Ginori, l’arte della porcellana all’italiana
Credits: Ginori

Ginori, l’arte della porcellana all’italiana

di Fédéric Martin-Bernard

Rilevata dal gruppo Kering nel 2013, la (quasi) tricentenaria manifattura Ginori sviluppa un’estetica e dei colori unici. Il Ceo Alain Prost presenta questa maison fiorentina all’insegna dello stile

Ginori ha inaugurato la prima boutique a Parigi. Quali sono le particolarità di questa maison italiana?

Mi limiterò a parlare dei suoi punti di forza, perché non è possibile riassumere una storia di quasi tre secoli in una sola intervista. Ginori è una storia di porcellana artistica. Insisto sulla parola “artistica” perché l’arte è sempre stata al centro di questa società, con un dna tutto italiano, estremamente creativa, con un know-how esclusivo e dei colori magnifici che sono un elemento distintivo nel settore della porcellana tradizionale, ancora oggi dominato dalla porcellana bianca. Fino al 2020 la metà della nostra produzione era bianca. Ora questo colore non supera il 10% del volume.

L’altra particolarità di Ginori, da qualche anno, è quella di non limitarsi più all’arte della tavola. Il nostro universo è ormai il decoro della casa. In passato, la nostra attività era strettamente legata alle liste nozze, con servizi venduti in grandi quantità e, parallelamente, ai grandi ristoratori e albergatori, per i quali realizzavamo delle collezioni personalizzate. Oggi, se pensiamo per esempio alla linea Oriente Italiano, più della metà del fatturato è ottenuta con pezzi unici di decoro per la casa. Poco a poco, abbiamo investito in mercati periferici al nostro settore iniziale e questa diversificazione ci ha consentito di acquisire una clientela più giovane.

Ha parlato di un cambiamento intorno al 2020. La pandemia ha forse dato ai consumatori la voglia di cambiare i piatti, così come li aveva spinti a ripensare la decorazione dei loro interni, dove erano rimasti confinati per troppo tempo?

Intorno al 2015, Alessandro Michele aveva realizzato delle collezioni per Ginori in dieci colori, una per ciascun ospite, che però non erano state particolarmente valorizzate. L’azienda vendeva soprattutto il bianco e il nero. Io invece, quando le ho viste nella loro globalità, ne sono rimasto folgorato. Abbiamo quindi cominciato a fare degli shooting mescolando i colori e i servizi, con uno spirito mix & match tipico della moda. Queste immagini hanno ottenuto molte visualizzazioni sul nostro sito durante il Covid. E una volta terminato il lockdown, il mercato italiano ha cominciato a rispondere, seguito dagli Stati Uniti, che si sono letteralmente innamorati di questi modelli.

Ginori è stata fondata alla periferia di Firenze nel 1735. Esisteva già una tradizione della porcellana in Toscana?

La maison Ginori è stata fondata nella stessa epoca di tutte le altre manifatture reali europee, quando la porcellana era considerata come l’oro bianco. Il Marchese Ginori ha iniziato a fabbricare delle statue per i palazzi fiorentini. Poi ha avviato una produzione industriale sempre più importante destinata alle grandi famiglie della Toscana e di tutta l’Italia.

Ginori, porcellana
Credits: Ginori

Immagino che i componenti della porcellana Ginori siano particolari…

Esatto. Abbiamo una ricetta precisa, con miscele e componenti diversi, più o meno liquidi. Anche i tempi di cottura sono precisi, specifici, differenti da una maison all’altra.

Come trasmettete oggi il know-how da una generazione all’altra?

Qui a Firenze abbiamo la fortuna di avere diverse scuole di belle arti, da cui proviene la maggior parte dei nostri artisti pittori. Ci sono anche istituti che formano i giovani alle professioni artigianali, anche se l’apprendimento del mestiere della porcellana avviene essenzialmente con la pratica sul campo, giorno dopo giorno. Tra il 2021 e il 2022 abbiamo aumentato del 30% il personale della manifattura per far fronte allo sviluppo dell’attività, assumendo essenzialmente giovani tra i 18 e i 25 anni. Sono stati affiancati dal personale anziano, che possiede una competenza formidabile. La manifattura della porcellana comporta il ricorso a sette/otto mestieri diversi. Ai nuovi assunti offriamo la possibilità di una formazione in tutti questi mestieri, perché ho l’impressione che oggi nessuno abbia più voglia di fare lo stesso lavoro per tutta la vita.

