Torino goes classic. Le mostre imperdibili di novembre 2023

Torino goes classic. Le mostre imperdibili di novembre 2023

di Paolo Lavezzari

Le cinque mostre da non mancare a Torino. Un tour non solo italiano tra grandi maestri della pittura classica, stili gentilmente rivoluzionari, fotografi d’avanguardia e designer che hanno sperimentato tutto

Maestri di casa e d’Oltremanica, tra primo Ottocento e Romanticismo storico; poi il Liberty d’inizio 900; un fotografo che ha fatto tutto prima di ogni altro e un architetto (torinese doc) che di cose ne ha altrettanto fatto moltissime. Insomma, da vedere di mostre a Torino ce ne sono in abbondanza. E, come accade a Milano, sono sul filo, lo vedete, di un bel tuffo (ma poi neanche così drammatico, suvvia) a ritroso nel tempo. Un po’ di ripasso non fa mai male, ché sicuramente di lacune ce ne portiamo tutti, e non poche…


William Turner, Claudian Harbour Scene, Study for ‘Dido Directing the Equipment of the Fleet’

Andiamo in ordine cronologico e cominciamo con Turner. Paesaggi della Mitologia, la mostra che al primo piano della Reggia di Venaria, fino al 28 gennaio 2024 raccoglie una quarantina di opere del grande romantico inglese, inventore di una pittura di paesaggio che anticipa nel suo sfaldarsi in atmosfere nebbiose, tempeste di mare e terrificanti quanto attraenti atmosfere in subbuglio sia l’impressionismo, sia l’astrattismo novecentesco. Non è la prima volta che Venaria presenta un autore storico  britannico, visto che questa esposizione è il secondo capitolo della collaborazione con la Tate UK, iniziato l’anno scorso con la mostra di John Constable, contemporaneo di Turner e suo esatto opposto per la visione pittoresca e rasserenante dei suoi paesaggi. La mostra torinese racconta non solo la predilezione di Turner per la pittura di paesaggio, ma anche la sua passione per temi legati alla mitologia classica greca e romana. Nelle dieci sale della Venaria, accanto ai grandi dipinti a olio su tela, realizzati per le esposizioni alla Royal Academy di Londra, ci sono anche gli acquerelli e gli schizzi in cui Turner da libero sfogo a tutta la sua visione romantica della Natura e del Mito.


Francesco Hayes, Un leone e una tigre entro una gabbia con il ritratto del pittore, 1831

Mentre Turner va a caccia del Sublime nei suoi quadri rarefatti, (a viene anche un paio di volte in Italia, nel 1819 e poi nel ’28) un giovane veneziano di nome Francesco Hayez sta facendosi conoscere nella Milano dell’allora Regno del Lombardo Veneto fino a diventare il più importante pittore romantico italiano. Hayez non è solo il pittore de Il bacio (1859), ma anche e soprattutto il cantore della bellezza, dell’amore e dei valori risorgimentali. E per scoprire il suo mondo, i  suoi amori, le sue amicizie, la mostra Hayez. L’officina del pittore romantico, alla GAM fino al 1° aprile 2024, punta proprio a portare il visitatore alla scoperta delle tecniche e dei  segreti dell’artista, ponendo a confronto dipinti e disegni (questa la peculiarità dell’esposizione) per un totale di oltre 100 opere. Arte, storia, politica e anche vita privata si intrecciano nell’esposizione che affianca alle tele più note come La Meditazione e l’Accusa segreta inediti e lavori poco visti. Non fatevi spaventare dalle 10 sezioni in cui è scandita l’esposizione che corrono invece veloci mentre scene storiche, ritratti, bozzetti sono uniti, in un’Italia allora ancora da farsi, in una dimensione civile che attualizza la storia.


Leonardo Bistolfi
Prima esposizione internazionale d’arte decorativa moderna, 1902

