

Benjamin Voisin
Sorriso aperto e luminoso, è allegro e vitale ma al cinema ama mettersi addosso personaggi maledetti. «Perché sono lontani da me». La frase che porta sempre con sé è di Prévert: «Dovremmo cercare di essere felici, anche solo per dare un esempio. Non è magnifica?»
La prima volta che lo abbiamo visto a Venezia, nel 2021, Benjamin Voisin era già più di una promessa. Con Illusioni perdute, film che portò in concorso proprio alla Mostra del cinema, vinse poi il César come migliore rivelazione maschile. Oggi, 29 anni a dicembre, è uno dei migliori giovani attori francesi, tra i più richiesti.
Sorriso aperto e luminoso, quando lo incontriamo al Lido ci accoglie con una vitalità contagiosa. È protagonista, accanto al gigante del cinema d’Oltralpe Vincent Lindon, di Jouer avec le feu (The quiet son), film in corsa per il Leone d’oro, dannatamente attuale e necessario in un’Europa sempre più cupa. Alla regia delle sorelle Delphine e Muriel Coulin, Benjamin Voisin è il figlio “maledetto”, convinto neonazista.
Lindon interpreta suo padre vedovo, votato alla cura dei due figli. Stefan Crepon è il fratello minore, il migliore della classe, pronto a involarsi alla Sorbonne. Voisin è Fus, il maggiore dei due, che ha mollato gli studi e ha come unica passione il calcio. L’affresco famigliare è di intenso e caldo naturalismo, toccante la complicità tra i tre. Finché non emerge il lato oscuro di Fus (Benjamin Voisin), militante di estrema destra, tra lo shock deluso del padre.

In Italia Jouer avec le feu sarà distribuito a inizio 2025 da I Wonder Pictures. «Quando ho incontrato Benjamin Voisin la prima volta, in occasione della distribuzione di Illusioni perdute nel 2021, ho pensato subito che fosse un talento capace di esprimere la qualità della sua generazione», dice Andrea Romeo, Ceo & editorial director I Wonder Pictures. «In questi anni si è distinto oltre che per i numerosi premi, per i magnifici ruoli che ha scelto, ed è già una star di prima grandezza del cinema europeo. Lavorare con lui è sempre un privilegio ed è anche parte integrante della vivace comunità di Casa I Wonder».
Ecco la nostra intervista a Benjamin Voisin.
Benjamin, com’è stato interpretare un personaggio così controverso in Jouer avec le feu?
«In passato ho realizzato film molto più di fiction, che ritenevo buoni per l’inizio di carriera. Trovo importante ora far parte di qualcosa di più contemporaneo e politicizzato. L’attore che voglio diventare deve necessariamente passare per questa strada».
Sei comunque riuscito ad amare qualche aspetto di Fus, giovane neonazista?
«Sì, mi piace la sua voglia di cambiamento. Non biasimo gli elettori dei partiti estremisti perché capisco la loro voglia di voltare pagina. Biasimo però l’ingenuità di pensare che sarà l’estremismo a dare speranza. Possono crederci, se vogliono, ma non funzionerà mai.
Oggi su Instagram abbiamo accesso a tutto in modo continuo, tranne che alla politica. Abbiamo l’impressione che la politica sia fatta da vecchi signori in Senato, vestiti diversamente da noi, che non usano i nostri stessi termini, che si urlano addosso. Vogliamo votare per qualcosa di diverso. Per questo i partiti estremisti sono seducenti.
Volevo mostrare un personaggio che, sfortunatamente, ne resta attratto, anche perché non ha molto da fare: va in scooter, gioca a calcio, ha interrotto gli studi. In un articolo ho letto: “Smettetela di costruire palestre in periferia, create biblioteche”. Anch’io non ero bravo a scuola ma qualcuno mi ha messo un libro tra le mani e ho potuto scoprire cosa fosse la cultura».

