Ci sono letture e letture. Alcune le associamo a momenti privati, altre a capitoli importanti della nostra storia. Ecco allora qualche libro con cui trascorrere gli eventi di oggi, in attesa di un (timido) ritorno alla normalità.

“Essere perduti oggi dura solo pochi attimi” cantavano i Baustelle in un bellissimo disco del 2003 che è “La moda del lento”. Ci pensavo ieri: nel grigiore esteso di questa cattività, giorni in cui il risultato del Tempo sembra dato dall’addizione Perdita + Peso.

Avremo smarrito qualcosa, dopo? E se sì, i libri possono medicare le fragilità che ci colpiscono? Di certo trasfigurano l’attesa in nomi e case altrui, ci vestono di panni che non sono i nostri, carezzano l’immaginazione e aggomitolano il tempo: questo so.

Pensando ai libri, e all’attesa, mi torna in mente Bàrbabo delle montagne (Oscar Mondadori), primo romanzo di Dino Buzzati, un’opera piena di significati in cui il roboante silenzio delle montagne intonaca la crescita emotiva del guardaboschi Bàrnabo che aspetta i briganti: il giovane che prima si nasconde all’assalto e poi torna, da uomo, ad affrontare le proprie paure in cerca di riscatto. L’attesa, cullata dallo stile intenzionalmente lento dell’autore, sta nel graduale scendere giù per le profondità di noi stessi, quel dedalo di sentieri impervi che necessitano di lunghe ore di cammino.

Ripensavo anche al Nabokov di Invito a una decapitazione (Adelphi) dove l’opacità di Cincinnatus C, in prigione con la condanna di “turpitudine”, si attanaglia nei pensieri e nella diacronia dei dialoghi; l’incombere della fine lo si sente progredire nel corpo del protagonista, nelle sue reazioni, descritte in maniera capillare, come indagini meticolose, dallo scrittore russo di “Lolita”. Un’attesa salmodiante che si spezza quando irrompono fra le pagine i personaggi parodici della vicenda, dal direttore del carcere alla moglie del condannato, Marthe.

Sono giorni inquieti, sì, nei quali ho potuto concludere La Parata di Dave Eggers (Feltrinelli), fresco di stampa. In dieci giorni, Numero Quattro e Numero Nove, due contractor stranieri, devono portare a termine l’asfaltatura di una strada lunga 230 km che riconnetterà il Nord al Sud di un paese del Terzo Mondo (mai nominato), dopo una violenta guerra civile. L’armistizio sarà commemorato con una parata celebrativa: si intravedono, nel lungo racconto del celebre scrittore statunitense, il traguardo e le aspettative. Si entra cautamente dentro le personalità differenti di N4 e N9, si rimane incerti dentro ad un’ambientazione distopica e rarefatta, siamo invasi di metafore e riferimenti al presente.

Si aspetta forse, progredendo lungo la strada insieme ai due protagonisti, un giudizio, una voce fuori campo che decreti la soluzione (o l’assoluzione), ma il narratore è sapiente e lascia a chi legge la possibilità di scelta sul ruolo da giocare.

Non è vero che non siamo stati felici (Bollati Boringhieri) è l’esordio letterario di Irene Salvatori, nonché il verso iniziale di una poesia preziosa di Franco Fortini. Sotto forma di lunga lettera alla madre scomparsa, la scrittrice nata a Forte Dei Marmi, dà la mano – a volte più una vigorosa spallata – al lettore per accompagnarlo dentro un lutto feroce e magnifico, che si srotola nella memoria e si riavvolge nel presente, in mezzo a città distanti, a personaggi come lo Scarafaggio, Nemo, il Principe Piccolo, uomini e animali, uomini ed espedienti, anime rincorse e tentativi. Morte e Maternità sono le simboliche femmine che reggono i fili di un’attesa scalpitante, quella che affolla i dolori più grandi: sullo sfondo, a colorare le parole, la Versilia degli anni ’80, Berlino e Cracovia.

Ei fu. Siccome immobile. Ho spostato le lancette del carissimo Manzoni a 24h prima del suo 5 di maggio, spero non me ne vogliate. Siamo sospesi nelle nostre case, trepidanti dentro a una gestazione emotiva e sociale, confidenti che tutto andrà bene. Che tutto, intanto, andrà. “So che tornerà fra 100.525 anni la moda del lento” affermava Bianconi nel riff del pezzo del 2003.

Io, spero un po’ meno.