

Jacob Elordi
Tutti i rifiuti ricevuti a Hollywood, le ferite visibili e quelle più nascoste, Jacob Elordi le ha riversate nella sua Creatura di Frankenstein: gigantesca e vulnerabile. «Mi riconosco più in lei che in me stesso»
Guillermo del Toro per il suo Frankenstein voleva una Creatura bella e ultraterrena, che fosse come una statua di marmo. E ha scelto Jacob Elordi. Quasi due metri d’altezza, la statura maestosa è stata spesso un ostacolo per gli albori da attore del ventottenne di Brisbane ma adesso, per l’horror gotico in corsa per il Leone d’oro, è provvidenziale.
Jacob Elordi torna alla Mostra del cinema di Venezia due anni dopo aver interpretato un inafferrabile e carismatico Elvis Presley in Priscilla. Ora invece porta tutta la sua vulnerabilità “mostruosa” nell’iconico personaggio di cicatrici, amore e dolore ideato da Mary Shelley.
Al Lido, eccolo, colosso gentile in total white by Bottega Veneta, con la voce così profonda mentre lo sguardo, davanti ai giornalisti, spesso si nasconde altrove rivelando una dolce timidezza.
Nel film, sotto a 42 protesi che gli ridefiniscono il corpo, Jacob Elordi si muove lentamente, con gestualità teatrale e a tratti surreale, ispirata alla danza d’avanguardia giapponese Butoh. La sua Creatura all’inizio ha candore da bambino, quindi saggezza da filosofo. Di nivea purezza. Per lui l’incontro con il regista messicano è stato una sorta di epifania. «Questo ruolo è arrivato in un momento in cui avevo bisogno di azzerarmi e ricostruirmi di nuovo, cioè esattamente il percorso che compie la Creatura».

Che esperienza è stata per te?
«È stato bellissimo. È sempre stato il mio sogno da quando ero bambino e con mia madre al Blockbuster vidi una copia di Frankenstein».
Per diventare la Creatura ci sono volute dieci ore di trucco. È stato difficile?
«No, per nulla, è stato un privilegio. È stato laborioso ma era un lavoro d’amore. E le dieci ore sono state cruciali. Guillermo mi aveva detto che avrei dovuto sopportare il make-up ma che sarebbero stati passaggi necessari. E così è stato. Nel momento in cui mi sono seduto sulla sedia con Mike Hill (il maestro delle protesi che ha curato il design della Creatura, ndr), è stato fondamentale avere dieci ore per poter diventare il personaggio, man mano che si aggiungevano i pezzi. Ed è stata una grande gioia. In realtà oggi mi manca quella copertura addosso. È stato un posto sicuro in cui potevo creare, come mai sarei stato in grado di fare nella mia pelle».
Ci sono state diverse versioni di Frankenstein. Come hai trovato la tua Creatura?
«Mi sono avvicinato a questo progetto perché sapevo che avrei potuto riversarci qualsiasi cosa di me, tutto il mio inconscio. La Creatura che vedete sullo schermo è la forma più pura di me».

Con lei è nata una profonda connessione…
«La Creatura è più me di quanto io sia la Creatura. In lei c’è tutto me stesso: il rapporto con mio padre, i ruoli che non ho ottenuto a Hollywood, quelli che non sono riusciti. Mi riconosco più in lei che in me stesso. Me ne sto accorgendo soprattutto ora con il senno di poi».
C’è stata cura anche negli accenti…
«Ho adottato un accento dello Yorkshire perché David Bradley, che interpreta il ruolo della persona cieca, viene da lì, quindi di fatto la Creatura impara a parlare da lui».

Sei stato tra gli ultimi a unirti al progetto. Com’è stato?
«Sì, Guillermo mi ha chiamato quando era già abbastanza avanti nel processo, stavo finendo un altro film in Australia. Quando sono arrivato mi sono unito al “banchetto”. Mi si è presentato davanti qualcosa di monumentale, io ho solo dovuto aggregarmi ed è avvenuto tutto in un clima di grande accoglienza. Era un sogno che si avverava».
Chi sono per te i mostri oggi nel mondo reale?
«Come dice anche Guillermo, i mostri sono gli uomini con giacca e cravatta e con gli abiti ben disegnati. Sono i più pericolosi».