Perché The Brutalist merita 3 ore e mezzo del nostro tempo
Credits: Universal Pictures

Perché The Brutalist merita 3 ore e mezzo del nostro tempo

di Simona Santoni

Monumentale e allo stesso tempo minimalista, come l’architettura brutalista perseguita dal suo protagonista Adrien Brody, è un film da vedere, nonostante la durata monstre che può spaventare. Cinefili dubbiosi, non indugiate! Ecco perché

Leggi la durata di The Brutalist e, prima di entrare in sala, anche il più fervente entusiasmo da cinefilo oscilla nel bilico del dubbio. 3 ore e 35 minuti! Anche più delle 3 ore del recente colosso Oppenheimer (che poi, nonostante gli Oscar vinti, non valse del tutto il tempo speso).

Ma no, cinefilo spaventato, non indugiare. Monumentale e ambizioso come l’architetto protagonista László Toth e come il suo audace regista Brady Corbet, The Brutalist (dal 6 febbraio al cinema) vale quella flotta di minuti. Ecco perché il film già Leone d’argento a Venezia merita il nostro tempo.

The Brutalist
Credits: Universal Pictures
Immagine del film “The Brutalist”

The Brutalist, epico ed emozionante

Le 3 ore e 35 minuti, all’inizio così scoraggianti, scorrono via veloci senza aver desiderio di guardare l’orologio. C’è solo un lieve vacillar sulla parte finale. 

Corbet tesse un’opera epica ed emozionante, che punta in alto e quasi tocca il capolavoro, non centrandolo per poco. Così come il suo László Toth, che elabora la costruzione di un imponente Istituto, Corbet si è cimentato in un progetto audace e gigante, impiegando sette anni per realizzarlo: la sua opera più costosa fino ad oggi.

The Brutalist è il terzo film del 36enne americano, che già si era distinto come attore (è stato l’inquietante coprotagonista di Funny games di Michael Haneke) e ha debuttato nel 2015 dietro la macchina da presa con The childhood of a leader – L’infanzia di un capo, vincendo la miglior regia di Orizzonti sempre a Venezia.

Il film si erge maestoso, pilastro su pilastro, come l’edificio ardito del suo ostinato e spigoloso protagonista László Toth, architetto visionario di successo a Budapest interpretato da Adrien Brody, ebreo ungherese sopravvissuto ad Auschwitz. In fuga dall’Europa del dopoguerra, è arrivato in Pennsylvania per ricostruire la sua vita, mentre sua moglie (Felicity Jones) è ancora di là dell’Oceano, chissà dove, chissà se viva. Abbracciando il Sogno americano, tanto luccicante quanto minaccioso, trova i favori del ricco industriale Harrison Lee Van Buren (Guy Pearce), che lo assolda per una costruzione architettonica grandiosa.

The Brutalist
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Guy Pearce nel film “The Brutalist”

Potente Adrien Brody, sorprendente Guy Pearce

Se è appassionante l’interpretazione di Adrien Brody, è meravigliosamente sorprendente quella di Guy Pearce, di sinistro carisma.

Brody è ancora una volta nei panni di un sopravvissuto all’Olocausto dopo Il pianista (2002), che gli valse l’Oscar. E c’è da scommettere che avrà una nuova candidatura agli Academy Award (il Golden Globe intanto l’ha appena messo in bacheca.

Il legame di Brody con l’Ungheria ha preceduto il film. Sua madre è nata a Budapest ed è stata costretta a fuggire da bambina durante la Rivoluzione ungherese del 1956. È diventata una rifugiata ed è emigrata in America e, proprio come László, ha perseguito il suo sogno di diventare un’artista, realizzandosi come fotografa e giornalista.

L’oscurità è il denominatore comune di molti personaggi di The Brutalist, ma il personaggio che nasconde la sua oscurità in maniera più fulgente e melliflua è l’affascinante e mutevole industriale Harrison Lee Van Buren: è sublime Guy Pearce! Uomo d’affari, apparentemente mecenate progressista, sta costruendo la sua eredità in una tenuta tentacolare nella Pennsylvania rurale. È al contempo salvatore e persecutore di Toth.

The Brutalist
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Adrien Brody nel film “The Brutalist”

L’architettura brutalista, la brutalità dei sentimenti

The Brutalist è una storia di traumi, di capitalismo, di architettura. Il dolore trova strade disparate, ora nell’oppio, ora nella malattia, ora nell’arte e allora, in quest’ultimo caso, puoi tradursi in meraviglia.

The Brutalist è anche un’immersione nell’architettura brutalista, che entrò in voga nel Regno Unito negli anni Cinquanta, tra i progetti di ricostruzione del dopoguerra. Il brutalismo enfatizza gli elementi strutturali rispetto al design decorativo, con costruzioni minimaliste che mettono in mostra elementi spogli come cemento o mattoni a vista. Si vedano le opere di Le Corbusier, Marcel Breuer, William Pereira, Moshe Safdie, Denys Lasdun e Alison & Peter Smithson.

The Brutalist
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Immagine del film “The Brutalist”

«La psicologia del dopoguerra e l’architettura del dopoguerra, incluso il Brutalismo, sono collegate», ha detto nelle note stampa Corbet, che ha scritto la sceneggiatura insieme alla moglie Mona Fastvold. «Qualcosa che portiamo in vita nel film attraverso la costruzione dell’Istituto, una manifestazione di trent’anni di trauma in László Toth e la ramificazione di due guerre mondiali».
All’asciuttezza nei decori e nelle linee dell’Istituto costruito sotto le redini di László, corrisponde la brutalità dei sentimenti dei protagonisti. Rabbia, frustrazione, prevaricazione.

Nella relazione tra Van Buren e Toth, The Brutalist affronta anche la scomoda questione di chi abilita l’arte e l’impatto che il sistema di mecenatismo può avere su un artista e sulla sua visione.

Sebbene frutto dell’immaginazione di Corbet e Fastvold, le esperienze di László in America riflettono quelle di artisti chiave del movimento brutalista, tra cui Louis Kahn, Mies van der Rohe e, soprattutto, l’ungherese Marcel Breuer, che progettò il Whitney Museum di New York City, ora Met Breuer.

The Brutalist
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The Brutalist e quel raro e prezioso 70 mm

Nella sua impresa epica alla László, Corbet ha scelto di girare interamente in pellicola, in 70 mm. Le riprese si sono svolte a Budapest, in Ungheria.

Sono stati usate molte telecamere e obiettivi diversi, nel formato noto come VistaVision, che Alfred Hitchcock ha utilizzato in opere classiche tra cui Intrigo internazionale. «È un formato grande e piuttosto esigente, che richiede tecnici che sappiano come lavorarci», ha detto Corbet. «C’è ancora una cultura delle riprese su pellicola in Ungheria, a differenza di gran parte del resto del mondo, purtroppo. Per noi questo è stato un grande colpo e uno dei motivi principali per cui ho voluto girare lì».

Nelle 3 ore e 35 minuti c’è anche un’irruzione in Italia, nelle affascinanti e struggenti cave di Carrara dove anche Michelangelo, come fanno László e Van Buren nel film, cercava il marmo per le sue sculture. Le cave, per Corbet, rappresentano la portata devastante del capitalismo in ogni angolo del globo. «Carrara per me è indicativa del modo in cui il capitalismo ha danneggiato così tanto il pianeta: il paesaggio rispecchia l’interiorità dei personaggi».

Come lo stile architettonico che percorre il film, The Brutalist è maestoso, dai volumi robusti e vigorosi, ma allo stesso essenziale e funzionale. 3 ore e 35 minuti ben spese.