Vincent Lindon a Venezia: «Che fatica trattenere la rabbia»
Daniele Venturelli/WireImage)

Vincent Lindon a Venezia: «Che fatica trattenere la rabbia»

di Simona Santoni

Nel film in concorso “Un autre monde” esplora ancora una volta le storture del mondo del lavoro, questa volta dalla parte di un dirigente d’azienda in crisi. Lo abbiamo incontrato

Presenza rocciosa, nervi tesi, talento solido e versatile, a 62 anni Vincent Lindon nasconde sotto camicia e giacca da manager i muscoli da body builder che si è fatto per Titane, film fresca Palma d’oro a Cannes, e torna a esplorare storture e pressioni del mondo del lavoro al Festival di Venezia, nel film in concorso Un autre monde, di nuovo in binomio con il regista Stéphane Brizé, con cui è alla quinta collaborazione.  

Oggi considerato uno dei più grandi attori del cinema francese, Lindon proprio insieme a Brizé aveva già perlustrato angolature diverse della condizione attuale del lavoro, prima nei panni di un over 50 disoccupato che quando finalmente trova lavoro come guardia giurata deve affrontare dilemmi etici ne La legge del mercato (2015), quindi come sindacalista che lotta per salvare la chiusura dell’azienda in In guerra (2018).

Ora è un terzo personaggio ancora, Philippe Lemesle, un’altra faccia dello stesso spettro di situazioni: è un dirigente d’azienda con auto e appartamento di lusso e ricco salario, di una multinazionale alle prese con l’ennesimo piano di licenziamento e la delocalizzazione. A lui spetta l’ingrato compito di portare a termine l’ordine dall’alto, licenziare 58 dipendenti, a favore dei dividendi degli azionisti. È ridotto a mero esecutore, schiacciato nel suo ruolo, non ha possibilità decisionale. Il suo posto di lavoro e i suoi bonus sono al sicuro, ma la sua coscienza comincia a urlare. E intanto, per i problemi che dall’ufficio si è portato a casa, il suo matrimonio si sgretola.

Discendente di una famiglia rinomata, padre industriale, madre giornalista di moda, lo zio Jérôme Lindon direttore delle Editions de Minuit, Lindon sa portare sul suo corpo possente e sul volto disegnato da linee, il tormento di un manager in crisi come quello di un proletario allo stremo. Tra i suoi grandi amori la principessa Carolina di Monaco e l’attrice Sandrine Kiberlain, da cui si è separato nel 2003 e con cui tra l’altro condivide il set di Un autre monde, ma lui preferisce non parlare della sua vita privata.

Da sindacalista nel film In guerra, a tagliatore di teste in Un autre monde. Come si è sentito dall’altra parte della barricata?

«Ho pensato a questa metafora: è come se qualcuno facesse un documentario su De Gaulle, in cui ci sono altri personaggi, Churchill, Hitler e Stalin. Poi c’è un altro documentario su Churchill e lì ci saranno gli altri tre personaggi, visti da un altro punto di vista, e così via. In qualche modo il mio personaggio è qualcuno che io avevo già visto, dall’altro lato della barricata, sì, nei film precedenti, non è qualcuno di nuovo. L’operaio e il sindacalista conoscono il padrone, e viceversa, è come se facessero tutti parte della stessa famiglia, se fossimo nella stessa barca, sul Titanic, solo che invece di essere in terza classe, ora mi trovo nelle cabine migliori. Una volta Stéphane (Brizé, ndr) mi ha detto che una delle cose che trovava interessante era raccontare come l’élite normalmente non si possa lamentare di nulla, visto che è in una situazione privilegiata. Voleva quindi mostrare una persona dell’élite che non sta bene in quello che fa, che non riesce più a rispondere alle richieste che gli vengono fatte».

Dopo questa trilogia sul lavoro, che idea si è fatto di questa società contemporanea che non salva nessuno?

«Non ho linguaggio e conoscenza per fare una riflessione in merito, però, quello che posso dire in due parole è che io sono allo stesso tempo tutti questi personaggi, sia l’operaio che il sindacalista che il dirigente d’azienda, perché tutti sono animati da un certo progresso nei tre film. Rispetto all’inizio del film, tutti e tre progrediscono, sono un po’ migliori, perché si interrogano, soffrono, si fanno tante domande, entrano in crisi, e per me questo è sempre una cosa importantissima. Nei film che faccio con Stéphane è sempre come se i personaggi fossero una sorta di eroi dei tempi moderni, che affrontano tutte le proprie difficoltà. Io non posso certo trovare una soluzione alla precarietà del lavoro, e noto che aumenta sempre più il divario tra chi non ha e chi ha troppo. L’unica cosa che posso fare, personalmente, è cercare di fare un film per smuovere il pubblico a riflettere su questa situazione.

Cosa ama dei film di Brizé, che lo porta a lavorare ancora una volta insieme a lui?

