Freddie Mercury raccontato da Peter Hince: «Era due persone: l’eroe e il timido»
Dettaglio di una foto a Freddie Mercury (Foto © Peter Hince)

Freddie Mercury raccontato da Peter Hince: «Era due persone: l’eroe e il timido»

di Simona Santoni

Suo assistente personale, Peter Hince ci svela Freddie, carismatico sul palco, timido nel privato. Appassionato di ping pong e Scarabeo. Intervista a chi ha vissuto da vicino la band britannica e l’ha catturata nella mostra fotografica “Queen Unseeen”, ora a Milano

Freddie Mercury maestoso, scalzo con addosso corona e mantello reale. Oppure nel backstage del Magic Tour del 1986, fotografato con il cane del produttore. O eccoli, tutti i Queen insieme, Freddie, Roger Taylor, Brian May e John Deacon, travestiti da donne durante le riprese del videoclip di I want to break free. Dopo aver toccato Torino, Rimini e Roma, la mostra fotografica Queen Unseeen | Peter Hince arriva a Milano, l’unica città italiana che ha visto un concerto della band londinese, nel 1984 al Palasport di San Siro accanto allo stadio, nello stesso anno in cui i Queen furono ospiti del Festival di Sanremo.

La mostra fotografica su Freddie Mercury e i Queen

In programma a Milano presso la Fondazione Luciana Matalon (in Foro Buonaparte 67) dall’8 febbraio al 21 aprile 2024, Queen Unseeen | Peter Hince è un viaggio esperienziale nel mondo dell’iconico gruppo, sul filo di immagini inedite fermate nel tempo da chi i Queen li ha vissuti davvero da vicino, Peter Hince. Peter Hince era un roadie, uno di quei tecnici che viaggiano insieme alle band durante le tournée. E quante storie ha visto e fotografato negli anni Settanta e Ottanta del rock britannico.

Nato a Hereford, Inghilterra, nel 1955, Hince ha iniziato la sua avventura nel mondo della musica nel 1973 al seguito di… David Bowie! È in quello stesso anno che, lavorando per i Mott The Hoople, ha incontrato una band semisconosciuta, i Queen.

Continuando a lavorare con altri artisti, da Mick Ronson a Lou Reed, dai Supertramp a George Benson, entrò a far parte dei Queen a tempo pieno nel 1975, diventando pian piano capo della loro road crew. E intanto coltivava la passione per la fotografia e catturava Freddie Mercury & co. durante le registrazioni o nelle prove dei tour o nel dietro le quinte.
Pur non essendo mai stato nominato fotografo ufficiale dei Queen, dalla sua posizione privilegiata e di fiducia ha trattenuto momenti intimi o speciali dei quattro ragazzi destinati a segnare la storia del rock. Dopo l’ultimo tour dei Queen nel 1986, Hince ha avuto una fiorente carriera come fotografo pubblicitario.

La mostra Queen Unseeen | Peter Hince è composta da oltre 100 fotografie del road manager e assistente personale di Freddie Mercury e da oltre un centinaio di cimeli, memorabilia, oggetti e documenti vari originali provenienti in parte dalla raccolta personale di Niccolò Chimenti, uno dei maggiori collezionisti europei dell’universo Queen: l’asta del microfono usata da Freddie Mercury nel suo ultimo concerto, una chitarra autografata di Brian May, i costumi usati per il videoclip di Radio Gaga, le bacchette della batteria di Roger Taylor…

L’intervista all’ex roadie dei Queen Peter Hince

Ancora grondante di ricordi legati al mondo dei Queen, e soprattutto ancora profondamente legato a Freddie Mercury, noi Peter Hince l’abbiamo intervistato. Ed è davvero emozionante sentire dalle sue parole l’affetto e la stima vivamente pulsanti per Freddie.
Ecco la nostra intervista a Peter Hince, che è briosamente saltata dall’inglese all’italiano e viceversa, senza interruzione di sosta.

Come mai parla italiano?

