E Raffaella Carrà canta e balla ancora

E Raffaella Carrà canta e balla ancora

di Simona Santoni

Regina della tv, icona di libertà, la sua morte spezza il cuore di quattro generazioni di italiani che l’hanno amata per quella sua energia bellissima, mentre a suon di ombelichi al vento e “colpi di testa” calciava via sovrastrutture e rigidità di anni bigotti

“Scoppia scoppia mi scoppia il cuor”. È così difficile realizzare che Raffaella Carrà non c’è più. È morta a 78 anni, in seguito a una malattia che «da qualche tempo aveva attaccato quel suo corpo minuto eppure così pieno di straripante energia», come ha fatto sapere Sergio Japino, il suo grande amore, ora grande amico. Un’inattesa doccia di spini su tutta l’Italia che l’ha amata, tutta, “da Trieste in giù”, senza distinzioni d’età. Raffaella Carrà ha conquistato affetto e stima smisurati di quattro generazioni di italiani, ma anche di spagnoli e latini in tutto il mondo, e non solo. Smisurate, ugualmente, la passione e la professionalità di Raffaella, in tutto quello che faceva.

Raffaella Carrà è stata ballo, canto, allegria, talento, libertà. Quel suo caschetto biondo ha fatto la storia, e poi la risata che ora vorremmo sentire ancora risuonare, l’ombelico degli scandali di un’Italia che anche lei ha contribuito a cambiare, come donna e artista gentile ma determinata, con una femminilità giocosa e sensuale.  

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Da Tuca Tuca ai “colpi di testa” contro le costrizioni

Nata il 18 giugno 1943, romagnola, Raffaella Carrà (nome d’arte di Raffaella Maria Roberta Pelloni) ha iniziato a costruire la sua strada da regina della tv italiana nel 1970, partecipando al varietà televisivo Io, Agata e tu. Mescolando conduzione e ballo, ha lanciato un nuovo modello di soubrette, fresco e dinamico. Tanto che subito dopo per lei arrivò Canzonissima, accanto a Corrado, e arrivò anche quell’ombelico scoperto nella sigla d’apertura Ma che musica maestro! che creò scalpore.

È stato un susseguirsi di spettacoli televisivi e hit che sono diventate colonne sonore imperiture di serate disco, situazioni festose, gay pride, da A far l’amore comincia tu a Rumore, da Fiesta a Tanti auguri e Pedro, con Raffaella sinuosa e spiritosa, e lacelebre mossa di buttarsi all’indietro con la testa mentre cantava e ballava.

Tocca le ginocchia, poi i fianchi, quindi le spalle, con il Tuca Tuca, canzone che oggi sembra così spensierata e leggera scritta dal suo pigmalione Gianni Boncompagni, Raffaella Carrà fece scandalo, di nuovo a Canzonissima. Per il balletto scherzoso e malizioso, condiviso con un divertito Alberto Sordi, lei in vestito aderente e ombelico al vento, fu sul chi va là anche la censura. «Ero libera», ha raccontato qualche anno fa. «Anche i “colpi di testa” erano il segno della libertà dalla lacca, dalle sovrastrutture, dalla rigidità. Io ero così, senza costrizioni».

Ed è proprio accanto a Raffaela che un’altra leggenda dello spettacolo italiano, Mina, ha condotto l’ultimo grande varietà, poco prima di ritirarsi dalle scene. Era il 1974 e le due dame spigliate e luminose, in assoluta armonia, lasciarono il segno con Milleluci, programma di grande successo che ebbe diversi tentativi di imitazione. Raffaella Carrà cantava e ballava la sigla di apertura, Din don dan, Mina cantava quella di chiusura, la celebre Non gioco più, e in mezzo sul palco si sono succeduti dalle gemelle Kessler a Celentano, da Franca Valeri a Gino Bramieri a Nilla Pizzi. Il riflesso di una televisione intelligente e piena di creatività.

