L’arte incendiaria! Parola di Maurizio Cattelan
Courtesy l’artista, Marian Goodman Gallery e Pirelli HangarBicocca, Milano

L’arte incendiaria! Parola di Maurizio Cattelan

di Elena Bordignon

Maurizio Cattelan, dopo aver fatto il giro del mondo toccando musei e spazi espositivi prestigiosi, torna a Milano con una grande mostra ospitata al Pirelli HangarBicocca

Ha da poco aperto i battenti la mostra “Breath Ghosts Blind” – a cura di Roberta Tenconi e Vicente Todolí – dell’artista padovano, classe 1960, ospitata fino al 20 febbraio 2022 al Pirelli HangarBicocca di Milano. Pensato come progetto site- specific, la mostra ospita tre opere che raccontano, in modo elusivo, concetti universali come la fugacità della vita, la memoria e il senso di perdita individuale e collettivo. Per questa speciale occasione abbiamo posto alcune domande a Maurizio Cattelan.

Hai fatto mostre letteralmente in tutto il mondo, in musei tra i più importanti. C’è un luogo, un curatore, una città che ha lasciato il segno sul tuo immaginario?

Non mi sono mai legato a un luogo, ho sempre preferito legarmi alle persone. Tra queste, i curatori che sicuramente hanno lasciato il segno sono stati quelli che hanno preso dei rischi, che non hanno avuto paura di saltare nel vuoto con me. Francesco Bonami è quello con cui ho lavorato più a lungo, il rapporto con lui è come una lunga conversazione che dura tutta una vita. Massimiliano Gioni è stato il compagno delle avventure più spericolate, la persona giusta da avere accanto quando sei in trincea, complice anche Ali Subotnick. Nancy Spector è stata la prima curatrice ad affidarmi le chiavi di un museo, e per questo le sarò sempre grato. E poi c’è stata Chiara Parisi, una curatrice pasionaria. Con Cecilia Alemani ho fatto i progetti più collaborativi, come No Soul for Sale alla Tate. E parlando della Tate, Vicente Todolì mi ha portato a confrontarmi con spazi immensi, dandomi modo di confrontarmi coi miei limiti. E poi ci sono molte altre persone a cui devo moltissimo anche se ora non le sto nominando.

A questo punto della tua carriera, dopo aver sviscerato molte delle più importanti tematiche legate all’esistenza –  vita, morte, nascita, razzismo, potere -, su quali altri temi concentri le tue riflessioni?

Art chases the unknown. I temi nell’arte non sono veramente importanti. Conta la capacità di colpire l’immaginario degli altri, perché ognuno possa trovare il proprio significato nell’arte che ha davanti. Dove uno vedrà la morte, l’altro vedrà la vita, per il semplice fatto che ogni persona ha un bagaglio di esperienze diverse con cui legge la realtà. Il bello dell’arte è proprio questo: non conta quello su cui ho riflettuto per arrivare a una forma finale, conta solo se quella forma è così indipendente dal pensiero che l’ha creata da essere piena di significati per gli altri.

Da sempre – penso al lavoro presentato al Castello di Rivara nel 1992 dove hai appeso un lenzuolo annodato fuori dal castello che ospitava la mostra, a significare che il sistema dell’arte è una prigione da cui fuggire – metti in discussione il sistema di valori che vige nell’arte, ma soprattutto nella vita. Ogni tua opera deve ‘sempre’ destabilizzare. Non vorresti sbarazzarti di questo ruolo di artista provocatore? Mi dai un tuo punto di vista?

In realtà non era nata come una provocazione nemmeno quella. La mostra era curata da Gregorio Magnani, non so come avesse visto il mio lavoro. Aveva invitato dei nomi interessanti, ancora non so cosa ci facessi in mostra. So però perché ero presente di persona: qualcuno mi aveva detto che se fossi andato a Rivara avrei potuto mangiare gratis per una settimana, un’occasione da non perdere! Stetti chiuso in una stanza del castello per tutto il tempo, uscendo solo quando sentivo che la cena era pronta. Ero andato con un amico, e quando fu il momento di presentare il lavoro, invece di lasciare un biglietto per spiegare perché me n’ero andato, ho legato qualche lenzuolo e l’ho appeso fuori dalla finestra. Poi me ne sono andato, scendendo le scale. Non so se sia una buona arringa per difendermi dall’accusa di provocazione, ma è la verità.

Le tue opere nascono da un’immagine, e sono l’esito di una sintesi visiva elaborata e misteriosa. L’immagine guida della mostra – un uomo mezzo disteso nel fondo di una piscina – ha un significato particolare? A cosa allude?

Documenta il momento di gestazione della mostra, come prima di un parto in acqua. È il momento dove tutto può accadere, un momento di sospensione prima del traguardo. Questo è quello che dice a me, ma sono sicuro che se ti faccio la stessa domanda tu mi darai una risposta completamente diversa.

Cani, cavalli, elefanti, scoiattoli: nel tuo lavoro gli animali compaio molto spesso. Anche nella mostra ‘Breath Ghosts Blind” è presente la scultura in marmo bianco di Carrara, di un cane e di un uomo, stesi, uno di fronte all’altro, e la grande installazione Ghosts, composta da migliaia di piccioni tassidermizzati. Perchè utilizzi spesso gli animali? In particolare, che relazione c’è, nella scultura Breath, tra l’uomo e il cane?

Gli animali sono degli specchi per l’essere umano, in loro comprendiamo noi stessi. Di quanti e quali significati e poteri abbiamo investito gli animali nella storia dell’umanità? Molti più di quelli che potresti attribuire a un singolo essere umano. Mi sono sempre chiesto cosa significasse dire che il cane è il migliore amico dell’uomo, ho cercato di capirlo con Breath.

La mostra è concepita come una drammaturgia in tre parti, suggerite anche da titolo: ‘Breath Ghosts Blind”. Nell’ultima tappa del percorso è presente “Blind”: una nuova installazione monumentale composta da un monolite nero di oltre 20 metri nella cui sommità fuoriescono le ali e la fusoliera di un aereo. Quest’opera ha evidenti legami con il tragico avvenimento dell’11 settembre. Mi racconti cosa ti ha ispirato nel concepire questa grande opera? Quali riflessioni vuoi suscitare?

Ho sempre pensato e affermato che sia dovere dell’arte provocare reazioni, e ci credo ancora. L’arte dovrebbe essere incendiaria, non dovrebbe mai soddisfare le aspettative. Altrimenti è un esercizio di stile e una perdita di tempo, sia per l’artista che per il pubblico. Credo che l’arte dovrebbe cambiarti la vita, non dovresti rimanere lo stesso al suo cospetto. L’auspicio è che Blind abbia questo potere.

Courtesy Archivio Maurizio Cattelan
Maurizio Cattelan Kaputt, 2013 – Veduta dell’installazione, Fondation Beyeler, Basilea, 2013 – Foto Zeno Zotti