Intervista a Philippe Starck, archistar di fama mondiale, oggi anche cratore di fragranze con il marchio Starck Paris

Queste fragranze, come tutto nella mia vita, sono misteri. Peau de Soie rappresenta il colore della seta, il rosa satinato. Peau de Pierre, fragranza maschile dal cuore femminile, è di colore grigio rosato, ruvido come la pelle dell’uomo. Al centro tra i due, Peau d’Ailleurs, nient’altro che verde infinito

Con queste parole, il designer Philippe Strack racconta ad Icon i profumi protagonisti del suo ultimo progetto, Starck Paris. Una collezione di essenze (le cui note sono segrete) che lavora sull’etereo, l’immateriale, in ‘uno spazio mentale delineato da poesia e chimica”, come dice lo stesso Starck, e come racconta in questa intervista.

Che valore hanno per lei le memorie olfattive?
Solitamente sono affascinato più dagli odori che dai profumi. Gli odori di una felice nostalgia, come il catrame di carbone. Gli odori che mi ricordano i luoghi in cui vivo– odori metaforici – come quello della velocità o del vuoto cosmico e ovviamente l’odore della donna che amo.

Ha mai progettato un oggetto partendo da un ricordo olfattivo?
Gli odori, come la musica, sono sempre stati elementi strutturali nella mia vita, ma sono anche la mia vita, probabilmente a causa della mia “disfunzione mentale”chiamata creatività. Quindi è logico che i miei ricordi olfattivi e musicali si ritrovino poi nelle mie creazioni. Musica e odori sono i territori della mente.

Quali sono le differenze e affinità tra il creare un oggetto e creare un profumo?
La collezione Starck Paris non è assolutamente legata al mondo del design o dell’architettura, ma strettamente connessa alla mia emozionale architettura mentale. Ho sempre avuto l’idea di combattere contro il materiale, un paradosso per me che da sempre lavoro con la materia. Tuttavia penso che la materia sia volgare. Solo il progetto è raffinato, solo il sogno è elegante. Creando le fragranze, ho potuto realizzare questo sogno d’immaterialità. Ecco perché questo progetto mi è molto caro, probabilmente il più vicino a quello che sono io realmente.

Lei nel design ha dei tratti molto riconoscibili: semplificazione, ironia, ricerca dei materiali, sperimentazione nelle forme. Come è riuscito a tradurre questi segni in un profumo?
Preferisco l’umorismo all’ironia. Questa collezione è legata a ciò che sono io. Forse per la prima volta ho lavorato ad un progetto personale ed emozionale. È connesso al mio cervello e alla mia creatività, a chi sono e a chi siamo o a chi penso dovremmo essere.

Che rapporto aveva con il mondo delle fragranze prima di cimentarsi nel settore?
Sono cresciuto tra gli scaffali del retrobottega della profumeria di mia madre. Fin dalla mia prima infanzia ho avuto una relazione intimistica con le fragranze. Mia madre mi lasciava lì per ore con musica classica di sottofondo. Non mi rendevo conto che stavo crescendo con il più potente veicolo dell’immaginario, gli odori, ai quali devo la mia creatività.

Creare il packaging è stata la parte migliore?
A dire il vero in un primo momento non volevo neanche disegnarlo. Abbiamo lavorato diversi anni con i profumieri sulle fragranze. Poi, Perfumes y Diseño (produttore del progetto, ndr) mi ha chiesto di disegnare la bottiglia, questione che non avevo preso in considerazione, perché concentrato sul processo creativo astratto delle fragranze, materiale di per sé già molto interessante. Quando ho dovuto affrontare la materia, è stato doloroso. Disegnare il packaging è stata l’unica costrizione che mi è stata imposta.

Meglio fare il designer o il naso?
Non sono un designer, non sono un architetto e non creo profumi. Sono sicuramente un sognatore di professione. Il processo è molto semplice, conosco i profumi, ma non sono capace di crearli. Semplicemente Sonia e Pedro, proprietari di Perfumes y Diseño, sono venuti da me, mi hanno chiesto di essere “la visione dietro i profumi”, dicendomi che avrei potuto lavorare con i mastri profumieri su questa creazione visionaria. Mia moglie Jasmine ed io abbiamo realizzato per più di due anni dei test al buio, per identificare le persone migliori, i profumieri che ero certo avrebbero potuto capire la mia visione, con i quali avrei potuto lavorare ( i nasi Dominique Ropion, Daphné Bugey, Annick Ménardo, ndr). Poi con loro abbiamo passato intere ore a parlare di tutto: d’infinito, di vuoto, velocità, nostalgia, pietre e oscurità. Anche di sesso, ma mai di profumo.