Nasce nel piacentino un progetto all’avanguardia in termini di sostenibilità ecologica e buca i media presentandosi con un nome volutamente provocatorio.

Chiamatela come volete, e in effetti i giornali si sono abbarbicati su diversi sinonimi, ma il fatto è che da una cosa tanto inutile quanto ritenuta sgradevole – specie nella nostra società occidentale – nasca una straordinaria proposta di sostenibilità è un’ottima notizia. Ha inaugurato a Gragnano, in provincia di Piacenza, il Museo della Merda. Sicuramente il nome scelto dal neonato museo è piuttosto ad effetto, degno di certa arte contemporanea, ma questa non è una trovata artistica, anche se l’arte è parte degli ingredienti del progetto, che si qualifica piuttosto come un’iniziativa di carattere ecologico all’avanguardia, non per niente sostenuta dal museo della Scienza e della Tecnica Leonardo da Vinci di Milano.

L’idea è di Gianantonio Locatelli, proprietario dell’azienda agricola Castelbosco – e dei curatori Luca Cipelletti, Gaspare Luigi Marcone e Massimo Valsecchi – dove alloggiano 2.500 vacche selezionate, dedite alla produzione del latte per il Grana Padano: ne generano 300 quintali al giorno, e 1000 sono i quintali di sterco residuo. Però da questo, come scrive il curatore e coordinatore delle attività del PAC Massimo Torrigiani, l’imprenditore “ricava oggi metano, concime per i campi, materia grezza per intonaco e mattoni. E lo fa con sistemi di nuova concezione che oltre a ridurre l’inquinamento atmosferico e la distribuzione di nitrati nel terreno, seguono un principio che ridisegna il ciclo della natura in un circolo virtuoso. Dando alla merda il valore che ha’.

Per chiudere il cerchio, della suddetta viene recuperata anche la dimensione estetica, attraverso un percorso espositivo che parte dallo scarabeo stercorario, passa in rassegna la Naturalis Historiae di Plinio, non si fa mancare il reperto archeologico “cacca di dinosauro”. E non c’è bisogno nemmeno di ricordare alle anime belle di quanta merda si sia vestita l’arte contemporanea: dalla celebre di Manzoni a quella di elefante impastata di glitter di Chris Ofili, alla Cloaca di Wim Delvoye, di cui già Milano gode dell’esemplare in miniatura alla mostra Arts&Food, ma gli esempi potrebbero continuare, superfluo citare Cattelan.

Ci tocca però ammettere che c’era qualcuno più avanti di noi italiani, in Giappone per esempio una struttura simile al Museo della Merda già esiste, ma va detto che in generale in Oriente è diverso il rapporto con l’escremento, meno soggetto, si direbbe, al nostro processo di rimozione. Sull’emotività del momento, almeno la parola sembra essere stata sdoganata. Il Museo non è infine solo un luogo fisico, ma anche una piattaforma virtuale in continuo aggiornamento: museodellamerda.org