Profondo Argento: intervista con il grande cineasta

Profondo Argento: intervista con il grande cineasta

di Elena Bordignon

In occasione della mostra “The Exhibit”, al Museo Nazionale del Cinema di Torino, abbiamo incontrato il maestro dell’horror che ci parla delle sue paure immaginarie

Sono una specie di clandestino in questa mostra che rappresenta Dario Argento: chissà chi è Dario Argento? Non credo di conoscerlo, certo faccio i film con il nome di Dario Argento, ma chi sia veramente non lo so. Faccio film inspirandomi ai miei sogni, alla mia psicologia, al mondo dell’arte. Vedendo questa mostra, che condensa oltre cinquant’anni di carriera, che racconta film dopo film, ho capito molto cose su chi sono e su molte scelte che ho fatto.”

Appare stupito Dario Argento, uno tra i più grandi maestri del cinema italiano, riconosciuto a livello internazionale. Dal suo esordio dietro alla macchina da presa, con l’Uccello dalle piume di cristallo all’ultimo film, Occhiali Neri, ha spaziato tra giallo, thriller e horror, creando e influenzando intere generazioni con il suo originale e penetrante immaginario. Il Museo Nazionale del Cinema di Torino lo commemora con la bellissima mostra The Exhibit, visitabile fino al 16 gennaio 2023. Viaggio lungo cinquant’anni nella sua cinematografia, la mostra ripercorre in ordine cronologico tutta la sua produzione: per ciascun film, sono presentati brevi video, fotografie, citazioni, sequenze filmiche, bozzetti, manifesti, costumi e colonne sonore.
Racconta il co-curatore della mostra Marcello Garofalo (con Domenico De Gaetano): “Argento costruisce la sua modernità sul paradosso di uno sguardo che spesso collide tra quello del protagonista della storia e quello dello spettatore, abbagliati entrambi da una ‘messa in scena’ che del gioco non ha nulla, se non la derisione ingannevole dello sguardo, incapace di vedere l’essenziale e rinfine aggirato dal grande ‘trucco’ del cinema, l’apparire quando si crede di vivere, il sognare (o precipitare nell’incubo) quando si crede di essere vigili e di poter dominare la realtà”.  Seguono alcune domande con il grande regista

Nella giovinezza, assieme a Bernardo Bertolucci, lei ha lavorato con un grande del cinema, Sergio Leone? Che ricordi ha di questa esperienza?

Incontrai la prima volta Sergio Leone per un’intervista in occasione dell’uscita del suo film Il buono, il brutto, il cattivo. Poco tempo dopo mi ha presentato Bernardo Bertolucci, proponendo ad entrambi di scrivere il soggetto del suo film successivo, C’era una volta il West, che penso sia uno dei suoi film più belli. Lui poteva avere i migliori sceneggiatori sulla piazza, invece ha scelto due semisconosciuti. Nel tempo, ho pensato che lui ci ha chiamato, nonostante la nostra giovane età, perchè il protagonista del film era una donna. Per la prima volta, nella sua carriera, lui stava facendo un film con protagonista una donna. Pensava che gli sceneggiatori italiani non fossero capaci di raccontare un personaggio femminile perchè avevano sempre raccontato gli uomini. Forse avrà pensato che, essendo noi due giovani, avessimo una famigliarità più spontanea con il mondo femminile. Abbiamo cercato di dare il meglio di noi. Dopo questa esperienza, con Bernardo siamo rimasti amici per tantissimi anni. 

Appartiene ad una generazione di cineasti che è emersa facendo cinema di genere, pensa che questa eredità si sia persa nel corso degli anni? 

Non so perchè abbiamo disperso l’eredità del cinema di genere. Anche se ad un certo momento sembrava che andasse tutto bene. Cito Michele Soavi, Alberto Bava, Sergio Stivaletti. Piano piano è arrivata la commedia italiana, un tipo di commedia banale e di cattivo gusto, quindi siamo stati superati dai francesi, dagli spagnoli. Alla fine il nostro cinema di genere si è impoverito.

Visto che ha raccontato ‘la paura’ per più di 50 anni con i suoi film, secondo lei, le paure e i timori dell’uomo sono cambiate o sono rimaste le stesse? 