«Ero sposato con una ragazza italiana, tanti anni fa».

Com’è nato il suo rapporto con i Queen?

«È una storia lunga, cominciata nel 1973, quando i Queen erano un piccolo gruppo di supporto ai Mott The Hoople, per cui lavoravo: fu così il nostro primo incontro. E poi nel 1975 ho iniziato a lavorare per i Queen a tempo pieno, fino al 1986. Undici anni insieme. Un viaggio speciale, ricco di emozioni. Tempi magici».

La mostra fotografica Quen Unseen – Peter Hince dedica particolare attenzione al cantante della band, all’indimenticabile Freddie Mercury. Com’è stato il vostro rapporto?

«Sul palco ho lavorato in particolare per Freddie e per John, accordavo e preparavo gli strumenti, il pianoforte, il tamburello, la chitarra, il microfono di Freddie… Con Freddie ho avuto un rapporto molto stretto perché sul palco era molto attivo, passava dal pianoforte al microfono alla chitarra, quindi dovevo essere pronto in continuazione a questi cambiamenti e passargli le cose quando le desiderava. In un momento particolare aveva bisogno di un drink, di qualcosa per la gola, e io dovevo immaginare cosa volesse. È stato così per molti anni, tanto che è diventato un grande rapporto di fiducia e rispetto. Eravamo molto vicini, anche se a volte avere a che fare con lui era difficile, ma solo perché voleva il meglio. Voleva qualità al 100% in tutto, in studio, durante le registrazioni, sul palco, nel privato».

Peter Hince
Peter Hince oggi

E com’era Freddie nel privato? Diverso da quello che abbiamo conosciuto sul palco?

«Sì, era due persone. Freddie Mercury sul palco era grande, forte, macho, con il potere di conquistare il pubblico. L’eroe. E poi una volta fuori dal palco era timido e preferiva starsene tranquillo a casa con i gatti e guardare la televisione. Freddie Mercury era il personaggio che lui stesso ha creato, ma a volte veniva in studio e diceva: “Oggi non voglio essere Freddie Mercury“. Perché da lui tutti si aspettavano che fosse quello che pensavano fosse. Ma lui era come tutti noi. Era semplicemente un altro essere umano che, sì, ovviamente aveva un meraviglioso successo e  una voce e un talento fantastici. A volte però penso che la pressione fosse troppa, troppa».

Negli undici anni vissuti accanto ai Queen ha potuto notare come il successo li ha cambiati?

«Quando un gruppo inizia a suonare vuole avere successo: vendere dischi, grandi concerti, tanti soldi, grandi case, Ferrari, Rolls Royce… Ma quando il successo arriva è diverso. E da allora che iniziano i problemi perché le case discografiche, il pubblico, tutti vogliono di più e si aspettano di più. Hai fatto un grande disco ed è fantastico? Subito hai la pressione di dover fare un altro grande disco. Quindi il successo ha cambiato i Queen. Li ha cambiati perché è aumentata la pressione. Ed è allora che magari vai alle feste, bevi di più, fumi sigarette, forse anche qualcos’altro… Penso sia la stessa cosa che accade alle star del cinema: vuoi essere famoso ma quando sei famoso a volte desideri non esserlo. È una cosa molto strana, dai bianchi e dai neri».

Ci può raccontare qualche aneddoto su Freddie Mercury?

«Ce ne sono tantissimi. Per esempio, dopo un concerto in America, in una città non grande, davanti a 8-10.000 fan, lui era molto arrabbiato. “Ehi Freddie, cos’hai?”. Lui risponde: “Hai visto la gente tra il pubblico?”. “Mmh… Sì”. “No no, li hai visti quelli davanti?”. “Mmh, non proprio, non stavo guardando”. “Beh, io li vedevo ed erano brutti. Grossi, brutti, grassi americani. Non li voglio agli spettacoli dei Queen”. Era così perché era arrabbiato forse con il suo fidanzato, o qualcosa del genere, quindi doveva arrabbiarsi per qualcos’altro. Il tour manager gli risponde: “Ok, quindi prima di vendere i biglietti faremo un casting: se sei bello puoi venire allo show”. Ovviamente non era serio, ma succedevano continuamente cose del genere: per qualche istante c’era qualcosa di assurdo che poi veniva dimenticato».

