Up with Pop! Due mostre sulla Pop italiana e i suoi protagonisti

Up with Pop! Due mostre sulla Pop italiana e i suoi protagonisti

di Digital Team

A Pistoia una grande mostra riporta l’attenzione sulla Pop Art di casa nostra e i favolosi Sixties. E a Milano si celebra un grande eroe della Pop, Pino Pascali

È stato un grande momento quello della Pop Art, un fenomeno mondiale che nei ’60 del Novecento entrò profondamente nella società. Tutti parlano di quella americana, con le superstar da Warhol, a Lichtenstein; dice anche di quella inglese (precedente di anni a quella americana). Di quella italiana se ne parla da noi, ben poco all’estero. Ed è un peccato, perché la Pop italiana, in tutte le sue diverse interpretazioni, ha sicuramente una valenza internazionale. Periodicamente appaiono mostre che ne parlano. Inserita però nel più ampio e vario, anche contraddittorio contesto del decennio. 


Gianni Ruffo, Riposo, 1965, tempera su legno ritagliato

Ora la grande mostra ’60 Pop Art Italia, curata da Walter Guadagnini, in programma fino al 14 luglio a Palazzo Buontalenti a Pistoia, ha le caratteristiche per riuscire a smuovere le acque. Fenomeno prettamente metropolitano, nato a Londra nel 1956, la Pop Art si sviluppa contemporaneamente a New York, Los Angeles, Parigi e Roma, per diffondersi poi in tutto il mondo, divenendo la principale espressione artistica degli anni Sessanta. La rassegna ripercorre in un viaggio i principali centri d’irradiazione del linguaggio Pop – Roma, Torino e Milano – toccando però anche altre città, come Palermo e Venezia, che hanno contribuito alla diffusione del movimento. Senza dimenticare l’esperienza della Scuola di Pistoia. La retrospettiva presenta oltre 60 opere dei maggiori esponenti della Pop italiana, quindi tutta la scuola romana di Piazza del Popolo (i giovani Mario Schifano, Tano Festa, Franco Angeli), ma anche Mario Ceroli, Pino Pascali, Fabio Mauri, Jannis Kounellis, Renato Mambor, Titina Maselli, Giosetta Fioroni, Laura Grisi, Roberto Barni, Umberto Buscioni, Adolfo Natalini e Gianni Ruffi. 


Anna Comba, Week-end (für alle Freunde der Musik), 1966, fotografia su tela, Torino, GAM – Galleria Civica d’Arte Moderna e Contemporanea, Museo Sperimentale. Su concessione della Fondazione Torino Musei (foto Paolo Robino 2017)

 Uno  degli aspetti interessanti della mostra sta nell’attenzione posta sull’attività allora molto propositiva delle gallerie private, dei critici e anche degli artisti che intessevano rapporti con il resto del mondo (Valerio Adami a Londra, Mario Schifano a New York, Enrico Baj e Lucio Del Pezzo a Parigi…) La prima sezione si focalizza su Roma, il principale centro artistico nazionale di quegli anni, sui galleristi quali Plinio de Martiis e Giuseppe Liverani, e gli intellettuali quali Alberto Moravia e Goffredo Parise.


Enrico Baj, La mondana, La mondana con gli ultracorpi, 1959, tecnica mista su tela ready-made. Collezione privata, Courtesy Gió Marconi, Milano

Per l’occasione è esposto un grande quadro relativo al murale (Il giardino di Ursula) che Claudio Cintoli (poi emigrato a New York) realizzò all’interno del Piper club a Roma. Seconda sezione dedicata a Pistoia, dove s’incontrano Roberto Barni, Umberto Buscioni, Adolfo Natalini e Gianni Ruffi. Terza tappa a Milano dove, grazie a Enrico Baj, si assiste dapprima all’affermazione di una versione della Pop Art più prossima al Nouveau Réalisme francese, e in seguito, anche per l’azione della Galleria Milano e dello Studio Marconi, a un’altra d’ispirazione londinese, con autori quali Valerio Adami, Lucio Del Pezzo, Emilio Tadini.