Con la mostra Liberty. Torino Capitale, a Palazzo Madama – Museo Civico d’Arte Antica (fino al 10/6/24), proseguiamo il nostro cammino nella storia per arrivare a ridosso e oltre fine Ottocento quando il Liberty, o stile floreale, o Art Nouveau, o Jugendstil, percorre e scuote tutta l’Europa e arriva fino in Italia conquistando con il suo nuovo linguaggio fatto di squisita eleganza decorativa, linee dolci e sinuose che si incontrano e si intrecciano armoniosamente ogni aspetto della vita: le arti, ma anche l’architettura, l’arredamento, la grafica pubblicitaria, le riviste, la moda. Il Liberty diviene insomma linguaggio unificante di un Paese ancora di fatto frantumato e della nuova dinamica società post-unitaria. È uno stile amato da tutte le classi sociali e in particolare a Torino connota come in nessun’altra città italiana scuole e fabbriche, case popolari e ville signorili, bagni pubblici e palazzi, tanto che si contano 500 capolavori distribuiti su tutto il territorio cittadino. L’allestimento del centinaio di opere raccolte affronta ogni aspetto delle manifestazioni artistiche del Liberty consentendo al visitatore di comprendere i meccanismi della creazione architettonica ed estetica, potendo per la prima volta percepire il farsi delle opere, siano esse di architettura, di design d’interni, pitture, sculture, lavori grafici o di decorazione, oggetti d’uso, testi letterari, poesia o musica, tutti lavori caratterizzati dalla particolare linea strutturale della natura, generatrice eterna di forme.


André Kertész
Distorsione n°40
Parigi, 1932-1933
© Donation André Kertész, Ministère de la Culture (France), Médiathèque du patrimoine et de la photographie, diffusion RMN-GP

Che un maestro della fotografia come Cartier-Bresson ebbe a confessare che «tutto quello che abbiamo fatto, o che abbiamo intenzione di fare, Kertész lo ha fatto prima», dice molto dell’importanza dell’opera del fotografo di origini ungheresi che la grande antologica André Kertész. L’opera 1912-1982 , allestita da CAMERA – Centro Italiano per la Fotografia nelle sue sale torinesi, ripercorre presentandone oltre 150 immagini (fino al 4/2/24).  Certo poca cosa rispetto a un archivio di oltre centomila negativi, e tuttavia l’accurata selezione ripercorre con cura l’intera carriera durata 70 anni del 900. Biografia e fotografia si sovrappongono spesso nella vicenda di Kertész che più volte si ritrae nelle sue foto, realizzate spesso dal fratello Jeno su indicazioni di André stesso.  Quali sono i tratti caratteristici delle foto di Kertész? Beh, prima di  tutto c’è l’immediatezza: «Fotografavo tutto ciò che avevo intorno, uomini, animali, la mia casa, le ombre, i contadini, la vita. Ho sempre fotografato ciò che l’istante mi rivelava», disse una volta. Altro aspetto è la visione ludica, gioiosa, in fondo l’attenzione amorevole quanto  rispettosa della quotidianità: «Fotografo il quotidiano della vita, quello che poteva sembrar banale prima di avergli donato nuova vita, grazie ad uno sguardo nuovo».


André Kertész
Il Daisy bar
Montmartre, Parigi, 1930
© Donation André Kertész, Ministère de la Culture (France), Médiathèque du patrimoine et de la photographie, diffusion RMN-GP

Ed è nelle strade di Parigi dove arriva nel 1926 che il fotografo applica questa visione, cogliendo la città da prospettive sorprendenti, fotografandola di notte, quando con le ombre tutto cambia. Come cambia, sempre con umorismo venato di surreale, il classico nudo femminile – classico tema di prova d’abilità per ogni fotografo  – che Kertész rimodella riprendendolo davanti agli specchi deformanti dei luna park. Anche quando trasferitosi nel 1936 a New York deve in certo modo ricominciare faticosamente da capo, rimane fedele alla sua ricerca  di quella trasformazione della banalità quotidiana in apparizione poetica, che ne caratterizza l’intera opera. Solo alla metà degli anni Sessanta il suo lavoro viene riconosciuto come quello di uno dei grandi maestri del XX secolo. È una nuova linfa per l’anziano fotografo che conclude la sua vicenda creativa con un’ultima sperimentazione, la fotografia a colori, a cui si avvicina quando è già più che ottantenne, curioso come è sempre stato dagli inizi, allora impiegato di borsa a Budapest e fotografo dilettante.


Fotografo più che dilettante lo è stato, tra le cento altre manifestazioni della sua genialità, anche l’architetto Carlo Mollino, il torinese doc di cui si diceva all’inizio. L’occasione per dedicargli questa mostra Carlo Mollino: Atlante, allestita nel Teatro Regio è il cinquantesimo anniversario del nuovo Regio che inaugurato nell’arile 12973 porta la firma dello stesso Mollino. La mostra presenta dieci isole-capitoli disposte nel foyer che sunteggiano la multiforme attività dell’architetto e quindi ci sono i mobili da lui disegnati, le fotografie, e le sue passioni (tutte nel segno della velocità): auto da corsa, lo sci, gli aerei, raccontati da disegni, libri, oggetti, modellini; presenta d’eccezione è la Bisiluro, l’auto progettata per la 24 ore di Le Mans, del 1955.