Duran Duran: sempre “Wild Boys” (e in tour)
Credit Stephanie Pistel

Duran Duran: sempre “Wild Boys” (e in tour)

di Cristina Marinoni

Fenomeno senza tempo, la band nata a Birmingham nel 1978 arriva in Italia per quattro concerti. A 40 anni dalla leggendaria performance al Festival di Sanremo (li rivedremo anche lì?)

È il 1985, quando Sanremo diventa teatro di scene di follia ed euforia collettive che non si vedevano dai tempi dei Beatles. Protagonisti sono i Duran Duran, la band più famosa del mondo: ecco perché vengono definiti Fab Five (Lennon e soci erano i Fab Four). Il mini show della serata finale diventa leggenda: il frontman Simon Le Bon arriva sul palco con il piede sinistro ingessato (cui Pippo Baudo manda baci di guarigione), poi il microfono vola dall’asta a terra (il playback è d’obbligo anche per gli artisti in gara) mentre il pubblico applaude entusiasta. La passione dell’Italia per i Wild Boys nasce lì, durante il Festival numero 35, con migliaia di fan che invadono la città ligure per incontrarli e 18 milioni di spettatori che li guardano in televisione.

La Duranmania scoppia definitivamente ai live (soldout, a partire dal leggendario concerto allo stadio San Siro di Milano nel 1987) e, a distanza di decadi, non si è esaurisce: lo dimostrano i biglietti venduti in una manciata di giorni per i quattro concerti a giugno (15 e 16 a Roma, Circo Massimo, 18 a Bari, Fiera del Levante, 20 a Milano, headliner degli i-Days). E circola voce che la band tornerà sul palco dell’Ariston proprio per celebrare i 40 anni dell’indimenticabile partecipazione.

Non che all’estero siano meno amati. Negli Stati Uniti a metà anni 80 parlano di loro come Second British Invasion (la prima è firmata dai Beatles, ovvio), celeb del calibro di Jennifer Aniston ammettono che le loro camerette erano tappezzate con i loro poster, e il Madison Squadre Garden, per nominare l’arena più celebre del pianeta, ormai è casa loro (ultimo show: 31 ottobre 2024). Qualche motivo del successo dei DD? Ci fermiamo a tre, tutti sarebbero troppi.

Credit Eilliot Taylor

Altro che boy band

Belli, impossibile negarlo, ma anche musicisti straordinari. Prima di sfondare, i Duran Duran fanno la sacrosanta gavetta in giro per i club del Regno Unito: vietato, quindi, paragonarli agli One Direction, per esempio, creati a tavolino a X Factor Uk. Nel 2013 John Taylor è nominato migliore bassista di tutti i tempi (Daily and Sunday Express), Lou Reed dichiara che la sua migliore cover in assoluto è opera loro (Perfect Day), il geniale Mark Ronson (produttore del meraviglioso Back To Black di Amy Winehouse) e l’idolo Chic Nile Rodgers lavorano con i DD appena possono.

Una lunga lista di fuoriclasse li adora – dai Korn ai No Doubt passando per Justin Timberlake (coautore di Falling Down, con feat., 2007) – e spazza via definitivamente ogni dubbio sulla loro bravura l’altrettanto lunga lista di riconoscimenti. Due Grammy Awards (su tutti i premi vinti), una stella sulla leggendaria Hollywood Walk of Fame e l’entrata nell’esclusiva Rock & Roll Hall Fame coronano gli oltre 100 milioni di dischi venduti.

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Un passo avanti

Fondati da Nick Rhodes (tastiere) e John Taylor nel 1978, cui si aggiungono Andy Taylor alla chitarra – senza i suoi riff sul filo del metal, pezzi come Careless Memories non brillerebbero di grinta pura – che abbandona la premiata ditta nel 2006, Roger Taylor alla batteria (nessuna parentela tra i tre Taylor) e Simon Le Bon, agli esordi sono i paladini del movimento New Romantic. Il secondo album Rio è un capolavoro pop (la cover è quarantesima nella classifica delle più belle di tutti i tempi secondo Rolling Stone), seguono il funk di Notorious e tanti esperimenti, dance, elettronica, post disco, in compagnia di artisti emergenti (di recente la Måneskin Vctoria De Angelis).

In Future Past (2021) dominano sonorità e strumenti processati dalle tecnologie più all’avanguardia e la clip di Invisible è frutto dell’intelligenza artificiale Huxley, che elabora le immagini sulla base del testo e della sua intensità emotiva: una novità assoluta. Proprio come accadeva negli Eighties per i video quasi minifilm (Girls on Film, Hungry Like the Wolf) e i maxischermi alle loro mitiche tournée. Che sound avrebbero i Franz Ferdinand, The Killers, i Phoenix e quanti altri se non ci fossero stati i DD? Completamente diverso: l’ispirazione è evidentissima.


Icone di stile

Jabot, stivali, eyeliner: nel video d’esordio, Planet Earth, li vediamo così, e dettano subito moda. Giovani idoli cresciuti a pane, David Bowie e Sex Pistols, precorrono i tempi anche nel look: sanno benissimo che l’immagine è fondamentale quanto la musica e si lanciano in outfit originali, spesso firmati. Da Antony Price, Vivienne Westwood, Giorgio Armani (nel video di A View to a Kill, pezzo strepitoso della colonna sonora dell’omonimo film di James Bond), per citare qualche stilista. Del resto le rockstar meritano il meglio anche nell’armadio (e conquistano le top model: Le Bon sposa la deliziosa Yasmin Parvaneh, una tragedia per le Duranies). Sono idoli planetari al punto che tanti fotografi e registi fanno a gara per dirigerli, tra cui Ellen von Unwerth e Jonas Åkerlund. Il maestro David Lynch è il deus ex machina del concerto Unstaged; An Original Series from American Express; la fama li precede e la pop art in persona Andy Warhol si presenta nella sede di Mtv per salutarli.

I loro ciuffi ossigenati, le bandane e i mullet vengono subito copiati dai teenager; anche sui palchi degli infiniti tour mondiali i cinque di Birmingham sono impeccabili. Nei minimi dettagli. In occasione della Milano Fashion Week del 2011 ricevono il premio Icone di stile del ventesimo secolo e le chiavi della città. Nulla da ridire sul loro guardaroba nemmeno oggi: tutti e quattro superano la sessantina, ma vestono giacche su misura, magari abbinate a pantaloni spalmati e T-shirt glam. Oppure sfoggiano un tight sartoriale, come quello indossato da Le Bon durante la recente cerimonia al castello di Windsor. Dove il principe William lo nomina membro dell’Ordine dell’Impero britannico. Tra i privilegi annessi all’onorificenza, l’abbazia di Westminster a disposizione per le (eventuali) nozze delle tre figlie.