Tre motivi per riscoprire le vertiginose altezze di un pittore dal cuore tenero che ha cercato l’infinito

C’era un tempo in cui i selfie si facevano solo con i pennelli e i colori. Il ‘primo’ motivo per andare a visitare Segantini, l’esposizione che il Palazzo Reale di Milano dedica all’artista cantore dei Grigioni, è proprio quello di ammirare la capacità di verosimiglianza di cui era dotato questo pittore nato ad Arco di Trento nel 1858 e morto a Pontresina, in Svizzera, nel 1899.

Sembrano fotografie fatte allo specchio, quelle di questo uomo barbuto, del quale mai si immaginerebbe la delicatezza di un tocco e di uno sguardo che seppe trovare la sua più limpida e nitida forma di espressione salendo lassù, in Engadina e nel Cantone svizzero dei Grigioni.

La ‘seconda’ ragione per seguire il percorso della mostra milanese è quella di fare un viaggio in montagna, immaginarsi sulla slitta, traghettati sui laghetti svizzeri, odorarne i profumi della primavera, afflati affidati ai gesti quotidiani di semplici figure appunto montanare ritratte nell’atto di abbeverarsi a una fontanella, passeggiare alla volta di cime innevate; e tanti sono i pastori che accudiscono alle greggi o le proteggono quando sopraggiunge il temporale.

La terza ‘calamita’ è lo spirito poetico. Che sorge spontaneo constatando il contrasto tra il candore tenero dei temi dei suoi quadri, spesso rappresentato nella scelta di dipingere giovani madri con i loro piccoli, con le pennellate dense e decise della sua tecnica pittorica. La sua ricerca dell’assoluto rimase incompleta, come quella del resto di ognuno di noi, ma il suo tentativo di catturare la verità, cercandola lassù, tra le montagne, resta uno dei più alti raggiunto dall’arte del Novecento. 

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Segantini

Palazzo Reale di Milano, sino al 18 gennaio 2015

(Catalogo edito da Skira)