E qualche altro dettaglio su Freddie Mercury?

«Era un fantastico giocatore di ping pong. Quando eravamo in studio gli piaceva giocare e batteva tutti. Usava la mano sinistra, anche se era destro, e vinceva comunque. Ha sempre vinto, sempre. Era davvero bravo. Voleva vincere. Qualunque cosa facesse voleva vincere. Gli piacevano anche i giochi di parole come Scarabeo e giochi sui giornali da riempire con parole. Amava svaghi in cui potesse usare la mente o le sue abilità. Ad esempio in studio avevamo un flipper ma non trovava il suo interesse, perché secondo lui giocarci non implicava abilità o talento. Ma con il ping pong o qualcosa che richiedesse acume era davvero unico. Assolutamente unico».

Peter Hince
Peter Hince da giovane roadie

Lei era sul palco durante il concerto del secolo, il Live Aid del 1985?

«Sì, certamente».

Che ricordi ha?

«La prima cosa che mi torna in mente è la pressione enorme perché i Queen erano una delle tante band ad esibirsi e avevamo poco tempo per prepararci. Avevamo provato: i Queen erano sempre molto professionali. Ma comunque avevamo dovuto preparare tutto molto velocemente, senza sound check, senza illuminazione: quando la band è arrivata sul palco e tutto funzionava è stato un gran sollievo. Poi quando hanno iniziato a esibirsi, con l’energia che si stava accumulando, il pubblico che rispondeva ed era elettrico, era come se ogni corpo fosse elettrico…  

Era il mio lavoro far sì che tutto andasse bene, e farlo bene, ma quell’atmosfera dimostrava che quei quattro ragazzi erano grandi musicisti e non avevano bisogno di fumo, tante luci ed effetti. Potevano andare là fuori e suonare e Freddie poteva catturare il pubblico e vincere. Allo stadio erano lui e i Queen contro un’altra squadra di circa 80.000 persone e Freddie vinse. È così che mi sono sentito. È stato davvero speciale. Quel concerto ha dato loro la sensazione di poter andare avanti con la band perché, prima del Live Aid, c’erano dei problemi. Penso che forse la band si sarebbe sciolta o si sarebbe presa una pausa, ma il Live Aid ha dimostrato loro quanto fossero bravi e quanto fossero bravi quando erano insieme. Fu allora che quei quattro ragazzi, insieme, diedero il meglio di sé. Non avrebbero mai potuto farlo meglio».

Oggi ha ancora rapporti con Brian May, Roger Taylor e John Deacon?

«Non proprio. John non parla con nessuno. Non parla con Brian e Roger da 25-30 anni. Ho provato una o due volte a contattarlo ma vive privatamente con la sua famiglia e va bene così, lo rispetto. Ho visto Brian e Roger alcune volte nel corso degli anni, ma adesso abbiamo tutti vite diverse, facciamo altre cose. Qualche volta ho visto l’ex fidanzata di Freddie, Mary, che ha ereditato tutte le sue proprietà, la sua casa, tutto. Siamo sempre stati buoni amici ma le cose vanno avanti e si perde un po’ di contatto, anche se sempre con buoni sentimenti».

Oggi qual è il ricordo più prezioso che conserva di quegli anni con i Queen?

«È difficile dirlo, ci sono stati tanti momenti speciali. Il Live Aid, certo. O uno dei concerti in Sud America, durante quella che fu la prima tournée di una rock band negli stadi dell’America Latina (per il The Game Tour, ndr): sull’aeroplano ho avuto un momento con Freddie, io e lui in viaggio insieme, parlammo della famiglia, della musica, in privato».