Il coraggio lieve di François Ozon
Foto: Carole Bethuel Mandarin Production Foz

Il coraggio lieve di François Ozon

di Simona Santoni

Regista eclettico, esplora tematiche complesse e insidiose ma con tocco leggero. Graffia e accarezza. Anche ora che con “È andato tutto bene” affronta l’eutanasia. Con un film pieno di vita

«Un regista eclettico, pieno di energia, curioso, con un occhio attento nell’osservare la società e le sue debolezze». Questo è François Ozon nelle parole di Sophie Marceau, la prescelta dal regista francese per accompagnare un padre verso la morte in È andato tutto bene, suo nuovo film dal 13 gennaio nelle sale italiane.

E Sophie Marceau, intenso faro emotivo di È andato tutto bene (titolo originale Tout s’est bien passé), non potrebbe mai avere più ragione. Ozon, 54 anni e una filmografia ricchissima alle spalle, sa essere multiforme, spazia con coraggio tra le tematiche più disparate e complicate: dal desiderio dai risvolti più torbidi al cannibalismo, dall’omosessualità al travestitismo, da maternità speciali alla prostituzione giovanile, dalle colpe di guerra alla pedofilia tra tonache sacerdotali. Ora tocca la commedia, ora il mistery, quindi il thriller, il dramma o addirittura la fiaba. Ma sempre sempre sempre con uno stesso sottile filo comune: un tocco lieve. Un certo umorismo sotterraneo onnipresente, magari nero, o persino incantato. E una leggerezza di mano: graffia e accarezza; affonda e solletica. Anche adesso che con È andato tutto bene tratta un argomento scomodo e così attuale anche in Italia: l’eutanasia.

Un film sull’eutanasia eppure pieno di vita 

Presentato in anteprima all’ultimo Festival di Cannes, È andato tutto bene si ispira al libro omonimo di Emmanuèle Bernheim, vicenda vera vissuta in prima persona dalla scrittrice francese che collaborò con Ozon alla sceneggiatura di Sotto la sabbia (2000) e ad altri film successivi. 

È andato tutto bene è la storia di una figlia che riceve dal padre la richiesta più difficile da esaudire: aiutarlo a morire. E questo in una Francia che, come l’Italia, non concede il diritto a morire dignitosamente.
Ecco che una meravigliosa Sophie Marceau, attrice matura e densa lontana dalla ragazzina sognante de Il tempo delle mele (1980), si carica addosso il fardello di organizzare un viaggio in Svizzera, dove il suicidio assistito è consentito, che non abbia conseguenze legali su di lei, con annessi tutto il senso di colpa e il dolore che può suscitare una simile missione.

Sophie Marceau e André Dussollier
Foto: Carole Bethuel Mandarin Production Foz
Sophie Marceau e André Dussollier nel film “È andato tutto bene”

Ma non si pensi che È andato tutto bene sia un drammone tristissimo tutto angoscia e lacrime. C’è il tocco lieve di Ozon, ovviamente, affidato ad André Dussollier, che interpreta un ultraottantenne tutt’altro che amorevole, padre profondamente egoista, probabilmente anche nella sua scelta finale, cinico e pretenzioso ma pieno di vita.
In passato ha sposato Claude de Soria (Charlotte Rampling), scultrice depressa, per attenersi alle convenzioni borghesi, ma nonostante questo ha vissuto come desiderava, senza limitazioni, abbracciando la sua omosessualità. Il suo André Bernheim sceglie di morire solo perché, bloccato nel fisico da un ictus, non può più vivere nel modo in cui ama vivere.

«Il film sta dalla parte della vita», dice Ozon. «Ogni volta che potevo infondere alla storia un po’ di umorismo o ironia, l’ho fatto. È venuto naturale, con le situazioni e i personaggi. Ed era necessario. Quando giri un film che sta dalla parte della vita hai bisogno di ridere».

Nel conto alla rovescia verso il giorno fatico, picchiettano sfumature da giallo: andrà tutto liscio? André, che zampilla di vitalità, si immerge nelle note di Brahms, gusta Bordeaux e mousse di cioccolato, porterà fino in fondo il suo piano?

Emmanuèle Bernheim aveva chiesto a François Ozon se fosse interessato ad adattare il suo libro tanti anni fa, dopo la collaborazione in Sotto la sabbia. Allora Ozon disse di no, non sentiva il racconto abbastanza suo. Emmanuèle è morta per un tumore nel 2017 e la sua assenza ha portato Ozon a tuffarsi nella sua storia per il desiderio di essere ancora con lei.

«Nel raccontarla ho sentito il grande stress che Emmanuèle deve aver provato nell’affrontare una società che non ci permette di organizzare una morte desiderata in un modo legale e strutturato», racconta Ozon. «Non credo che i figli o i cari della persona che desidera morire dovrebbero caricarsi di questo peso con il senso di colpa che lo accompagna».

Géraldine Pailhas, François Ozon, Charlotte Rampling e Sophie Marceau
Foto: Carole Bethuel Mandarin Production Foz
Géraldine Pailhas, François Ozon, Charlotte Rampling e Sophie Marceau sul set del film “È andato tutto bene”

Ozon all’esplorazione dell’ambigua natura umana 

Il caso particolarissimo di François Ozon è che la sua carriera è quella dei grandi autori, eppure nella sua filmografia manca il grande film. Ci sono tanti film, a volte anche esili, spesso imperfetti, eppure tutti hanno un tocco speciale e lievitano di significato nella connessione tra ognuno.
Da 8 donne e un mistero, commedia musicale noir sui segreti femminili, zeppa di scenografie e costumi colorati e vistosi, a Swimming Pool, con tensioni a bordo vasca cariche di erotismo tra una Charlotte Rampling scrittrice di successo e una giovane Ludivine Sagnier bella e disinvolta. Ecco poi l’incredibile nascita di un angelo da un grembo tutt’altro che sacro in Ricky – Una storia d’amore e libertà, il voyeurismo che scivola nell’ossessione nel rapporto tra allievo e prof in Nella casa, la battaglia di un ex bambino abusato contro il prete molestatore di Grazie a Dio.

Non è un caso che François Ozon non abbia quasi mai vinto un premio importante (a Cannes, a Venezia, ai César), a parte l’Orso d’argento gran premio della giuria per Grazie a Dio a Berlino, ma abbia accumulato valanghe di candidature.

Coraggioso ma non attivista, François Ozon esplora la natura umana nelle sue pieghe più ambigue. Con un piacere sommo nel sovvertire le norme sociali o familiari. Il suo prossimo lavoro? C’è da fregarsi le mani. Rileggerà l’opera cult di Rainer Werner Fassbinder Le lacrime amare di Petra von Kant, dirigendo Isabelle Adjani e Denis Menochet: una stilista, che vive sola con una cameriera che accetta ogni suo maltrattamento, si innamora follemente di una donna, che le spezza il cuore. Il coraggio lieve di François Ozon.