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Quanti erano i fagioli nel vaso?

Qualcuno forse ancora si chiede quanti fossero i fagioli nel vaso del famosissimo gioco telefonico di Pronto, Raffaella?, programma campione di ascolti in onda dal 1983 al 1985. Raffaella, impeccabile, si consacrò come conduttrice, nel primo programma di mezzogiorno della Rai. Fu una padrona di casa garbata e simpatica, con il suo piglio rassicurante e genuino, empatica sia verso gli ospiti che verso i telespettatori da casa. Dall’altra parte della cornetta, un’Italia degli anni Ottanta ingenua e baldanzosa. I fagioli erano 10.944.
Negli anni Novanta fu così popolare il suo programma Carràmba! Che sorpresa che il termine “carrambata” entrò nei dizionari come neologismo.

Forse un’altra cosa che qualcuno non sa, è che ancor prima di diventare emblema della tv italiana, Raffaella Carrà è stata anche attrice cinematografica. Ha partecipato a pochi film, ma per nulla piccoli:  ha recitato ne I compagni (1963) di Mario Monicelli e ad Hollywood ne Il colonnello Von Ryan (1965) di Mark Robson accanto a… Frank Sinatra.


L’icona dell’autodeterminazione

Da sex symbol a modello anticonformista, amata dagli uomini e dalle donne, icona del mondo gay, Raffaella Carrà è stata sempre fedele a se stessa, con la sua bellissima energia senza fronzoli. Quando nel 2020 il Guardian l’ha definita «l’icona culturale che ha insegnato all’Europa le gioie del sesso», lei ha commentato con ironia: «Stavolta la carrambata l’hanno fatta a me».

Facile oggi ricordare quell’ombelico e il Tuca Tuca e sorridere di tempi bigotti che si scandalizzavano per così poco. Fuori, allora, c’era un’Italia in cui le donne faticavano a rivendicare i loro diritti. E lei intanto cantava “Com’è bello far l’amore da Trieste in giù / L’importante è farlo sempre con chi hai voglia tu / E se ti lascia lo sai che si fa? / Trovi un altro più bello Che problemi non ha”. Calciava via l’idea di una donna vittima, sofferente per l’amato che se ne va, e inneggiava alla libertà di amare chi si vuole. È una donna spregiudicata quella che canta “A far l’amore comincia tu / E se si attacca col sentimento / Portalo in fondo a un cielo blu / Le sue paure di quel momento / Le fai scoppiare soltanto tu / Scoppia, scoppia mi scoppia il cuor”. E anche in Rumore, a suo modo, tesse l’ode all’autodeterminazione: “E ritornare al tempo che c’eri tu / Per abbracciarti e non pensarci più su / Ma ritornare perché / Quando ho deciso che facevo da me”.

Recentemente Raffaella Carrà è stata omaggiata dalla commedia musicale basata sulle sue canzoni Ballo Ballo dell’argentino Nacho Álvarez, uscita a gennaio su Amazon Prime Video e ambientata nella Spagna franchista degli anni ‘70, una celebrazione in technicolor del coraggio di essere se stessi. «Raffaella è pura felicità», aveva detto nell’occasione il regista. «Penso che la gente la ami per quello che trasmette e ci fa sentire. È stata la prima a mostrare al mondo latino che puoi fare quello che vuoi ed essere vittorioso».

Non è stato che l’ennesimo omaggio a Raffaella. Prima, tra gli altri, c’era stato il film premio Oscar La grande bellezza (2013) di Paolo Sorrentino, con la scena della festa al ritmo di A far l’amore comincia tu remixata da Bob Sinclar. C’era stato anche l’affettuoso brano del 2007 di Tiziano Ferro Raffaella è mia, che intona “E Raffaella canta a casa mia / E Raffaella balla a casa mia / E tutto il vicinato / Ascolta il repertorio / Che canta solo per me”. E Raffaella canta e balla ancora, nelle case di tutti.