

Jackson Passaglia
Ieri influencer, astro di TikTok, oggi esordiente cowboy in un western hollywoodiano. Questo giovane talento conferma di sapere cosa vuole e, come sempre, dà il massimo per arrivarci
Fissato l’orario dell’intervista (tarda mattinata), la location (un caffè hipster di Silver Lake) e data una nuova scorsa ai suoi social, mi resta la domanda: come sarà dal vero Jackson Passaglia? I dubbi svaniscono come neve al sole californiano quando me lo trovo davanti.
Astro di TikTok, assolutamente Gen Z (2002), influencer di provata creatività, se non carisma, certo gli va riconosciuto un bel magnetismo, sottolineato dai tratti somatici che pochi possono vantare. Risultato: una fotogenia come solo una star del cinema può avere.
Ed è stato, giusto per non sbagliare, proprio un servizio fotografico a segnare la svolta per lui. «Un paio d’anni fa, al liceo», ricorda ridendo, «postavo molto su Tiktok e Instagram, per crearmi un seguito di followers. È stato allora che ricevetti un’e-mail da Saint Laurent che in sostanza mi chiedeva: “Vuoi venire a fare un photoshoot in Italia?”. Ho accettato all’istante e mi sono trovato catapultato a Venezia per sei giorni, la città più bella che abbia mai visto in vita mia, con tanto di sfilata, passerella e shoot per Icon».
Lo ammetto, sono invidiosissimo dello charme di questo ragazzo, così parto con le domande che secondo il mio bullshit-meter mi servono a “pesare” il reale spessore di questi nuovissimi Machiavelli dell’iPhone. “Cos’è un influencer? Dove prendi l’ispirazione per i contenuti? Qual’è il tuo super potere?”… Non finisco la domanda che arriva, tranchant, la risposta: «Non sono più un influencer. Era la mia realtà di allora, ma siccome non coincide con quello che voglio fare oggi, ho deciso di smettere, di dedicarmi ad altro. Avevo cominciato durante il Covid: niente scuola, ero bloccato in casa con il telefono e una nuova app di cui parlavano tutti, TikTok, all’epoca ancora poco esplorata. Ho capito che poteva essere uno strumento che mi avrebbe permesso di lasciare Portland e l’Oregon, visto che ne ero davvero stufo. Volevo New York, Los Angeles, volevo sognare, esplorare il mondo. Così sono diventato influencer».
Con tanto di piano quinquennale e schema per il futuro: «Postavo tre video al giorno, e avevo scalettato contenuti per quasi due anni. Era uno sfogo creativo, ma anche uno state of mind in cui avevo investito tutto il tempo che avevo. Ero deciso a dare il massimo».
A questo punto, Jackson, mancato pilota da corsa, amante di Star Trek – «saper volare sembra super figo, anche se preferirei il teletrasporto, più utile» – ed esperto del cubo di Rubik comincia a raccontarmi della sua nuova vita e degli stimoli, partendo dalle radici, da mamma e papà. «John e Debbie: mamma massaggiatrice professionale, papà in banca. Il cognome Passaglia, di origine italiana, era quello della bisnonna».

La fotogenia è in famiglia un fattore genetico visto che, ricorda, «papà è stato a sua volta fotomodello a Milano per 15 anni. È lì che conobbe mamma, anche lei modella (ah! ah!, ecco, ora tutto si spiega, ndr). Anni dopo decisero di avere una famiglia lontano dal business; andarono a Burbank, dove sono nato io; in Oregon ci trasferimmo quando avevo 18 mesi. Facevamo una vita da hippie, sole amore e fantasia; ma sono stato educato seguendo regole di vita molto precise: lo sport fa bene alla crescita del fisico, i libri sviluppano intelletto e curiosità, quindi tanta interazione e contatto umano, pallacanestro e baseball, zero Xbox e PS4… e tantissimi film, visto che papà è uno studioso di cinema. Addirittura, per anni mi ha seguito ovunque armato di videocamera, tanto che adesso ho la mia intera infanzia catalogata, come Boyhood di Richard Linklater».
Da lì ad amare cinema e recitazione il passo per Jackson è stato breve. «C’è qualcosa di veramente bello in un buon film; con tutto gli stimoli che ti può dare, può farti sentire meno solo, finalmente compreso. In fondo, questo è tutto ciò che vogliamo nella vita: essere compresi, no? Il film che mi ha rivelato la recitazione è stato I Goonies, mentre quelli che ritengo masterclasses sono tutti datati pre anni 2000. Sono cresciuto guardando Brad Pitt, Matt Damon, Leonardo DiCaprio, Joaquin Phoenix».
Lasciatasi alle spalle la comunità degli influencers, Jackson si è trasferito a New York per frequentare i corsi di recitazione di Bob Krakower, affinare gli strumenti dell’attore, per poi partire alla volta di Los Angeles, dove ha continuato a studiare la settimana arte. Un anno di studi e audizioni, ed ecco il debutto indie con High Expectations – «ho imparato lì cosa significa essere un attore preparato, professionale, rispettoso, cosa fare e soprattutto cosa non fare sul set» – con cui si mette in mostra al punto che a febbraio, è stato scelto per The Florida Wild, western con tanto di cowboy, pistole e cavalli.
«Il mio primo film hollywoodiano è addirittura un western, dove sono un bandito ricercato dalla legge». Per creare il personaggio ha vissuto in Florida un paio di mesi fra i cowboys del circuito del rodeo americano. È stata una bella full immersion in una comunità ad alto contenuto di testosterone: «Ho imparato il loro slang, il loro modo di comunicare, come cavalcare, sparare e persino sputare come fanno i veri cowboy».
Alla preparazione sul campo Jackson ha affiancato anche quella cinematografica: «Mi sono visto capolavori come Butch Cassidy, gli spaghetti western di Sergio Leone e Clint Eastwood, senza tralasciare il regista americano contemporaneo forse più western di tutti, Kevin Costner e il suo Balla coi lupi». Insomma, stiamo tranquilli: anche un GenZ sa che coi classici non si scherza.