi ha tanti difetti: io conosco i miei e li accetto».
Mrs Playmen è ambientata nella Capitale anni ’60-’70, nella tua città. Quella luce, quei colori, quella musica, il Piper… Come è stato vivere questa Roma vintage?
«Un sogno. In quel periodo, finite le riprese, quando tornavo a casa accendevo la televisione per vedere Techetechete’, che in tanti episodi raccontava proprio quegli anni. Mi sembrava così di non staccarmi da quel mondo lì, così affascinante, diverso, più elettrico. Allora era tutto nuovo, era una scoperta, un tentativo costante di cambiare le cose e vedere cosa poteva accadere. Anche da un punto di vista estetico la generazione beat di fine anni ’60, quella del Piper, iniziava a liberarsi: i pantaloni si allargano dalle ginocchia in giù, i colori si fanno più vivaci…
E poi ecco gli anni ’70: tante tendenze di allora sono pessime da un punto di vista estetico, con accostamenti raccapriccianti, ma in mezzo a queste sono emerse cose di valore. Soltanto provando e sbagliando spunta qualcosa di significativo. Vale anche per la vita: non si può arrivare al risultato ottimale senza prima aver tentato e sbagliato».

Se potessi tornare indietro nel tempo e viverci per un po’, quale epoca passata sceglieresti?
«Mi è sempre interessato andare alla ricerca di un ideale di bellezza ed eleganza ed io lo colloco nella seconda metà dell’Ottocento, a Parigi».
Com’è il tuo rapporto con Roma?
«Straordinario. Roma è la città dove sono nato e cresciuto, è estremamente bella ma purtroppo poco valorizzata. E questo mi dà grande rabbia. Ma è la città che amo di più in assoluto.
Ho anche una fascinazione per Parigi perché, al contrario, è molto valorizzata. È una città con un ideale di bellezza differente. Roma è da effetto scenico quasi teatrale: è una città di vicoli e di piazze, in qualche modo nascoste, finché non ti trovi a entrarci. E lì c’è il colpo di teatro: magari ti vedi innanzi Fontana di Trevi o il Pantheon. Parigi invece è una città molto più ampia, con una nuova architettura, quella dei boulevard, che nasce proprio nell’Ottocento con Napoleone III, grazie ad Haussmann, che vuole raccontare la ricchezza e la maestosità della città».
Gilet smanicati, pelle scamosciata, motivi floreali: in Mrs Playmen ti sei tuffato nella moda anni ’70. Come ti piace vestirti?
«Mi piace uno stile oggi considerato classico, quello italiano dei primi anni ’60. Amo l’eleganza di un tempo, quella che si vede nei vecchi film: come si vestivano Mastroianni e Delon, e ancora prima. Adoro quella maglieria, il cardigan e i dolcevita, i colli roulé. Mi danno un’idea di calore. Di abbraccio».

La bellezza per te è stato un aiuto o un limite a livello professionale?
«Credo che nel cinema italiano sia un limite. Nel cinema americano, ad esempio, gli attori esteticamente sono molto piacenti. In Italia non è proprio così. Temo che ci sia un pregiudizio, non necessariamente sbagliato: magari in diversi casi l’estetica si è rivelata un contenitore vuoto. Però il cinema ha bisogno anche di volti maschili e femminili piacenti, e con delle capacità: è una fusione che può avvicinare ancora di più il pubblico. E non parlo di me. Nell’idea di star system c’è anche la componente del sogno: lo spettatore, guardando la diva o il divo, sogna ad occhi aperti, si innamora perdutamente, va vedere tutti i suoi film. È una dimensione molto importante. E anche generatrice di incassi. In America il cinema è un’industria perché le star, oltre ad aver capacità artistiche elevate, sono icone estetiche e di stile».
Hai lavorato in Italia, in Francia e anche in Spagna, nel film Ballo ballo dedicato a Raffaella Carrà. A quando gli Stati Uniti?
«È quello che manca. Sarebbe un passaggio importante per la mia carriera: arriverà quando è destino che arrivi. Sono molto felice di aver avuto l’opportunità di lavorare all’estero, mi reputo molto fortunato. Gli Stati Uniti sono sicuramente un obiettivo, non necessariamente perché un domani voglia vivere a Los Angeles, ma per misurarmi con dei palchi più altisonanti, vedere se sono capace di mettermi alla prova su set così grandi e importanti. Per uscire ancora una volta dalla mia zona di comfort, cosa che mi piace molto fare».
A che punto ti senti adesso della tua carriera?
«Sono contento del percorso che sto facendo. Ci sono state occasioni non andate in porto o progetti a cui non ho partecipato perché impegnato a fare altro: inizialmente è difficile darsi delle risposte ma poi il tempo dà un senso a quello che accade. Mi è capitato di vedere alcuni prodotti mancati e di capire che in realtà è il destino che ha scelto per me, perché non era quella la strada adatta».
Se non fossi un attore, cosa saresti?
«Ci sono tante cose che avrei potuto fare. Avrei potuto seguire le orme dei miei genitori: mio padre è medico, anche se onestamente la professione non mi affascinava perché il sangue un po’ mi indispone. Mi piace molto cucinare: avrei potuto fare lo chef! Magari sarebbe stato divertente».

Tra quelli con cui non hai ancora lavorato, con che regista vorresti recitare?
«Ho recitato con dei registi molto bravi ma, se prendiamo i nomi più altisonanti del cinema italiano, non ho lavorato con nessuno di questi. Quindi uno di loro andrebbe bene».
Iniziando da quale?
«L’estetica di Sorrentino mi piace moltissimo. E poi Virzì: nel lavoro che fa con gli attori, per quanto ho sentito dire, riesce a tirar fuori tante emozioni e verità. Loro due sono fantastici. E poi, per fare qualcosa di totalmente diverso, Guadagnino, anche se lui non lavora con gli italiani, quindi… chissà».
Sei anche uno scrittore, autore del romanzo Ricordami di te. Che libro hai adesso sul comodino?
«Io che ti ho voluto così bene di Roberta Recchia, che ho appena finito di leggere e mi è piaciuto enormemente. Ma ho anche Tutta la vita che resta, sempre suo, che sto per iniziare. Ho fatto una cosa che non si dovrebbe fare: ho iniziato dal secondo capitolo, che racconta la stessa storia del precedente ma da un altro punto di vista. Ma… ero all’aeroporto con mia moglie, Io che ti ho voluto così bene era appena uscito e me lo sono fatto regalare. Mi ha emozionato così tanto che sono voluto tornare indietro e recuperare il primo libro».
Tra poco, il 13 novembre, sarà il tuo compleanno: che augurio ti fai?
«Mi auguro di seguire il mio istinto, nei rapporti e nella carriera, senza farmi quelle 1500 domande che ogni volta mi pongo. Per vivere più serenamente le scelte che faccio. Ho una grande mania di controllo, che mi porta a interrogarmi eccessivamente», ammette con candore Giuseppe Maggio. «Il regalo che vorrei ricevere? Poter condividere le cose più belle della vita con le persone che amo. E poter continuare a farlo per molti anni».