Certo, se non ci fosse la paura, non ci sarebbe vita. La paura ci evita tanti pericoli. Non penso che sia cambiato niente, specialmente nel nostro profondo. All’esterno, naturalmente, ci sono eventi che ci spaventano come le guerre, le epidemie, tanti fatti che ci turbano e alimentano le nostre paure. Però quelle che io racconto non sono paure reali, sono paure immaginarie, che vengono dal mio profondo, dal mio animo più profondo. Dalla mia psiche, dai miei sogni. 

Nella Trilogia degli Animali – L’uccello dalle piume di cristallo (1970), Il gatto a nove code (1971) e 4 mosche di velluto grigio (1971) – lei dedica una particolare attenzione all’affascinante mondo animale. Perchè questa scelta?

Ci dimentichiamo che la nostra vita è piena di animali, di bestie, di insetti. Invece, quando si fanno i film, spesso si dimentica questa dimensione. Caso a parte per i film western, dove per lo più vediamo cavalli. Nella maggior parte dei film, è come se gli animali non esistessero, invece la realtà è che la nostra vita è piena di animali. Io li racconto perchè fanno parte della nostra vita. 

La realtà a volte è più terribile del cinema…

Io non racconto la vita, racconto il mio intimo. Non mi interessa la vita reale, quella che sta sui giornali o in televisione. Io racconto le mie profondità. Non voglio esorcizzare nulla, così come non voglio che i film siano considerati come una specie di liberazione. Sono storie che immagino e che poi metto in scena. 

Ha raccontato spesso che le sue fonti di ispirazioni sono stati eventi molto casuali, spesso delle impressioni di un luogo o degli accadimenti accidentali. Come nasce l’ispirazione per i suoi film?

Sì, l’ispirazione può essere stimolata nelle occasioni più impensate. Lessi un libro, di cui non mi ricordo l’autore, dove uno scrittore inglese raccontava come le più grandi invenzioni della storia sono nate in modo casuale. Racconta di uno scienziato che mentre stava in tram gli è venuta un’idea; un altro stava in barca e, guardando l’acqua, gli è venuta un’idea geniale. Ricordo che il soggetto per un film mi è venuto in macchina. A quel tempo abitavo fuori Roma e mentre stavo tornando a casa, improvvisamente, mi è venuta l’ispirazione per un film che mi sembrava interessante. Fui così preso dai miei pensieri che sbagliai strada e, ad un incrocio, imboccai uno svincolo che andava verso Firenze. Ricordo che ho fatto un giro pazzesco per ritornare a Roma. 
Un altro esempio è in merito a Profondo Rosso: il titolo mi è venuto in mente mentre stavo in macchina con mio fratello. Così, all’improvviso, mi sono rimaste impresse queste parole: ‘profondo rosso’. Lo dissi a mio fratello che rispose, “Non mi sembra molto azzeccato come titolo”. Invece insistetti: erano proprio quelle giuste.  

In molti suoi film, le eroine sono spesso delle donne, perché questa scelta di metterle al centro della trama?

Mia mamma era Elda Luxardo, una fotografa molto famosa negli anni ’40 e ’50. Dopo la scuola andavo nel suo studio. Loro mi mettevano in un camerino, che era un lungo corridoio. Dall’altra parte c’erano famose attrici come Sofia Loren, Claudia Cardinale, Gina Lollobrigida e altre grandi dive del cinema di allora. Loro venivano truccate, tanto che ho ancora, sotto il naso, l’odore dolciastro del make up. Erano bellissime. Si spogliavano davanti a me, come se non esistessi. Non mi vedevano per niente. Vestite e truccate, si mettevano sotto i riflettori dove mia madre le fotografava. Così ho iniziato a capire le donne. Nei miei film, infatti, sono quasi tutte donne, da Asia a Jennifer Connelly…

A cosa sta lavorando in questo periodo? 

Mi hanno proposto un film da fare in Francia. Negli ultimi anni, posso dire, la Francia è stata molto importante per me. Ho già fatto due film consecutivi: Vortex di Gaspar Noé, partecipando come attore, e Occhiali Neri, il mio ultimo film, con produzione francese. Ultimamente mi hanno fatto la proposta di fare un film a Parigi. Non so ancora se lo farò, ma intanto me l’hanno offerto! Si tratta di un film noir.