Com’è stato lavorare con Vincent Lindon? Come avete costruito la vostra relazione?
«Siamo subito entrati in sintonia. Io e Stefan (Crepon, ndr) siamo grandi amici nella vita reale, viviamo insieme da 7 anni: per questo le sorelle Coulin ci hanno scelto, hanno visto che sapevamo essere intimi. E poi con Stefan ci siamo detti: “Vincent Lindon è un grande uomo di cinema, gli piaceremo?”. Eravamo un po’ spaventati, ma dal secondo giorno lui ci ha amato e noi l’abbiamo adorato. E ci siamo lanciati in questo film senza fare domande. Lo chiamavamo “papà” al di fuori del set».
Segui la politica? Conoscevi già i movimenti di estrema destra e ti sei documentato a proposito?
«Sì, già conoscevo un po’. Sono dieci anni che, come un’onda, pian piano si ingrossano. Le elezioni europee sono state catastrofiche, in Francia è stata una tragedia. Le sorelle Coulin hanno avuto l’ottima idea di non fare un film moralista. Non viene offerta alcuna soluzione: ci limitiamo a mostrare. Lo stesso titolo Jouer avec le feu dice “Giocare con il fuoco”, non “Non dovresti giocare con il fuoco”. Facciamo vedere cosa si rischia. Ecco perché penso che il film possa far breccia sui ragazzi sedotti dall’estremismo: possono rendersi conto del pericolo e magari realizzare che non è quello che vogliono. Questo è il mio desiderio».
Credi che l’amore sia necessariamente incondizionato? Se una persona amata fa qualcosa di terribile, potresti ancora amarla?
«Penso di sì. Credo che non ci sia niente di più bello. È sempre più facile perdonare i propri simili. Trovo meraviglioso il discorso di Vincent Lindon alla fine del film, durante il processo: nonostante l’amore per il figlio, dice che non potrebbe mai giustificare le sue azioni. Nonostante l’amore, ci sono cose che non potremo mai perdonare».

Hai interpretato più volte ruoli da maledetto e personaggi misteriosi, come in Estate ‘85 di François Ozon e per certi versi anche in Illusioni perdute di Xavier Giannoli. Ti piace questa cosa?
«Sì, molto, perché c’è più complessità e perché è qualcosa lontano da me. E perché richiede più lavoro. Quando leggo una sceneggiatura mi dico: “Come riuscirò a farlo?”. E poi cammino per ore per strada, immaginando. Tutti mi dicono che ho un viso giososo, sorrido sempre. Nella macchina da presa si vedono i lineamenti, quindi lavorare sui difetti del personaggio, sulla fiamma cattiva, mi diverte molto. Non c’è niente di più interessante di lavorare sul lato oscuro di un personaggio».
Fus, il tuo personaggio, ama giocare a calcio. Piace anche a te? Ti piacciono gli sport?
«Sì, faccio molto sport per liberare la testa e per rilassarmi. Mi piace molto il calcio, ho anche giocato in una squadra da giovane».
Ho visto che non hai Instagram e non sei sui social. Che bello! Come mai?
«Potrei dover iscrivermi presto, vedremo. Finora ho voluto rimanere misterioso il più possibile, proprio per il desiderio di messa in scena. Così non c’è nient’altro di me se non il cinema. L’unico modo per vedermi è in un film».
Tra i prossimi progetti, presto sarai lo chef Antonin Carême nella serie tv Carême. Puoi raccontarci qualcosa?
«È una serie Apple che non ha ancora una data di uscita. Racconta l’invenzione dell’haute cuisine in Francia. Carême, giovane chef di 25 anni, attirò l’attenzione di Napoleone Bonaparte, che di lui disse che avrebbe fatto brillare la Francia nel mondo. E così è stato. All’epoca si proponevano piatti e banchetti enormi e interminabili. Lui ha introdotto le cosiddette “mignardises”, piccole pietanze, tanto belle quanto buone. È stato il la per i ristoranti gourmet stellati di oggi».

Sai cucinare?
«Ho studiato per la serie tv. Sono andato in una grande scuola di cucina che si chiama Ferrandi. Mi hanno insegnato a far parte di una brigata, a cucinare carne, pollame, dolci. Sono felice ora di saperlo fare».
Nel giorno in cui debutta a Venezia Jouer avec le feu, ci sono al Lido anche Joaquin Phoenix e Lady Gaga. Ti piacerebbe un domani lavorare a Hollywood?
«Perché no? Vedremo».
Nella vita di tutti i giorni ti senti un estremista o un moderato?
«Sono molto moderato, a volte anche un po’ codardo. Voglio sempre che attorno a me tutto vada bene: questa è la mia parte luminosa. C’è una bella frase di Jacques Prévert che tengo sempre vicino a me e dice: “Dovremmo cercare di essere felici, anche solo per dare un esempio”. Non è magnifica?».
Questa è la seconda volta che partecipi alla Mostra del cinema di Venezia in concorso. È ancora emozionante essere qui?
«Sì. Lo adoro, è il mio festival preferito. Mi sento così bene qui: la laguna, l’ombra, il tappeto rosso, Alberto (Barbera, ndr), l’Excelsior, la sera in barca… Per due giorni mi sento Marcello Mastroianni».