Paolo Baratella, Un’aureola per John Fitzgerald Kennedy, 1965, tecnica mista su tela. Collezione privata, Courtesy Farsettiarte, Prato

Ultima tappa a Torino, dove le gallerie Il Punto e Sperone, in collaborazione con la galleria Sonnanbend di New York e Parigi, introducono in Italia i lavori di Andy Warhol e Roy Lichtenstein, e dove sono attivi artisti quali Michelangelo Pistoletto, Piero Gilardi, Aldo Mondino, Ugo Nespolo, Anna Comba, Beppe Devalle, Piero Gallina. Al ruolo particolare di Venezia e Palermo sono dedicate due sale specifiche, concentrate sull’esperienza della Biennale d’Arte del 1964 e su quella delle due mostre Revort del 1965 e del 1968. È quello l’anno che segna la chiusura della stagione d’oro della Pop Art. Il sogno svanisce nella rivolta per non tornare più.


Pino Pascali, 32 mq di mare circa, 1967 Foligno, Palazzo Trinci​. Foto Claudio Abate ©Archivio Claudio Abate

La prematura scomparsa di Pino Pascali, che della Pop italiana e oltre è stato uno dei massimi interpreti, proprio nel 1968 sembra rimarcare la fine di quel sogno sogno. La grande retrospettiva che Fondazione Prada, a Milano, dedica a Pino Pascali dal 28 marzo al 23 settembre 2024 è la ghiotta occasione per scoprire quanto, nonostante la brevità della sua carriera, 3 annim soltanto, l’artista pugliese abbia influenzato, a livello internazionale, l’arte e gli artisti dei decenni successivi. Divisa in quattro sezioni, ciascuna delle quali propone una precisa prospettiva sulla produzione di Pascali, la mostra è veramente museale: quarantanove le opere provenienti da musei italiani e internazionali e da prestigiose collezioni private; in più, lavori di artisti che hanno con lui diviso idee e tematiche come Alighiero Boetti, Agostino Bonalumi, Mario Ceroli, Luciano Fabro, Piero Gilardi, Jannis Kounellis, Eliseo Mattiacci, Gianni Piacentino e Michelangelo Pistoletto. Infine, una selezione di fotografie e un video che ritraggono l’artista con le sue opere.


Pino Pascali, Cannone Bella Ciao (1965), studio dell’artista, 1965, Roma. Foto Claudio Abate ©Archivio Claudio Abate

Pittore, scultore, scenografo? cosa è stato Pascali? La scenografia studiata in Accademia lo ha sicuramente aiutato a muoversi liberamente tra diversi medium artistici. Il suo impiego ludico di materiali di recupero per costruire cannoni, i ponti dove le liane sono fatte con pagliette per le stoviglie, le grandi forme centinate che riproducevano le code di grandi balene; ancora, le vasche contenenti acqua e anilina a simulare metri quadrati di mare, ma ben disposti negli spazi della galleria. O gli scovoli assemblati a formare abnormi bruchi pelosi. E altri esempi che vi lasciamo scoprire o rivedere.


Pino Pascali, Vedova Blu, 1965. VI Biennale Romana. Rassegna di arti figurative di Roma e del Lazio, Palazzo delle Esposizioni, Roma, 1968​. Foto Claudio Abate ©Archivio Claudio Abate

Tutto finto, ma tutto vero. Come scrive Mark Godfrey nel testo pubblicato in catalogo, “Pascali ha esplorato il rapporto tra scultura ed elementi di scena e ha contrapposto scultura e oggetti d’uso. Ha creato opere che da lontano sembrano dei ready-made, ma che a uno sguardo ravvicinato si rivelano essere realizzate con materiali di recupero. Si interrogava sulle potenzialità di una scultura ‘finta’ o ‘simulata’. Intitolava le opere come fossero corpi solidi, strizzando l’occhio al suo pubblico, a sua volta consapevole che si trattava di volumi vuoti”. Dire di più è un peccato.Sarebbe togliervi il piacere della meraviglia, del sorridere per la genialità della trovata. Buona visita, e buon divertimento.