Il più celebrato dei long drink rivive una nuova era. Quella del matrimonio, studiato, tra diverse etichette e tonic water con l’aggiunta di elementi che ne esaltano i botanicals

Il più ribelle tra gli spirits. Sopravvissuto a ritmo di jazz per mano di gangster e contrabbandieri ai ruggenti anni Venti. Quelli raccontati da Humphrey Bogart e James Cagney nell’omonimo film The Roaring Twenties, specchio di un’America che si sbronzava alla faccia del proibizionismo. Nascondendosi in speakeasy e locali clandestini, bevevano gin scadente, prodotto artigianalmente lasciando in infusione alcol, grano economico e fin troppi aromi, nelle bathtube, le vasche da bagno. Ma il gin si è evoluto e con lui i cocktail che lo vedono protagonista.

Dimenticata la ricetta base della Compagnia Inglese delle Indie Orientali, solo gin (leggi dove trovare i migliori gin al mondo a Roma ) acqua tonica e fetta di limone, il più celebrato dei long drink rivive una nuova era. Quella del matrimonio, studiato, tra diverse etichette e tonic water, e con l’aggiunta di ingredienti che ne esaltano i botanicals (leggi come farsi il proprio gin a casa ). Il gin tonic entra nelle carte dei bar, come quella del Foyer del Four Seansons di Milano: dieci gin abbinati a dieci toniche differenti.

Il Monkey 47, gin per palati forti, si mescola alla Tonic Q estremamente secca, al nordico Isfjord si aggiunge la Tonica Original per un sapore un po’ meno pétillant, e se il fiorito The Duke si sposa con la secca Tonica Seagrams, lo scozzese Caorunn si beve con la storica Fentimans. I mixologist dell’inglese Bombay Sapphire, invece, arricchiscono il gin tonic 
di nuovi sapori. Ora lo si beve nel baloon, il bicchiere panciuto usato per i rossi più nobili, aggiungendo radici di zenzero, bitter al pompelmo, menta e angostura, una spruzzata di St. Germain, il liquore al sambuco (leggi tutto sul St. Germain), e, perché no, lo sciroppo di camomilla.