«Quello che amo dei suoi film è che non prende il pubblico per mano, non dà degli ordini, non dice ‘questi sono i personaggi positivi e questi i negativi’, detesto questo tipo di film. Un autre monde è un film che mostra uno spaccato e invita gli spettatori a farsi una loro idea, a riflettere e anche a digerire quello che vedono. In caso contrario non sarebbero stimolati. Questo vale anche per me: se mi dicessero di fare un film di propaganda, che ha un messaggio molto chiaro e ti dirige in una certa direzione, mi ritirerei di sicuro»

Vincent Lindon e Sandrine Kiberlain
Photo by MARCO BERTORELLO/AFP via Getty Images
Gli attori Vincent Lindon e Sandrine Kiberlain e il regista Stéphane Brizé sul red carpet del film “Un Autre Monde”, Lido di Venezia, 10 settembre 2021

Nei panni di un dirigente d’azienda che deve applicare ordini aziendali in cui non crede, è gravato da un senso di responsabilità molto violento…

«Il mio personaggio è un uomo sul punto di rottura tra due atteggiamenti diversi. Fino a quel momento pensa che sia colpa sua il fatto di dover effettuare licenziamenti. Il responsabile delle risorse umane lo tranquillizza dicendo che se non avrà coraggio di licenziare tutte quelle persone, qualcuno lo farà per lui, perché non tutti hanno il coraggio. Ma qui per lui il coraggio è il contrario, è riuscire a tenere i dipendenti. Ed ecco che si accorge che effettivamente la responsabilità non è sua: è questo il momento di rottura del film e della sua vita in cui capisce che il sistema lo ha incastrato in quella situazione e non vede in quello che fa un senso. Come in tutte le persone che lo circondano. Sono come dei polli che corrono senza testa».

Nella prima scena del film si svolge la contrattazione con gli avvocati per il divorzio. Sua moglie è interpretata da Sandrine Kiberlain, con cui ha condiviso un pezzo di vita. Come fate voi attori a separare emozioni private da quelle che mettete nei personaggi?

«Non amo questo tipo di domande, non si chiedeva a Spencer Tracy e Katharine Hepburn o a Humphrey Bogart e Lauren Bacall com’è stato rivedersi sul set. Non aggiunge nulla al film. Alcune persone probabilmente neanche sanno che c’è stata una relazione prima tra di noi. Nel film uno vuole entrare in un’altra dimensione, in un’altra vita, e non ha senso connettersi con la vita reale, che non ha alcuna relazione con quello che succede sul set. Racconto un aneddoto: una volta mi ha fatto arrabbiare un regista che mi rivoleva in sala dopo che è stato presentato In guerra. Durante la proiezione siamo andati a cena, lui mi rivoleva in sala alla fine. Ma io non volevo perché il film raccontava un finale drammatico ed era quello il vero finale, non io che tornavo tutto bello, che avevo appena cenato e poi avrei preso l’aereo per Parigi. Per me è importante che la gente possa restare nel film, nella storia, che rifletta su quello che ha appena visto, non sulla vita privata dell’attore, e non lo dico per difendermi, ma proprio per il senso che ho io del cinema». 

E non ha neanche un buon rapporto con i social…

«Praticamente non ho social media. È tutto ciò che combatto. Non condivido niente della mia vita, gatti, cani, figli, barca, se sono felice. Penso che oggi la vera star sia proprio il mistero, riuscire a mantenere un paio di cose solo per se stessi. Un giornalista una volta mi ha detto, ‘Farò solo una domanda… Vincent Lindon, chi è lei?”: mi ha totalmente spiazzato. Ho cominciato a dire la qualsiasi, non è quello di cui vorrei parlare». 

È al quinto film con Brizé, com’è nato il vostro rapporto?

«Siamo un po’ l’uno l’alter ego dell’altro. La prima volta ci siamo incontrati in un caffè di Parigi, mentre incontravo il regista di Welcome, Philippe Lioret. Stéphane è passato, ha salutato Philippe, poi me, e mi ha detto: ‘Mi piace molto il suo lavoro, magari un giorno lavoreremo insieme, ora sto lavorando a Mademoiselle Chambon, ma ho già il mio attore principale, un italiano, poi il personaggio è un muratore sposato che si innamora di un’insegnante, quindi forse non molto adatto, ma capiterà l’occasione’. Dopo un po’ di tempo ricevo una telefonata da un numero che non conosco ed era lui: mi ha detto che l’attore aveva avuto dei problemi e mi ha proposto la parte. È stato il primo film insieme e da lì è nata una collaborazione bellissima. Oggi non abbiamo neanche bisogno di parlarci, basta uno sguardo e ci capiamo, nessuno fa nulla senza che l’altro non l’abbia approvato al 100%. È come se non fosse lavoro ma qualcosa che condividiamo a livello quasi spirituale, una sorta di missione. Per me girare con lui significa trovarmi di fronte a me stesso, è quasi terapeutico».

Il suo Philippe è compresso, trattiene la rabbia che cerca di sfogare un po’ correndo sul tapis roulant. Come ha lavorato su questo contenimento? La rabbia è qualcosa che le appartiene?

«Non ho dovuto lavorare particolarmente sullo sviluppare la rabbia, perché ne ho il doppio rispetto al personaggio, ne ho tanta accumulata. Il problema è stato in effetti contenerla. Perché il personaggio è all’interno di un ruolo in cui inizia a non credere più. Per me era difficile non esplodere, c’è una parte del Vincent attore che voleva dire al pubblico: ‘Guardate che poi vi dimostrerò che non sono così, sono anche io duro, mi farò valere’. È stato faticoso resistere fino alla fine, perché avendo letto la sceneggiatura, so bene che poi si rivelerà diverso. Per la maggior parte del tempo ribollivo dentro».

Vincent Lindon
Photo by Marco Bertorello/AFP via Getty Images
Vincent Lindon al photocall del film “Un Autre Monde”, Mostra del cinema di Venezia, 10 settembre 2021