Il buongiorno (e anche la buona notte) si vede dalla luce

Il buongiorno (e anche la buona notte) si vede dalla luce

di Digital Team

Novità e riedizioni di luci da tavolo (e da comodino) ora che si va verso l’inverno e vien buio prima. Per leggere, studiare, cenare come fosse a lume di candela

Abat-jour cioè abbatti luce, insomma la luce da tavolo e/o da dove serve Nel tempo non è cambiata poi molto: poco ingombrante, fonte luminosa decisa, ma non accecante, e comunque diffusa e ammorbidita da un paralume che una volta era sostanzialmente di tessuto, oggi un po’ meno. Così come sono cambiati alcuni dati tecnici, a cominciare dall’introduzione pressoché totale dei LED al posto delle obsolete e poco performanti incandescenze, nonché della tecnologia wireless, vale a dire che spesso non ci sono più fili attaccati perennemente a qualche presa di corrente, ma la nostra abat-jour torna a essere come la candela (o bugia) di un tempo: trasportabile ove serve. A proposito: perché bugia? Niente a che fare con Pinocchio, semplicemente è la storpiatura di Bidgiaya, la città africana da dove proveniva molta della cera usata per fare le candele. Proprio ai portacandela dei bisnonni si ispira, riprendendone le forme la Bugia di Stilnovo, azienda che, con una magnifica storia alle spalle, ripesca questo progetto, tuttora attualissimo, datato 1977. Da tavolo, ma c’è anche in versione da parete (pure con doppia luce), la Bugia è tutta lì: tondino di metallo disponibile in 5 finiture brillanti, diffusore di vetro  satinato, luce LED. Tocco d’antan, il cavo nero, in tinta con il portalampada.


Bilboquet, design Philippe Malouin, Flos, foto courtesy Pablo Di Prima

«Task light su un piano di lavoro, o per fornire luce soffusa su di una parete, o luce diretta per la lettura di un buon libro», così il designer canadese Philippe Malouin descrive Bilboquet, suo esordio nel prestigioso catalogo Flos. Come per la bugia, da dove arriva Bilboquet? Beh, era un gioco, nato in Francia nel Cinquecento, basato sull’abilità di ricevere una palla di legno infilzandola o incastrandola su un apposito bastoncino ricevitore. La luce  è composta da due cilindri colorati connessi uniti da una sfera magnetica che fa da giunto e consente al cilindro superiore di ruotare, indirizzando il flusso luminoso. L’aspetto ludico di partenza si  ritrova anche nella scelta della palette in tre colori, sage, tomato e linen, che caratterizzano il corpo della lampada, come pure il cavo (nascondibile sotto la base) e la spina. Il corpo esterno di Bilboquet è in uno speciale policarbonato derivato da un sottoprodotto della produzione della carta. Le sfere d’acciaio di Bilboquet sono  quelle usate nelle turbine eoliche, ma scartate per difetti di centesimi di millimetro. Insomma, anche qui non si butta nulla. E per non sbagliare, Bilboquet non ha parti incollate.


Chapeaux, design Rodolfo Dordoni, Foscarini

Prematuramente scomparso quest’estate Rodolfo Dordoni con la sua raffinata maniera molto  milanese understated ha firmato negli anni alcuni dei più fortunati progetti della veneta Foscarini. Quest’ultimo, Chapeaux, è una famiglia di lampade da tavolo che si distinguono per il cappello-diffusore proposto in tre versioni, diverse per forme e materiali. Tratti distintivi sono la massima sintesi e semplificazione. La lampada è formata da tre elementi semplicemente appoggiati l’uno sull’altro. Un sostegno in pyrex che diventa quasi invisibile, un cuore galleggiante di luce che racchiude e nasconde tutte le componenti tecniche e tre diversi cappelli in appoggio libero in tre diversi materiali: metallo, vetro e porcellana bone china. La luce indiretta, morbida, accarezza il corpo in pyrex trasparente. La si ottiene grazie a una fonte a forma di ampolla che spinge la luce in modo radiale, facendola rimbalzare ai lati, all’interno dei diffusori, per illuminare il piano del tavolo in una versione intensa e funzionale, mai abbagliante.  La proposta per gli interni più contemporanei è Chapeaux M, con cappello riflettore in metallo: ideale per illuminare una scrivania. Con il cappello in vetro soffiato Chapeaux V rappresenta una moderna interpretazione della tradizione. Forme morbide e spessori sottili, infine per il diffusore di Chapeaux P in porcellana bone china, materiale prezioso che si illumina delicatamente e, filtrando la luce, la riflette anche sul piano d’appoggio.


Lafleur Velvet., design Marc Sadler, Slamp

Tra i designer che più si sono spinti con successo nell’esplorazione e impiego dei materiali performanti, il francese Marc Sadler è quello più all’avanguardia. (Foscarini, di cui sopra, deve a lui la firma della gettonatissima Twiggy). Bene, venendo ora alle luci senza fili, cioè con batteria ricaricabile, Sadler è andato in certo modo a nozze con Slamp e la sua trentennale esperienza nella modellazione a mano dei tecnopolimeri infrangibili e infrangibili che permettono di realizzare forme, decori ed effetti impossibili con altri materiali. Lafleur Velvet nasce scaldando il Lentiflex®  a temperatura controllata e modellandolo, solo a mano, fino a creare la corolla di un fiore, perfetta nella sua unicità. La base magnetica, in finitura mat, di colore nero, viene abbinata a un disco in metallo, da nascondere eventualmente sotto la tovaglia per una mise-en-place floreale, o avvitare al muro, per trasformare la lampada da tavolo in una applique. Luce naturalmente a LED e dimmerabile. La durata della batteria è di 6,5 ore al massimo della potenza e intorno alle 60 ore al minimo d’intensità. Per la ricarica servono 5 ore.


Portable Lamp, design George Sowden foto courtesy Alice Fiorilli

Sulla sperimentazione anche George Sowden, inglese di nascita ma milanesissimo da decenni, ha molte cose interessanti da dire, e non solo perché è stato accanto a Sottsass tra i fondatori del mitico gruppo Memphis. Quell’avventura d’avanguardia è ormai lontana negli anni, ben fissata nella storia, e Sowden non ha mai smesso di guardare “oltre” , creare e autoprodurre nuovi progetti. L’esempio più recente sono le collezioni di luci che vanno sotto il nome di Shades, nate un paio d’anni fa lavorando peraltro su un altro progetto. È stato allora che la ”scoperta” del silicone morbido (quello delle forme per fare i muffins e i budini) e delle sue caratteristiche – permeabilità alla luce, atossicità, facilità di pulizia, resistenza agli urti, inalterabilità dell’estetica nel tempo – hanno convinto Sowden a utilizzare il materiale per creare luci. Essenziali, giocose nelle forme e nella vivace palette, le Sowden Light, oltre al cappello in silicone che quando è impolverato si sfila semplicemente e si lava sotto l’acqua, hanno il corpo in alluminio, sono a LED, ricaricabili con il solito cavetto USB, sempre con dimmer. Le batterie, alla lunga, andranno cambiate, ma non se tenete la luce con il cavetto attaccato alla presa. Esistono  varie versioni: quelle portatili sono due (PL1 e PL2), la seconda è pensata soprattutto per ristoranti e bar dove la ricarica è spesso impossibile. Ci sono poi, più grandi, le lampade da tavolo; il principio è lo stesso: sul corpo vengono giustapposti i vari pezzi del cappello; a chiusura finale in modo che tutto rimanga a posto una vite che si mette e toglie a mano.