Un vecchio film, e la voglia di libertà, riportano sulle passerelle l’estetica clochard (sul buon gusto dell’idea si può discutere, ovviamente)

Trasandati di tutto il mondo, unitevi. L’appello risuona sulle passerelle invernali, che si coalizzano nel celebrare l’uomo incolto e volutamente arruffato. Punto di partenza, la barba. Un cespuglio vaporoso che fa il paio con capelli al naturale, opachi e spettinati, alla perfezione. Un’apparenza selvatica e dai tratti consumati che rievoca i fotogrammi del celebre Boudu salvato dalle acque, pellicola del 1932 per la regia di Jean Renoir. Protagonista Boudu, il vagabondo che tenta il suicidio perché ha smarrito il suo cane. Sarà salvato da un libraio di larghe vedute, a cui per tutta risposta sedurrà in casa moglie e amante. Campione dell’insofferenza ai codici borghesi e di una condotta di vita che risponde gioiosamente alle leggi dell’istinto, Boudu lustra le scarpe con le lenzuola di seta e si ostina a portare le bretelle stracciate sugli abiti della sua nuova e ritrovata condizione borghese. Un mix irriverente che sembra citato quasi alla lettera dallo sbandato di Dries Van Noten, a suo agio nell’accappatoio e in pantaloni pigiameschi, e dalle giacche di tweed rattoppato che impazzano da Junya Watanabe. Meglio di loro solo l’iperbarbuto di Yohji Yamamoto, che mette alla berlina il concetto di sartoriale con volumi over e cardigan sformati. Sognando la ribellione.