Nel 2013 Ginori è stata rilevata dal gruppo francese Kering. Quali cambiamenti ha comportato l’acquisizione per questa veneranda impresa?

Il gruppo francese ha investito in misura significativa nello sviluppo del brand e nella modernizzazione della manifattura. La maison ha cambiato nome, o perlomeno ha abbandonato il nome “Richard” diventando “Ginori 1735 Italy”. Le collezioni sono state rivisitate, arricchite e, parallelamente, la manifattura è stata rinnovata. Quando sono arrivato, era ancora di un’altra epoca. C’erano dei vecchi forni che lavoravano ininterrottamente, 24 ore al giorno, 365 giorni all’anno, dal 1954. I nuovi sono molto più compatti, sani, modulabili… Consumiamo il 40% di energia in meno, senza aver modificato la qualità dei nostri prodotti. Abbiamo anche ridotto la gravosità dei diversi mestieri. I nostri artigiani non lavorano più la notte. Non hanno più così tanti pezzi pesanti da portare. E nelle sale di cottura non ci sono più 65 gradi d’estate.

Ha menzionato la definizione di un progetto di brand. Qual era?

Consisteva prima di tutto nell’uscire dai vincoli dell’arte della tavola, un settore che è in caduta libera da quando sono scomparse le liste nozze. E non solo in Italia. Abbiamo immaginato diverse collezioni, tra cui Arte, sotto la guida di Frédéric Chambre e della Galerie du Passage di Pierre Passebon a Parigi. Si chiamava Reborn Project e l’idea era quella di dare una seconda vita a vecchi pezzi dimenticati nei nostri magazzini e reinventare l’uso della porcellana con la collaborazione di artisti come Paloma Picasso, Mattia Bonetti o il designer Jacques Grange.

Le loro creazioni erano veramente fuori dall’ordinario. Abbiamo rivisitato delle lampade, degli armadi. I team erano un po’ spaventati all’inizio, ma poi è risultato un formidabile lavoro di squadra. Tutte le creazioni sono state esposte a un primo evento importante, Art Basel Miami Beach. Alla fine del mese scorso le abbiamo presentate anche a Nomad Saint Moritz, dove abbiamo lanciato anche una riedizione della linea Colonna, creata nel 1954 da Giovanni Gariboldi. In sintesi, con il nostro progetto di brand attingiamo al nostro patrimonio storico, arricchiamo le nostre collezioni e reinventiamo l’arte della porcellana che non esisteva quasi più su scala mondiale.

Ginori, porcellana
Credits: Ginori

Ginori ha sempre amato collaborare con i talenti, più o meno illustri. Da dove deriva questa tradizione?

Gio Ponti aveva cominciato a collaborare con Ginori prima della guerra, quando era ancora molto giovane. Poi ha preso il volo, ma è comunque rimasto sempre legato alla maison. Giovanni Gariboldi, invece, aveva iniziato a disegnare per l’azienda subito dopo la Seconda guerra mondiale, nel 1946, e la collaborazione è durata fino al 1970. I nostri archivi conservano una pletora di pezzi di altri designer e architetti della metà del XX secolo che varrà certamente la pena di riattualizzare. Questa tradizione delle collaborazioni si è poi un po’ persa verso la fine del XX secolo.

Successivamente, nel 2013, in seguito all’acquisizione da parte di Kering, Alessandro Michele è stato nominato direttore artistico di Ginori finché non ha preso ufficialmente le redini di Gucci. Oggi collaboriamo anche con l’inglese Luke Edward Hall, che ha dato un grande contributo. Nel 2019, la collezione che aveva disegnato per noi non aveva fatto breccia nel mercato tradizionale. Poi è arrivato il Covid e, di colpo, le sue creazioni “playful” hanno cominciato a essere apprezzate da un pubblico molto più giovane della nostra clientela abituale.

Ha menzionato il rilancio della linea Colonna all’inizio dell’anno. Quali sono gli altri progetti per il 2024?

Vogliamo continuare a ringiovanire il brand, reinventare l’arte della tavola e ampliare l’universo lifestyle del marchio con un diverso spirito, più moderno. Parallelamente dobbiamo farci conoscere di più oltre confine, sviluppare i punti vendita all’estero, che non devono essere necessariamente dei negozi. Investiamo molto anche nella presenza negli alberghi e hotel di lusso, per presentare tutte le nostre gamme e prodotti alla loro clientela internazionale, in modo indiretto e non invasivo, dal ristorante alle camere, passando per la spa.