Giuseppe Spata

Giuseppe Spata

In principio fu la pittura. Poi, il teatro. E per l’undicenne Giuseppe Spata si aprirono le porte di un mondo pieno di storie che lo hanno aiutato a crescere e a capire chi voleva diventare

di Angelo Pannofino

Dice cose interessanti, spesso sorprendenti, questo giovane attore (è nato a Ragusa nel 1993, e prossimamente lo vedremo, con Jasmine Trinca e Valeria Bruni Tedeschi, tra i protagonisti della serie tv L’arte della gioia, diretto da Valeria Golino): parla, ad esempio, del “farsi da parte”, pensiero piuttosto inconsueto per chi fa il suo mestiere: «Per me l’attore è solo una delle componenti di un ingranaggio più grande che serve a raccontare una storia. Attori come Gian Maria Volonté o Elio Germano li ammiro perché mi piacciono quelli che si mettono al servizio del racconto, o del personaggio, facendosi da parte, dando la priorità alla storia e non a sé stessi. Da spettatore non amo assistere a protagonismi inutili».Cinema e teatro per Giuseppe Spata sono infatti «un lavoro collettivo e per la collettività», parole che vengono fuori anche quando, complimentandomi per la bellezza quasi freudiana (Lucian, no Sigmund) di un suo ritratto di uomo, finiamo a parlare di pittura, sua passione fin dall’infanzia: «Per non dipingere sempre da solo mi sono iscritto all’Accademia dove, tra un film e l’altro, seguivo solo le lezioni di pittura: non volevo laurearmi, non ne avrei avuto il tempo, ma dipingevo con gli altri allievi, perché credo nello stare insieme, nelle idee che possono nascere stimolandosi a vicenda. Oggi purtroppo stiamo sempre più con noi stessi, su noi stessi».


Giacca e dolcevita Tod’s.

Quando ha fatto il suo ingresso nel mondo del cinema, la scoperta della «collettività che si crea su un set» è stata quindi la bella sorpresa: «Mi si addice: stare insieme a persone diverse che si uniscono per raccontare una storia». Per contro, «quello che invece non mi aspettavo è l’importanza dei social dal punto di vista lavorativo. Gestire la propria immagine è la parte per me più faticosa, perché mi piace essere riservato. Non mi interessa guardarmi vivere».  Un attore che non soffre di protagonismo pare quasi un ossimoro, ma essere sotto i riflettori, nel suo caso, sembra più una conseguenza che la ragione per cui fa questo lavoro: «Ci vuole onestà per capire se si può essere utili e servire una storia. E se non lo si è, ma si riconosce il valore di quella storia, in un mondo ideale sarebbe giusto farsi da parte». È un’opinione coerente con la sua, di storia, quella che lo ha portato a recitare: «Famiglia molto semplice. I miei si sono separati che avevo 1 anno. Sono cresciuto con mia madre e la mia sorella maggiore. E con il mare: solo quando l’ho perso, dopo essermi trasferito a Roma a 19 anni, mi sono reso conto di cosa volesse dire addormentarsi con il rumore delle onde. Già da piccolo mi piaceva disegnare e dipingere. Parlavo poco, e questo influiva negativamente sul mio rendimento scolastico. 


Polo e pantaloni Tod’s.

Quindi un’insegnante di italiano suggerì il teatro, per farmi interessare a qualcosa che non fosse solo starmene nel mio mondo. E così andai, svogliatamente, a fare questo corso di teatro». Aveva 11 anni e fu l’epifania: «Oltre al divertimento, il teatro mi ha fatto vedere le cose da un altro punto di vista, mi ha fatto scoprire opere e tragedie che fino a quel momento per me erano solo una rottura di coglioni impressionante. Mi ha fatto capire che potevo dare una verità personale a cose che mi erano sempre sembrate distanti. Mi ha chiamato in causa direttamente, mentre prima avevo un distacco (che è rimasto) da tutto quello che era “scolastico”». 

Tra le conseguenze del teatro, oltre alla disciplina («che ho imparato nel tempo»), anche la passione per la lettura: «Prima non toccavo un libro neanche per sbaglio, perché la lettura era associata all’ambito scolastico». Oggi di libri ne legge 30, 40 all’anno (nel momento in cui ci parliamo: Altri libertini, di Tondelli). Insomma, «non pensavo di fare l’attore, anzi. Ho posticipato il più possibile il momento in cui avrei dovuto decidere cosa fare nella vita, sperando di trovare qualcosa in cui fossi non dico bravo, ma quanto meno sufficiente: speravo di scoprirmi bravo in fisica, economia o giurisprudenza, qualcosa che fosse percepito come solido. Non è mai successo. E a 18 anni mi sono guardato allo specchio e mi sono detto “ciò che mi fa star bene, al di là del ritorno economico e della stabilità, è fare l’attore, e poi dipingere”. E queste due cose ho continuato a fare».


Trench e maglia Tod’s.

Un mestiere, quello dell’attore, in cui bisogna imparare a reggere psicologicamente l’essere costantemente giudicati e spesso bocciati: «Ai provini il 99% delle volte ottengo rifiuti. La delusione rimane altissima: pensavo che negli anni sarebbe andata meglio, pensavo che mi sarei indurito, invece non è cambiato niente. Per onestà devo dire che, superata la delusione, quando poi esce il film per il quale non sono stato scelto, mi capita di riconoscere che l’attore che mi è stato preferito era più giusto». Quasi troppo un bravo ragazzo… «Ma no», ride, «il fatto è che non riconoscerlo sarebbe un limite: posso imparare qualcosa da quell’attore, che, evidentemente, ha colto cose che a me sono sfuggite».


Giacca Tagliatore, gilet e pantaloni Marni.

Ma insomma, nessun interesse per il glamour? I red carpet? La polvere di stelle? «Certo che mi ci vedo sul tappeto rosso ma quelle sono cose laterali di questo lavoro: la parte centrale, vera, è fatta d’altro, ed è giusto esserne consapevoli. Poi non giudico, eh: chi riesce a credersi il centro del mondo, buon per lui. Io, non mi ci sento». E precisa: «Siamo tutti sostituibilissimi. È importante saperlo e accettarsi per ciò che si è. Io per un certo periodo avrei voluto avere un po’ più di faccia tosta, essere un po’, come dire, arrampicatore, ma non sono fatto così. Non sono il tipo che si impone, in nessuna circostanza».  Tanta modestia mi spinge a chiedere: «Ti reputi bravo?». «Bella questa… Dipende dai giorni in cui me lo chiedi. Oggi? Oggi no», ride. «Onesto. Ecco. Mi reputo onesto. Ho risposto alla tua domanda?».

In apertura Camicia e pantaloni Tod’s.

Photos by Guy Aroch, styling by Edoardo Caniglia; Grooming: Franco Chessa @ProductionLink. Styling assistants: Elena Pacino, Giada Cubeddu.