Ambizione, talento, soprattutto anima: il cuoco riminese si racconta

Quella di chef Enrico Croatti – una stella Michelin conquistata fra i fornelli del ristorante Dolomieu di Madonna di Campiglio – è una storia di ambizione, determinazione e idee chiare. Intervistarlo significa trovarsi di fronte a frasi che rappresentano la sintesi di un ragionamento lungo e meditato. Ad esempio: ‘La mia è una cucina italiana d’anima, di tradizione e di mercato’, affermazione che racchiude quasi tutto ciò che puoi raccontare su di lui.

Partiamo dall’ultima parola, mercato: ‘La materia prima è la protagonista del nostro menù e la nostra carta cambia in continuazione in base alla disponibilità’. Una volta recepita l’offerta del mercato, comincia la lavorazione: ‘I nostri non sono piatti banali, scontati, copiati o di moda. Sono piatti che nascono da un pensiero, da una ricerca, da un momento di sperimentazione che viene fatto a porte chiuse insieme al mio staff. Non esce nulla dalla cucina che sia lasciato al caso. Dietro le quinte c’è un grande lavoro per poter presentare al pubblico un menù che abbia un suo stile, una sua identità’.

Parlando di stile e identità si giunge necessariamente a parlare di tradizione: ‘Io non faccio una cucina tradizionale, che è un’altra cosa. Faccio una cucina di tradizione e la tradizione per me è la creatività del passato, a cui guardare per lavorare sul moderno, che è pensiero creativo rivolto al futuro’.

Questa considerazione determina l’approccio di Croatti alla sperimentazione culinaria, che si avvantaggia del fatto che il ristorante Dolomieu è aperto circa otto mesi l’anno (‘perché siamo in una località turistica’) e che fa tesoro di continui viaggi e collaborazioni all’estero (‘per vedere cosa fanno altri cuochi’). Quando il ristorante è chiuso, dietro le saracinesche abbassate l’intero staff è al lavoro, non solo la cucina ma anche personale di sala e sommelier. Si parte ‘da un’idea nuova, poi arriva la materia prima, si comincia a studiare e provare il piatto finché risulta perfetto, anche se la perfezione non esiste, esistono opinioni e gusti e sensazioni che un piatto può trasmettere’.

L’arrivo della stagione turistica non pone fine alla ricerca: ‘C’è sempre nella cucina una parte dedicata alla sperimentazione. Ho proprio una persona che mi segue in questo aspetto, mentre il resto dello staff segue le esigenze quotidiane’.

Le linee guida della ricerca sono sostanzialmente due. Da un lato c’è la volontà di ‘essere se stessi, non seguire le mode’. E questo significa anche prendere atto che la gastronomia cambia in continuazione: ‘I maestri, Paul Bocuse, Alain Ducasse, Gualtiero Marchesi, rimarranno sempre nella storia, però siamo in altri tempi e non si può più vivere su quelle icone, copiando ciò che hanno già fatto altri’.

La seconda linea guida chiama in causa il concetto di anima (‘La mia è una cucina italiana d’anima, di tradizione e di mercato’, diceva in apertura): ‘D’anima perché ogni singolo piatto, dal più tradizionale al più creativo e ricercato, ha una base che nasce da dentro, da un ricordo’.

E può capitare che un ricordo riguardi la famiglia romagnola di Enrico Croatti: ‘A casa mia la buona cucina c’è sempre stata, grazie alle nonne e alla mamma e nonostante nessuna fosse una cuoca professionista. Era una cucina magari semplice, ma di qualità. La lasagna della domenica, per esempio… Quei piatti, oserei dire quei valori, mi sono rimasti impressi, sono forza vitale per creare anche il piatto più creativo’.

‘Dietro la professionalità c’è la famosa parola anima e l’anima è anche gioco, è il momento in cui si sorride, è essere autocritici e io lo sono molto. Questo ti aiuta non fermarti, a pensare che c’è sempre la possibilità di migliorare, anche di fronte a un piatto che raccoglie pareri entusiasti’.

L’arrivo della stella Michelin è dunque ‘un ambito riconoscimento che non dico che ti cambia la vita, però ha un effetto importante, perché è una guida estremamente seria e sono onorato di far parte del novero degli chef stellati. Però per me la stella non deve essere un obiettivo, come talvolta accade’.

Un ultimo aneddoto, a proposito di anima: Croatti si innamora della cucina a 12 anni, impastando la sua prima tagliatella insieme alla madre. Poi comincia la trafila classica della formazione, con un momento fondamentale: l’incontro con ‘il grande maestro Gino Angelini, che considero come un secondo padre. Volevo conoscerlo, fare uno stage anche di poche settimane, anche a pelare patate’. Si sentono via mail (Angelini sta negli Stati Uniti) e organizzano l’incontro: ‘Dovevo stare due mesi, mai avrei pensato che sarebbero diventati tre anni e che avrei fatto lo chef nei suoi due ristoranti. Un’esperienza che mi ha dato una forte impostazione manageriale, mi ha consentito di crescere come uomo e come cuoco. Lavorare con lui è stata fortuna? Bravura? Non lo so, comunque lo porterò sempre nel mio cuore’.