Lo sfondo è quello di una Firenze silenziosa – ma potrebbe essere qualsiasi città italiana – che attende il ritorno di turisti e visitatori. Un giugno di dubbi e di sincere fragilità il suo. Ma anche il nostro. Allora eccoli, come ogni mese, i libri in cui ritrovarsi ora.

Come si risponde all’incertezza? Quanto vale dichiararsi vulnerabili? In una fase sociale da cui ne usciamo cauti e guardinghi, questo mese siamo andati alla ricerca di libri che raccontano, a vario modo, la fragilità.

I bambini che giocano a pallone in Piazza Santa Croce, a Firenze, una sera di prima estate. La luna che imperla i loro volti allegri, un paio di coppie sedute sulle panchine a mangiare il gelato. Un quieto brulicare di sorrisi e intenzioni. Pochissimi i taxi che sfrecciano lungo le vie strette del centro cittadino, solitamente popolato di turisti provenienti da ogni angolo del pianeta.

Firenze è fragile in questi giorni. Ed è meravigliosa mentre, sospesa, attende.

In Bugie e altri racconti morali (2019, Einaudi), J.M. Coetzee, scrittore e saggista sudafricano, vincitore del Premio Nobel nel 2003, con uno stile lineare e accessibile, descrive mirabilmente sette squarci di umana e implacabile debolezza. Da racconti come Mattatoio di vetro o La vecchia e i gatti si propaga un profondo, complesso, senso di gracilità dei personaggi e degli Uomini. Davanti allo scorrere imperturbabile del tempo, arriva la richiesta della vita di prendere una posizione, di scegliere un giusto e uno sbagliato, di esistere sinceramente. Bugie è un coro di voci che accettano la eco, che si abbandonano, con fiducia, al vuoto di risposte.

Brevemente risplendiamo sulla terra (2020, La nave di Teseo) è stato acclamato come uno dei più promettenti romanzi americani contemporanei. La storia narrata da Ocean Vuong, nato in Vietnam nel 1998 ma trasferitosi negli Stati Uniti a due anni, è quella di Little Dog, protagonista, insieme alla madre Rose e alla nonna Lan, di una ricostruzione, epistolare, non soltanto della storia di una famiglia – la fuga dal Vietnam, il sogno americano, la lingua straniera che è ostacolo e riparo, la violenza dell’integrazione, la marginalità latente – ma di vere e proprie identità. Quelle delineate dalla prosa talvolta poetica e morbida dell’autore, talaltra più netta e impetuosa, sono esistenze in formazione, piccole orbite che ruotano intorno alla politica e alla società americana, alla guerra come ricordo da cui non si può prescindere, al riscatto e al bisogno di tenerezza.

Un angelo alla mia tavola (1990, Neri Pozza) di Janet Frame, da cui fu tratto anche l’omonimo, magistrale, film della regista Jane Campion, è difficile da non menzionare se parliamo di fragilità: l’autobiografia – una delle più grandi del novecento secondo il Times Literary supplement – della scrittrice neozelandese, morta a Dunedin nel 2004, racconta di una vita spesa per la scrittura e la passione fiammante che essa portava con sé. L’infanzia di indigenza negli anni della Depressione, i lutti familiari, la permanenza in un ospedale psichiatrico e la presunta schizofrenia: un’esistenza sul filo delle opinioni altrui, delle cartelle cliniche, l’arte come espressione di fuga e apotropaico traguardo, il tentato suicidio, l’incessante trovare storie da partorire e crescere finché non diventavano adulte e indipendenti. La vita della scrittrice, due volte candidata al nobel per la letteratura, è un inno ed un lamento che si dispiega fra lirica e sorprese, in mezzo ad una scrittura guizzante.

Il silenzio dell’acciuga (2020, Nutrimenti) è l’ultimo romanzo di Lorena Spampinato, giovanissima autrice catanese. Tresa e Gero, fratelli gemelli, a causa di impegni del lavoro del padre, vengono lasciati a vivere con la zia, una figura emblematica e misteriosa con cui Tresa comincia a misurare ogni passo della propria crescita. Il corpo, quella sagoma mascolina che a scuola tutti dileggiano, diventa un punto di osservazione del mondo quasi privilegiato: diventare donna, capirne l’intimo sentire e la necessaria fragilità, dare un ritmo alle passioni scalpitanti, trovare la propria forma di ribellione dalle convinzioni e dai ruoli. Il romanzo della Spampinato, che ha esordito a 18 anni con La prima volta che ti ho rivisto (Fanucci) balla delicato sul dirupo fra giovinezza e maturità, lasciando intravedere tutte le vulnerabilità che questa danza muove.