Castelli rosa e UFO: il Giappone segreto dei love hotel
Courtesy François Prost

Castelli rosa e UFO: il Giappone segreto dei love hotel

di Tiziana Molinu

UFO, galeoni e castelli rosa: sono solo alcuni dei love hotel sparsi per il Giappone. Viaggio nel design esagerato racconta le fantasie di una nazione

C’è un castello rosa shocking nella periferia di Tokyo. E no, non è il set di un film di Wes Anderson. È un love hotel. Uno dei tanti sparsi per il Giappone. E dietro le sue torri di cartapesta e i neon vintage, c’è una storia di fantasia urbana, privacy desiderata e architettura camp spinta fino all’eccesso. A raccontarcela oggi è François Prost, fotografo francese e feticista delle derive visive più strane del mondo contemporaneo.

Dopo aver immortalato i sosia per strada in Paris Syndrome e i night club americani dalle insegne malinconiche in Gentlemen’s Club, Prost questa volta ha fatto le valigie per un tour on the road attraverso il Giappone con una missione chiara: fotografare gli hotel più assurdi del Paese. Ha guidato per oltre 3.000 chilometri con un database di Google Maps e l’occhio sempre sul bordo della strada. Il risultato? Una raccolta di immagini che sembrano uscite da una versione anime di Las Vegas.

Love hotel giappone
Courtesy François Prost

C’è il Meguro Emperor, un hotel che replica un castello europeo con un gusto da cartolina di Disneyland. Ma anche UFO, palazzine rosa confetto a forma di balena, edifici travestiti da galeoni pirata e strutture con facciate di templi greci low-budget. Tutto volutamente esagerato, dichiaratamente kitsch. E assolutamente fotogenico.

Ma cosa sono, davvero, i love hotel?

Nati negli anni ’60 come risposta a un bisogno pratico: offrire uno spazio di privacy in un Paese dove la vita domestica spesso non lo consente; spazi di intimità in una società dove le pareti di casa sono troppo sottili. C’è da dire che sono molto comuni in tutta l’Asia, ma i love hotel giapponesi si sono trasformati in un linguaggio architettonico a parte. A metà tra sogno erotico e delirio estetico, questi luoghi raccontano molto più di quanto si creda: le fantasie di una nazione, le regole del non detto, l’arte del nascondersi e allo stesso tempo esibire tutto.

Love hotel giappone
Courtesy François Prost

Ma attenzione: non si parla solo di estetica da fotoromanzo. Dentro, i love hotel sono mondi tematici perfettamente coreografati. Letti rotanti, luci led, karaoke, aree relax, jacuzzi con proiezioni tropicali, snack bar automatizzati. E poi ingressi separati, finestre finte, check-in anonimo senza mai dover vedere il volto di nessuno. Un’esperienza iper-privata dentro a un contenitore che urla tutto il contrario. Il paradosso è proprio lì, ed è bellissimo. E poi c’è il “franponais”, la mania tutta giapponese per nomi ispirati (male) al francese — tipo Hotel Le Ciel Passion o Château Amour — che non vogliono dire assolutamente nulla, ma che suonano come un desiderio d’amore da rivista patinata.

Il progetto fotografico si chiama Love Hotel e raccoglie oltre 100 scatti in un libro (nato da una campagna Kickstarter, ça va sans dire). È un archivio visivo ma anche un omaggio sentimentale a un’epoca che sta lentamente svanendo: oggi molti di questi edifici vengono ristrutturati con un’estetica più neutra, quasi boutique hotel. Più Instagrammabili, certo, ma anche più noiosi.

Love hotel giappone
Courtesy François Prost

Prost, nel suo viaggio, sembra dirci una cosa molto chiara: in un mondo che punta tutto sulla pulizia e sulla neutralità, l’eccesso è resistenza. La balena gigante al bordo di un’autostrada non è solo un richiamo alla passione: è un monumento a un’estetica che non chiede permesso. E anche se non dormiremo mai in una stanza a forma di ovetto alieno con letto vibrante e moquette viola, sapere che là fuori esiste — e che qualcuno l’ha fotografata con lo stesso rispetto riservato a un’opera di Tadao Ando — ci fa sentire un po’ più vivi.